Niva Lorenzini
Le voci della poesia


Si è tenuto quest'anno, presso il Teatro La Soffitta di Bologna, il terzo appuntamento della manifestazione organizzata dal Dipartimento di Italianistica e dall'Assessorato alla Cultura della Provincia (con la collaborazione, per il secondo ciclo del marzo-maggio 1995, dell'Istituto Gramsci Emilia-Romagna). Ai curatori della rassegna (Guido Guglielmi, Niva Lorenzini, Alberto Bertoni) è parso opportuno presentare, dopo le voci giovani dei Poeti a Bologna (12-14 dicembre 1994) con cui si era inaugurato il primo ciclo di serate, e dopo la generazione dei poeti già pienamente attivi negli anni Sessanta (da Elio Pagliarani a Andrea Zanzotto, da Edoardo Sanguineti a Giovanni Giudici e a Francesco Leonetti), alcuni tra gli esponenti rappresentativi della poesia di oggi.

Non era certo facile selezionare, né si è preteso di fornire un quadro esaustivo di una situazione dinamica, che sfugge alle catalogazioni: si sono tuttavia indicati percorsi sufficientemente articolati, nell'estremo frantumarsi di proposte che caratterizza l'orizzonte poetico contemporaneo. Voci isolate, alcune, ma dalla pronuncia solida, nettamente definita: come nel caso di Valerio Magrelli, un poeta che sino dal precoce esordio del 1980 pratica l'esattezza, reggendosi in bilico tra rigore logico e vena surreale, propria di chi ama giocare "di sponda", "di riflesso". La sua poesia di pensiero ha confermato, anche nella scelta dei testi selezionati per la lettura, una forte tensione argomentativa, e insieme una inclinazione a raccontare le esplorazioni dello sguardo, l'attrito tra percezione e forma.
In coppia (e in contrasto) con lui, Gianni D'Elia, esordiente nello stesso 1980, ha testimoniato la fedeltà a una linea pasoliniana della poesia fondata soprattutto sul confronto lingua-realtà: da qui i suoi racconti del reale, di un quotidiano impoetico, e la ricerca del senso della lingua di cui ci si trova espropriati, una volta che sia tramontata (come lo è definitivamente) sia l'identità dell'io lirico che quella dell'io politico.
Si sono poi esplorate altre tendenze degli anni più recenti: dalla fisionomia di gruppo (quella del Gruppo 93, ormai sciolto, rappresentato per l'occasione da Biagio Cepollaro, Giuliano Mesa, Lello Voce) alla produzione della poesia in dialetto, illustrata da alcune tra le voci più autentiche di una stagione mai così fertile, da Tolmino Baldassari a Raffaello Baldini, da Franco Loi al più giovane Gian Mario Villalta.
Alla ribalta, nell'un caso come nell'altro, è stato collocato il problema della lingua. Che per il nuovo sperimentalismo significa soprattutto, ma non esclusivamente, esibizione di un linguaggio sempre meno privato, che accolga nel flusso narrativo le interferenze più ampie, aprendosi all'extralinguistico e ibridando termini settoriali, gergali, specialistici, con intenzione radicalmente parodica. Pur con le diversità che li caratterizzano, Cepollaro, Mesa, Voce hanno esposto un'esigenza comune di cercare un senso all'interno della cultura monolitica che depersonalizza e detemporalizza: e questo significa soprattutto non rinunciare alla ricerca di comunicazione, lottando parallelamente contro ogni fittizia semplificazione indotta dalla società multimediale e contro ogni riduzione della complessità a una omologazione banalizzante.
Quanto a Baldini, Loi, Baldassari, Villalta, anche in questo caso bisogna guardarsi dall'omologare: ma certo che l'uso del dialetto come lingua della poesia costringe già in modo decisivo a un confronto tra il parlare ormai inflazionato e le possibilità di un'espressione che conserva vive le risorse dell'oralità. Sottratto a delimitazioni di carattere mimetico, geografico, regionalistico, ma non privato della componente metrica né delle stratificazioni memoriali che lo individuano, il dialetto ha evidenziato, nei modi scelti dai protagonisti della serata, la ricchezza e la varietà delle proprie connotazioni: dall'espressionismo teso di Loi, con le atmosfere lacerate fino nell'intimo che definiscono il vissuto dei suoi testi, alla carica epica di Baldini che si sviluppa in dimensione teatrale, accostando vena lirica e deformazione grottesca: dalla intensità dell'ascolto e dello sguardo di Baldassari all'interrogazione di Villalta che sottopone la lingua alla verifica della crisi storica, patita da chi avverte l'espropriazione della voce, delle radici, dell'esserci.

Anche la poesia "al femminile" ha confermato un proprio disagio profondo nei confronti di un tempo (il nostro presente) senza ascolto: Antonella Anedda, Anna Cascella, Alba Donati, Giovanna Sicari hanno raccontato testi attenti a piccole notazioni, minute percezioni; hanno ironizzato sul quotidiano o sviluppato una vena intima caratterizzata dalla distanza o dalla marginalità, oppure hanno usato la parola in chiave parodica o sorvegliatamente epica. Un descrittivismo, in certi casi, che registra in presa diretta l'episodico, col rischio di un annullamento del senso prospettico, o con la riduzione a un diarismo, a una "dicibilità" minima priva di stabili punti di riferimento.
Di fronte all'orizzonte fluido, in metamorfosi continua, della poesia contemporanea, esiste ancora, ci si è chiesti infine in una tavola rotonda conclusiva (presenti Vincenzo Bagnoli, Renato Barilli, Romano Luperini, Tommaso Ottonieri, Giorgio Patrizi, Paolo Ruffilli, Gregorio Scalise) un ruolo e una responsabilità per il critico? Le risposte hanno risolto solo in parte i dubbi e gli interrogativi: di fronte alla trasformazione sociale e antropologica dei nostri anni, i partecipanti al colloquio coordinato da Guido Guglielmi hanno semmai posto l'accento sul bisogno nuovo di comunicare avvertito da chi pratica la poesia, ma insieme sulla scomparsa del poeta intellettuale; sulla ricerca di senso e sull'esigenza di progettualità, ma insieme sulla stanchezza del dibattito culturale in atto.
Con un'unica valutazione in positivo, comune a tutti gli interventi: la poesia resta inattuale nella società dei pensieri precotti. Perché sollecita la lettura, chiede di venire interpretata: in assoluta controtendenza, dunque, rispetto a una semplice ipotesi di riproduzione del mondo, o a leggi di mercato che puntano alla fruizione immediata, irriflessa.
Un auspicio, allora: che non tacciano le Voci della poesia, se favoriscono il dialogo, il confronto, l'esercizio della riflessione e del pensiero.

 


[versione cartacea: n. quattro-cinque, maggio 1996, pp. 53-55 - versione web: 1996, n. 2, II semestre]

 


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