Ruedi Ankli
Guccini e De André: continuità letteraria
tra medioevo e canzone d'autore


La canzone d'autore nata negli anni Sessanta si trova in un campo di tensione almeno con quattro diversi aspetti: 1) la cultura orale e cantata (che risale ai cantastorie o ai cantimbanchi medievali); 2) l'interpretazione, che non è anonima, ma - come indica il complemento - "d'autore"; 3) l'impegno umano, civile e politico del cantautore, creatore del testo, della musica e al tempo stesso interprete; 4) la necessità di successo (esigenze di mercato).
Se i primi tre punti potevano valere da Cecco Angiolieri fino a Pietro Gori e oltre, il discorso, ovviamente, è diverso se parliamo della generazione di cantautori nati all'epoca del disco e della trasmissione radiofonica.
Secondo il medievista Paul Zumthor la canzone è il grido poetico.1 Non a caso uno dei padri dei cantautori, Fabrizio De André, si richiama a un sonetto di Cecco Angiolieri, messo poi in musica: S'i fossi foco. De André afferma che questa canzone va interpretata in chiave personale, con un valore emblematico per la situazione esistenziale dei lontani anni Sessanta. Il richiamo alla letteratura del Trecento ha dunque motivazioni ben precise. Come Cecco, figlio di un padre ricco e benestante, che doveva studiare legge ma preferiva la vie bohémienne e la poesia, De André negli anni Sessanta preferì la canzone agli studi universitari. Dal 1968 al 1970 De André arrivò primo nella hit parade con dei dischi LP che introducevano una dimensione letteraria nel mondo della canzone breve. Con La buona novella (1970) De André crea un ciclo di canzoni ispirato ai vangeli apocrifi, e con Non al denaro non all'amore nè al cielo (1971) - con il sottotitolo: «liberamente tratto dall'antologia di Spoon River di E. L. Masters» - egli esplora la natura umana e il clima sociale prodotto dal potere. In queste opere si osserva - già sul piano della forma - un ampliamento della canzone, intesa come uno spazio cantato dai tre ai cinque minuti «in cui si svolge tutto mondo» (Battiato), verso un assetto più complesso, in cui un certo numero di canzoni costituisce un insieme tematico. Dal sonetto-canzone al ciclo, la strada segnata è quella identica al passaggio dal racconto al romanzo o a un ciclo di racconti.
Un altro esempio di poesia medievale, ripresa in forma libera dal cantautore Francesco Guccini, è la cosiddetta "tenzone" tra il cavaliere Folgòre di San Gimignano e il giullare Cenne dalla Chitarra. La canzone fa parte del disco programmatico (e dal titolo sintomatico) Radici del 1970. Che Guccini riprenda il tema medievale - a modo suo, s'intende - per la Canzone dei dodici mesi non sorprende, essendo egli stesso un cantautore letterato, un docente di letteratura che inoltre da tempo svolge ricerche sulla canzone popolare italiana. Come dichiara Guccini sulla copertina del disco, egli aveva anche l'intenzione di scrivere una canzone sui Cantacronache, suoi predecessori. Cercando le sue radici biografiche e personali, tra Modena, Bologna e l'Appennino pistoiese - dove ha passato parecchi anni della sua gioventù - Guccini trova le sue profonde radici storico-culturali. Dal 1989 in poi si è fatto conoscere a un pubblico diverso come autore di romanzi e racconti di non poco successo, il primo dal titolo medievalizzante Cròniche epafàniche dedicato proprio a Pàvana, il paese dei nonni.2
Per capire come Guccini riprenda la tradizione letteraria, si osservino i versi della quinta strofa della Canzone dei dodici mesi:

«Ben venga maggio e il gonfalone amico
ben venga primavera
il nuovo amore getti via l'antico
nell'ombra della sera;
ben venga maggio, ben venga la rosa
che è dei poeti il fiore
mentre la canto con la mia chitarra
brindo a Cenno e Folgore».

