Bollettino '900's Starting Points  Agli interconnessi (4)            PrecedenteSuccessivo


La speranza di un profondo rinnovamento dell'Università italiana è accompagnata dalla convinzione che questo non possa avvenire dall'interno, solo cambiando regole, concorsi e programmi, bensì soprattutto con una nuova osmosi tra l'interno e l'esterno, con un'uscita dell'Università da se stessa e nel medesimo tempo con la collaborazione di una moltitudine di ricercatori e organismi esterni con l'Università. Questa sembra una strada particolarmente adatta a un paese che ha un'irreversibile e storica vocazione culturale, e non solo politica, nel senso deteriore, per la policentricità e per la densità differenziata. Tale vocazione andrebbe fatta fruttare di là dalle lagnanze di maniera su arretratezze e provincialismi, per comprenderne e valorizzarne una buona volta la portata istituzionale. Un fenomeno nuovo, a volte produttivo, a volte dispersivo, sembra caratterizzare questi anni: la nascita di molte associazioni culturali, fondazioni e centri di ricerca. Se ciò da un lato è sintomo di disagio, di insoddisfazione per le istituzioni esistenti o di impossibilità ad accedervi, dall'altro è segno di grande vitalità culturale, di un desiderio costruttivo che andrebbe accolto nelle sue istanze, come si è detto più volte, di legame con il reale, ovvero, spesso, con il non visibile.

Forse si dovrebbe cercare di cambiare da subito proprio la rete dei comportamenti, degli stili della ricerca, rinunciando all'atteggiamento di difesa (di principi, della «grande letteratura», di qualcosa che, si dice, «si va perdendo») che contraddistingue molti letterati, ritrovando il gusto e il coraggio per una discussione pubblica, nell'accademia stessa più che sui giornali, senza paura di mostrare le proprie reciproche incomprensioni e le proprie differenze di prospettiva.

Diversamente dai postumi, pur comprendendo in certa misura molte loro ragioni, continuiamo a vedere uno spazio per la critica, per la costruzione o il riconoscimento di distanza, per l'individuazione di stili e di forme; anche se magari si tratta di stili in una testualità che non è più soltanto bidimensionale. È presumibile che le nuove tecnologie stiano cambiando ma soprattutto cambieranno, con fresca inaspettatezza, non solo il modo stesso di pensare l'arte, le opere, la scrittura, ma anche il modo di fare critica. Ad esempio il Novecento, con la sua densità e molteplicità, richiede strumenti nuovi per una completa ricomprensione, nuove ipotesi architettoniche sul tenere in conto e sullo scegliere. La coscienza ipertestuale che si va diffondendo, di là dai suoi aspetti venal-ornamentali, e dal miscuglio di evanescenza, esaltazione e diffidenza che l'accompagnano, fornirà sicuramente basi nuove per pensare i fenomeni letterari, per via diretta o per contrasto. Non è tanto una questione di catalogazioni sempre più esaurienti e di per sé esplicative, illusione post-positivista dura a morire, ma di modo di considerare i testi, di riconoscimento delle emergenze, di cambiamento del concetto di valore.

Se dietro le apparenti suggestioni della memoria totale e della dopostoria si vanno preparando invece, probabilmente, silenziose e colossali operazioni di amnesia collettiva, critica è anche cercare di individuare le precise direzioni, per nulla indifferenziate o generalizzate, in cui ciò sta avvenendo, e anche, forse, tenere aperte delle strade, delle istanze di rammemorazione. Il «reale» non è certo una enorme banca dati, e nei prossimi anni si giocheranno importanti questioni riguardanti non solo il modo di ricordare, ma anche il che cosa ricordare. Nello stesso tempo l'abitudine di questa seconda metà del secolo di individuare in ogni bruscolo un «salto di paradigma» sembra quanto mai puerile. In questo quadro le tradizioni, il loro uso e la loro trasformazione, potrebbero anche complicarsi socialmente e geograficamente di là da ogni paventata omologazione. Perciò riteniamo che si possa ancora sperimentare, ricercare e contaminare senza rinunciare a un grammo di saturnina critica della cultura, che il fare creativo possa insegnare ancora, autonomamente e imprevedibilmente, scarti e profondità. Se questo avverrà fuori dai canali dell'asfittico «mercato editoriale», in una prospettiva di demercificazione dell'autore e dei manufatti, o attraverso una profonda ristrutturazione del mercato stesso, sarà tutto da vedere.

