Andrea Cotti
Stanze per Alina


Prima stanza

(«fiore fiore mio fiore
ti ho riconosciuta dal biondo liquore
del viso e gli occhi che socchiudi
mio fiore avvampando la maturità
dei colori e il fermo respiro
guardando ancora fiore mio l'equilibrio
di ogni segno e tocco sulla creta
e come se tutto giù lo avessi veduto
mille volte infranto fiore e mancasse
solo il tuo confine a riaddensarlo»)

ripetimi il tuo nome Alina
perché non riesco a tenerlo tra i denti
e di continuo si posa e poi guizza
come il dorso il colpo d'ala

poi potremo condividere di nuovo
il buon vino e dolore a pochi sorsi
più lenti come se fosse possibile
essere leggeri a questo tavolo di costa

(«allora Alina ricordare l'azzurro
del tuo vestitino e come sembra
essere fragile fragilissimo bordo
Alina questo tuo corpo casuale
che è certo luogo da cui sono affacciati
mille altri e persino ora
persino quest'improvvisa postura
del tuo viso è breve miracolo»)

Alina so che abiti il corpo e la voce

Seconda stanza

(«immagina Alina la scena
di te sul palco e per un attimo esatto
che le cose tutte e i gesti e le parole
potessero uscire in un solo schianto
secca e improvvisa ferita del corpo»)

o il mio corpo spalancato nel quale
non è possibile leggere che di un freddo dolore
fermo sul fondo e non toccato da nulla

Alina l'azzurra caduta delle tue ciglia
si infrange in scaglie schegge e spine
cimitiére marin tes yeux
in cui riposano bianchissimi volti

(«e Alina Alina il tuo nome
breve e possibile preghiera
Alina bordo crinale che tiene
dai venti del Nord e del mare
Alina Alina ricucirlo
questo tuo nome con minuta pazienza
Alina quasi tenesse nel suo filo
il corpo»)

quietamente abitare te Alina
il riposo della tua voce
il riposo cavo e fresco
distendere il respiro e lasciare
gambe e braccia e torso alla corrente


Terza stanza

(«si intravvede di qui Alina
l'acuto sbiancarsi del mare
quel suo d'improvviso farsi
durissima e muta lastra»)

così come brano a brano io vorrei
togliermi di qui allo stesso modo
con cui questo silenzio risciuga
il nero tratto d'ala l'acuto
corpo della rondine

(«non dirmi Alina che questo dolore
è più che altro assenza o lacuna
comunque corpo che si scalza dal corpo
anziché esatto nodo o fuoco»)

oppure che a riscrivere il finale
è la materia stessa a mancare
pietra od osso che si possa ferire
percui è sempre in questa sospensione
d'atto o voce che stiamo raggelati

Quarta stanza

(«oppure Alina tu esattamente
al centro della scena e ferma
e che da lì da te dal fuoco
passassero tutte le voci dei mille
nella vita all'improvviso incontrati
o dei pochi e cari da anni
con pazienza e lentamente conservati
parola a parola sul fondo»)

ed è solo con te che mi riesce
di essere leggero come fossero
di un poco più cave le ossa
e guardare al dolore di lato
non sempre duro corpo del mio corpo
ma la breve visita al tuo nome
alla tua voce che mi rialza a questo
bianco tetto senza increspature

(«più lontano di qui non so cosa
si vede Alina se é l'inverno
ad infilarsi come serpi tra i rami
o una più dolce resurrezione di luce
salendo lenta come spuma sul dorso
della pianura e infine un perdono»)

non so Alina quale dolore
abbia fatto così sottile il vetro
degli occhi ed eppure se ne indovina
lo scarto nella minima tua danza
del passo o quasi più ancora
che fosse l'imperfezione necessaria
perché di fuori tu fossi capace
di muoverti appena come le onde

(«raccontami di te ciò che vuoi
Alina quanti ti hanno attraversata
e cosa di loro quale deposito
di sale hanno lasciato riasciugandosi
Alina come tu riesci ad essere
nel più piccolo dei gesti nel gesto
sminuzzato fino a polvere comunque
tu un lento e tranquillo perdono»)


Quinta stanza

(«oltretutto Alina la voce
è per me sempre più una frattura
nulla che con lentezza si ricomponga
ma anzi l'osso che si sloga dal suo volto»)

penso sempre più agli amici morti
come di certo ci stanno a guardare
come il tempo rappreso dietro alle spalle
è comunque una ferita o una sconfitta

(«anche la voce Alina la voce
è comunque sempre una sconfitta
che con pazienza ogni volta subiamo
sempre un giudizio senza sconti o difese
forse infine la nostra ultima resa»)

e di te a chi mi chiede chi sei
quale genere di angelo non so mai
cosa rispondere se non ancora
che sei tu aspra medicina a questi lenti
giorni e luce che appassisce
ma che di sicuro guardando il nudo
crinale della schiena si vedrebbe
tutta la chiara tessitura delle ali

(«Alina Alina sei severo
confine per come ti è facile
pure a questa distanza leggere
di ogni mio gesto che soccombe
di ogni mio sogno che affiora
alla voce senza però forarla
perchè comunque il silenzio è dentro
ogni singolo e preciso atto
irrimediabile»)

però ancora Alina di te
riconosco l'uguale urgenza
l'uguale partenza sempre prossima
il gesto che sei e che mi compie
e allo stesso tempo una mia privata
meraviglia che ti forma
un mio sguardo stupito che luce
a luce ti costruisce

(«Alina Alina forse
a chi domanda dovrei dovunque
rispondere "sono io"»)

Sesta stanza (o di canto)

«Alina sei cuore del cuore
del corpo mio corpo mio esatto
silenzio e tempo con cui alzo
e abbasso il torso Alina il respiro
Alina l'acuto scialo di cielo
e le rondini il lungo tremore
della luce appena sulle cose
Alina sfogliandosi bianche le stagioni
dagli alberi e i corpi e visi
e Alina Alina giù vedo il fuoco
i lapilli dei biondi capelli
la mia minuta passione dell'orafo
a descriverti dentro questa più lenta
ferita Alina che ti spalanca il volto
e luce e luce Alina ancora
che chiarissima sfiamma e svapora
Alina mia pelle leggera
che calzo ma senza sgualcire
il velluto d'ala la peluria delle foglie
e Alina credo ù sempre per minuzie
il crollo del cuore il tuffo
Alina Alina come le farfalle
consumandosi sul lume in polvere
poi Alina la mano sulla mano
sul tavolo e sulla bocca dirti
"ho occhi azzurri e mani sottili
magro corpo e teso come un ago
asciutto viso fino quasi all'osso
e dentro chiaro furore e miracolo"»


n. quattro-cinque, maggio 1996 - 1996, n. 1


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