Francis Wheen, Marx. Vita pubblica e privata, Mondadori, 2000, p. 374

Da qualche tempo Marx è stato riscoperto nel mondo anglosassone dal mondo accademico e dai mass media, i quali lo elogiano con appellativi come “il pensatore del nuovo millennio”. In particolare Marx viene considerato il primo economista che analizzò il fenomeno della globalizzazione, in quanto considerava l’espansione l’essenza stessa dello sviluppo del capitalismo.
E’ paradossale, e forse è una ironia della storia, che l’attenzione a Marx si sia affermata adesso che il comunismo non è più una minaccia.
La riscoperta dell’opera di Marx ha prodotto anche un lavoro pregevole come questa biografia scritta da Francis Wheen, giornalista del “Guardian”.
Era da tempo che la vita di Marx non era oggetto di attenzione, certamente da quando è terminata l’esperienza dei paesi socialisti in Europa. Ma anche prima della caduta del muro di Berlino, la vita di Marx, più che essere oggetto di studi, veniva santificata in superficiali agiografie. Questa biografia di Wheen ha il merito di essere una seria indagine storica, scritta col semplice intento di scrivere una biografia di Marx e non per essere rispondente a giudizi preconcetti, com’erano per esempio quelli degli autori sovietici che censuravano gli scritti in cui Marx dava giudizi negativi della Russia (Marx fu sempre ferocemente anti-russo, perché considerava la Russia zarista come il bastione della reazione), oppure ancora, dal lato opposto, i giudizi infamanti di chi accusava Marx di essere stato una spia della polizia (accusa risalente già a Bakunin) o di chi lo criticava per fatti della sua vita privata, come il vivere alle spalle dell’amico Engels. Come ha scritto “The Independent”, “superando sia gli agiografi che i demonizzatori, Wheen è riuscito a far risorgere un uomo sepolto nella sua icona”.
Wheen non ha ceduto nemmeno alla facile tentazione di criticare Marx per taluni aspetti della sua vita privata, come l’essere sempre a caccia di quattrini dai parenti e dagli amici, soprattutto da Engels al quale richiese soldi anche morì Mary Burns, la donna che tra le molte amanti di Engels fu senza dubbio quella a cui fu più legato. Certamente la vita di Marx non è stata un esempio di politically correctness. Wheen non tace gli aspetti della vita di Marx che potremmo definire “moralmente criticabili”, ma correttamente li inquadra nel contesto e pur dedicandogli ampio spazio non ne fa il perno di questa biografia, che altrimenti sarebbe divenuta una biografia scandalistica. Semplicemente, viene rispettato il sottotitolo, “vita pubblica e privata”, e di entrambe si parla in questo libro.
Per quanto riguarda invece la “vita pubblica”, ovvero l’attività politica di Marx e le sue opere, Wheen ricostruisce il formarsi del pensiero marxiano dai molteplici interessi di gioventù all’attenzione crescente prima per la filosofia e poi per l’economia, fino a restare quest’ultima la materia che Marx considerava fondamentale per la comprensione dell’attività umana. Wheen racconta gli sforzi e la fatica fatta da Marx per capire “come funziona” l’economia capitalista, per arrivare al suo opus magnum, Das Kapital, il libro che veramente considerava fondamentale. A proposito di quest’opera, Wheen ripercorre sommariamente i giudizi che ha ricevuto nel corso di oltre un secolo, giudizi che vanno dal definirla un illeggibile ed oscuro cumulo di sciocchezze ad un meno insultante ritenerla una previsione sbagliata sul futuro del mondo e dell’economia. Il giudizio di Wheen è molto più equilibrato. Innanzitutto egli smentisce la fondatezza di facili giudizi sulle “mancate previsioni” dell’immiserimento crescente, ricordando che Marx parla di “impoverimento relativo” e non assoluto, e che, a proposito di previsioni, Marx sosteneva l’impossibilità per il capitalismo di eliminare completamente la miseria, e questo, ricorda Wheen, è quanto è accaduto e sta accadendo anche nei paesi capitalistici più ricchi, dove permangono comunque sacche di povertà. E’ curioso il giudizio complessivo di Wheen sul Capitale: egli lo considera non solo e non tanto un trattato di economia, ma soprattutto “un’opera d’arte”, un’opera che esprime una concezione globale del mondo. Wheen giustifica questo suo giudizio confrontando il Capitale con altre opere di economia scritte da Marx, come Salario, prezzo e profitto, molto più chiare e leggibili. Perché, si chiede Wheen, il Capitale non è altrettanto chiaro e leggibile? La sua risposta è che è così perché si tratta dell’opera a cui Marx ha dedicato tutta la sua vita, la quintessenza del suo pensiero, per cui vi ritroviamo non solo il rigore dell’economista ma anche l’ironia e la verve polemica; “si trarrà dunque maggior valore d’uso e anche maggior profitto dal Capitale se lo si leggerà come un’opera dell’immaginazione: melodramma vittoriano oppure romanzo gotico di vasto respiro, dove gli eroi sono resi schiavi e poi distrutti dal mostro che loro stessi hanno creato (“il capitale che viene al mondo grondante sangue e sporcizia dalla testa ai piedi, da ogni poro”), o fors’anche utopia satirica swiftiana”.
Wheen contrappone alla pesantezza ed alle frasi involute del Capitale non solo la chiarezza di scritti politici come il Manifesto, Le lotte di classe in Francia, ma anche i numerosi pampleth polemici con cui il sanguigno Marx rispondeva per le rime ai suoi critici, anche quando scrivere tali libelli gli faceva perdere tempo ed energie.
Ma la caratteristica comune, secondo Wheen, di tutti gli scritti marxiani, è la critica spietata, iconoclasta (non a caso il motto preferito di Marx era de omnibus dubitandum, si deve dubitare di tutto), per qualunque argomento oggetto dell’analisi, sia la politica, l’economia o la filosofia, una capacità critica che secondo Wheen va apprezzata quali che siano i giudizi che si possono dare sull’opera di Marx.

Fabrizio Billi