L'indifferenziato è solo uno degli stili architettonici del pensiero contemporaneo, a cui non è utile contrappore una (quanto mai dubbia) purezza della letteratura. Allo stesso modo il patrimonio della scrittura, secoli di pensiero gutenberghiano, sono un'acquisizione in qualche modo irreversibile della modernità che produce particolari forme di compresenza dei testi. Nel lavoro su queste compresenze, nell'uso massiccio e nella messa alla prova del sapere tipografico nelle nuove tecnologie, e nella costruzione, oggi più che mai, di dis-corsi, si apre con tutta probabilità il terreno più vasto per un esercizio della critica.

Le «grandi narrazioni» non si estinguono affatto: l'Occidente non fa che autonarrarsi di continuo, sia che opti per un genere apocalittico, apologetico, penitenziale o mistico-sospensivo. Ma dove forse la permanenza delle narrazioni mantiene un interesse critico è a un livello diverso, dove esse assumono un carattere in un certo senso eventuale, operativo, e cioè, tanto per tornare al discorso precedente, istituzionale: la loro metadiscorsività scende dalla Logica alle forme, riguarda gli accessi, i modi, gli stili, le capacità di rifrazione più che la coerenza di un discorso. Ma la forza organizzativa, retorica, ideologica o perfino autoritaria di tale metadiscorsività dei gangli aumenta, non diminuisce: è come se mettessimo una cattedrale gotica di fronte a una lirica di Anselmo Leoni. Questo è uno dei nodi che ci pone di fronte la rivoluzione informatica.

Perciò pensiamo che nella visuale di una ipermodernità, in cui decisivi sono i sistemi della memoria delle forme, ovvero i generi, la loro capacità di istituire differenze, il loro attuale mutamento strutturale, il loro cambio di scala e la loro capacità ricostruttiva, possa costituirsi un'ipotesi di lavoro più riflessiva e meno categorica di altre che pure colgono tutta l'importanza di una fase non epigonica e non stancamente nichilistica dell'umanità.

In questo numero una parte cospicua, nella sezione delle Presentazioni e delle Segnalazioni, è dedicata ai rapporti tra musica e letteratura e alla canzone d'autore. Non pretendiamo di scoprire nuove vie, di là dal valore dei singoli contributi: in realtà le vie sono soprattutto molteplici e forte è il bisogno di trovare strumenti critici per un'indagine inter-mediale. Qui sono rappresentate solo alcune prospettive, musicologiche, culturologiche, letterarie, ma soprattutto prospettive concrete, legate a realizzazioni, come nei casi, diversissimi, di Caprioli e Sanguineti. Limitandosi al tema dei cantautori, proprio da questioni appena accennate, come l'influenza di certa canzone sulla lingua e sulla letteratura, e non solo della letteratura sulla canzone, o come il contrasto che qualche volta si produce tra un carattere costitutivo della canzone - l'estrema riproducibilità e orecchiabilità - e l'innovazione linguistica, comportamentale e stilistica, vengono in luce certi problemi: l'importanza della canzone d'autore come fenomeno culturale e non più di 'costume', l'incongruità di considerare la cultura per settori, abitudine avallata spesso dalle impaginazioni dei giornali o dalle collane editoriali, la necessità, come forse per composizioni di altri secoli quali le ballate, i madrigali, le villanelle, di andare a cercare nella produzione di queste forme il valore reattivo, a volte deviante, a volte ottundente, che esse hanno nell'intero sistema dei generi letterari.

Un'altra piccola parte di questo numero è dedicata alla multimedialità e agli ipertesti, con saggi di Graziella Tonfoni, Giovanni Baffetti e Giorgio Melloni. Seguono altri interventi e progetti di lavoro, un testo poetico di Andrea Cotti, e infine la sezione delle Notizie, dedicata ai convegni, alle mostre, alle riviste e ad altre iniziative. È presente per tutto il numero una serie di notizie sull'attività di Associazioni come l'Associazione degli Italianisti, l'Associazione per gli studi di teoria e storia comparata della letteratura, l'American Association of Italian Studies, l'Associazione Amici di Leonardo Sciascia, l'Associazione Sigismondo Malatesta e, infine, l'Associazione culturale nata intorno all'attività di «Bollettino '900». Chiude il numero la seconda parte dell'aggiornamento bibliografico sulle pubblicazioni dei ricercatori e docenti del Dipartimento di Italianistica di Bologna, che sarà presto disponibile anche sul Web del Bollettino, insieme alla sitografia delle risorse letterarie online.

Federico Pellizzi


n° quattro-cinque, maggio 1996


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