L'apertura di questa strofa accenna, oltre alla secolare tradizione popolare, al ben noto poema del Poliziano (1454-1492), completata dall'invito alla rosa (metafora per la poesia). Sul piano intertestuale si nota il brindisi finale a Cenne e a Folgòre. Nella strofa precedente, dedicata ad aprile, vi è un riferimento implicito ad un altro poeta, l'autore dei Canterbury Tales, Geoffrey Chaucer (ca. 1340-1400):

«Con giorni lunghi al sonno dedicati
il dolce Aprile viene
quali segreti scoprì in te il poeta
che ti chiamò crudele?»

Gli ultimi due versi della strofa, dedicata a dicembre, propongono un'altra immagine enigmatica:

«ma nei tuoi giorni, dai profeti detti
nasce Cristo la tigre»

Qui il riferimento è a una poesia di T.S. Eliot.
L'immagine che Guccini offre con questi versi è piena di nostalgia, e con i riferimenti letterari non si è ancora detto niente della nuova dimensione personale e moderna introdotta in questa tematica tradizionale: "Dicono spesso alcuni amici che certe mie canzoni hanno più forza - e verità - se cantate dal vivo, con la chitarra soltanto. Da un certo punto di vista hanno ragione, ma un disco è un fenomeno diverso, a parte, più complesso della semplice canzone".
In queste affermazioni si ha un chiaro riferimento all'importanza della musica, ma anche alla complessa potenzialità di un disco long playing, che si potrebbe paragonare alla complessità di un racconto o romanzo. Gli anni Sessanta hanno risentito non solo in Italia della violenta irruzione dei meteoriti inglesi e americani, cioè i Beatles e Bob Dylan. Insieme a De André - più ispirato dai chansonniers francesi come Brassens, Ferré o Brel - Guccini è uno dei primi ad aver riconosciuto i segni del tempo e l'opportunità di abbinare alla tradizione, sia letteraria, sia popolare, le nuove possibilità dei mass media.
Il capolavoro del disco Radici è senz'altro La Locomotiva, canzone sempre richiestissima ai concerti. Guccini stesso ha ammesso dopo anni che non riesce a spiegarsi il successo di questo brano - tra l'altro difficile da interpretare. Secondo lui contiene qualcosa che stava nell'aria e di cui egli si faceva solo interprete. Il pubblico sembra riconoscersi nel contenuto di quell'anarchico che dirige la locomotiva contro il treno di lusso. Guccini era scettico sul futuro di questa canzone, come testimonia il suo commento sulla copertina del disco: "Ma un certo tipo di canzone non nasce a comando come quelle per i festival, e ho dovuto aspettare che loro, le canzoni stesse, mi venissero fuori dalla chitarra in giorni qualunque, come meglio gli pareva. Ho raccontato storie vere; anche quella dell'anarchico, un fatto quasi sconosciuto, che ho raccontato così come mi è stato detto da un anziano vicino di casa. È un fatto che ho sentito molto, e l'ho raccontato spontaneamente, e forse per questo la canzone è un po' ingenua e retorica. Ma forse questo è a volte un pregio". Ed è stato davvero un pregio, poiché la canzone, più complessa di quanto sembra, permetterebbe di seguire un altro filone della tradizione orale che porta alla poesia dei cantautori: gli anarchici della fine del secolo scorso, con l'esule post-romantico Pietro Gori ed il suo famoso e bell'Addio a Lugano. Ed il cerchio si chiude tra Cecco, Cenne e Folgòre, Gori, De André e Guccini in una continuità della convivenza tra il popolare e il letterario.


 

Note:
1) P. Zumthor, Introduction à la poésie orale, Paris, Seuil, 1983, p. 283: «La chanson, c'est le cri poétique, antérieur aux phrases que banaliserait l'époque où elles tombent».
2) F. Guccini, Cròniche epafàniche, Milano, Feltrinelli, 1989.

 


[versione cartacea: n. quattro-cinque, maggio 1996, pp. 25-27 - versione web: 1996, n. 2, II semestre]

 


Bollettino '900 - Electronic Newsletter of '900 Italian Literature - © 1995-1997