Ungheria 1956:
Una pagina erorica del proletariato contro lo sfruttamento


Gli avvenimenti che cinquant’anni fa insanguinarono l’Ungheria meritano un approfondimento sulle pagine di questa rivista.
Già nel 1986, nel numero 10 di prometeo IV serie, venne pubblicato un articolo dal titolo “1956: rivolte di classe in Polonia ed Ungheria”, a questo articolo rimandiamo per un ulteriore approfondimento anche perché in esso si trovano, ristampati, i testi scritti dai nostri compagni a caldo, durante quelle tragiche, eppure gloriose, giornate.
Allora furono in pochi a schierarsi dalla parte degli insorti, i più si schierarono a difesa dell’imperialismo sovietico e giustificarono il massacro perpetrato dai carri armati dell’Armata Rossa.
Il ’56 ungherese è per noi, allora come oggi, un’esperienza carica di preziosi insegnamenti ed indicazioni politiche. Alla luce dei fatti che ora andremo ad esporre le principali sono le seguenti:
E’ il proletariato - la classe di chi ha solo la propria forza lavoro da vendere in cambio di un salario - l’unico soggetto che si può fare portatore di una progettualità politica alternativa al capitalismo.
Un movimento di classe generalizzato può essere innescato anche da movimenti non propriamente proletari a patto che, nelle rivendicazioni poste, la classe trovi istanze per le quali mobilitarsi e quindi mettere in campo il suo potenziale rivoluzionario.
Il capitalismo di stato dell’Unione Sovietica così come dei paesi satelliti e in tutti quegli stati che oggi, fermo restando il capitalismo, si pretendono anti-neoliberisti o anti-imperialisti, varia nella forma ma mai nella sostanza (lo sfruttamento) rispetto al capitalismo occidentale.
I lavoratori possono, in maniera autonoma, arrivare ad organizzare i loro consigli, le loro rivendicazioni economiche e a porsi sul piano della scontro politico con la classe dominante, ma, senza la presenza del partito rivoluzionario, non è possibile ipotizzare la solida attestazione di tale movimento in una prospettiva politica anticapitalista e l’elaborazione di una strategia conseguente.
Solamente se collocata in una dimensione internazionale ed internazionalista volta alla sua generalizzazione, la lotta di classe può rompere l’isolamento ed aspirare a… voltare la pagina della storia una volta e per tutte.

La politica imperialista dell’Unione Sovietica nei confronti degli stati occupati

La conferenza di Yalta, febbraio 1945, sancì, da parte sovietica, i nuovi equilibri post-bellici. L’URSS, con a capo Stalin, mise in essere una politica volta al dominio dei paesi caduti sotto la propria sfera di influenza. La prima postazione di potere che si preoccuparono di occupare nei novelli governi post-bellici fu il ministero dell’interno, il controllo delle forze di sicurezza. Una politica simmetrica venne applicata nell’occidente dove, sebbene i partiti comunisti a volte partecipassero ai governi nazionali, mai ebbero accesso a tale ministero.
Qui ci concentreremo sull’Ungheria ma le condizioni imposte a tale stato sono assolutamente assimilabili a quelle subite dagli altri stati satellite.
Prima della guerra, aveva controllato il paese l’ammiraglio Horty; questi presiedeva il governo reazionario e filo-fascista che aveva seguito la sconfitta della rivoluzione ungherese del 1919 capeggiata da Bela Kun. Il partito comunista dopo tale sconfitta era stato ridotto ai minimi termini e alla più completa illegalità. In tali condizioni non ci fu nessun tipo di opposizione alla stalinizzazione, nell’Ungheria hortista non si generarono correnti critiche antistaliniste. All’alba della seconda guerra mondiale, ed oltre, il proletariato ungherese aveva ormai completamente perso qualsiasi collegamento con la sua insurrezione del ‘19 e non esistevano organismi internazionalisti che potessero contribuire ad un’elaborazione politica rivoluzionaria.
Nel 1944 l’Armata Rossa venne accolta come liberatrice, il suo arrivo alimentò molte speranze di cambiamento, ma… i russi imposero, da subito, una spaventosa continuità di uomini e di linea politica rispetto al governo hortysta. Il generale Bela Miklos, comandante in capo ungherese, venne nominato primo ministro del governo formato a Debrecen, per volontà sovietica, nel luglio 1944; cinque mesi prima aveva ricevuto personalmente da Hitler la Grande Croce dei Cavalieri della Croce di Ferro.
Così fu per molti altri generali, funzionari, poliziotti, militari ecc… (d’altra parte in Italia fu lo stesso con i riciclati fascisti). Qual è la logica che può portare ad una simile politica di riciclaggio degli elementi più reazionari del governo precedente? Semplice, il bisogno di mantenere saldo il controllo della popolazione e dei territori. Chi più qualificato di chi tale controllo lo aveva esercitato per anni, seppure sotto un’altra bandiera! Cambiava la bandiera ma non il modo di produzione, il capitalismo.
Una volta garantita l’esistenza di un apparato di potere capace di mantenere il controllo sociale, il passo successivo fu ridurre ai minimi termini i partiti concorrenti: quello socialista e quello dei piccoli contadini. Nel 1948 vennero completamente liquidati.
La tattica adottata contro le opposizioni fu denominata “del salame”: venivano attaccate ed isolate da principio le frange estreme dei partiti e poi avanti verso il centro fino ad arrivare ad una progressiva frantumazione delle forze avversarie. Il tutto fu accompagnato da una forte repressione poliziesca messa in atto per mezzo dell’AVO, la polizia segreta ungherese riorganizzata nel dopoguerra dall’NKVD sovietico.
Da subito, la polizia segreta ebbe un ruolo centrale nelle strategie del governo Rakosi, uomo di fiducia di Stalin in Ungheria. Lo stipendio di una bassa leva dell’AVO era pari a 3.000 fiorint contro i 1.000 dello stipendio medio nazionale. La paga degli ufficiali oscillava dai 9.000 ai 12.000 fiorint.
L’assoggettamento politico all’imperialismo sovietico andava di pari passo con l’assoggettamento economico che venne garantito in vari modi:
Pesanti risarcimenti furono imposti dalle potenze vincitrici a tutti gli stati conquistati. Gli stessi risarcimenti di guerra che la Russia rivoluzionaria del ‘17 denunciava come “rapina”. Alcuni calcoli quantificano in 124 milioni di dollari la quantità di macchinari e attrezzature varie che furono smantellate in Ungheria per essere inviate in Russia. A questo si somma che l’esercito di invasione sovietico gravava sui paesi occupati per il suo sostentamento, requisendo enormi quantità di beni di prima necessità (per es., si stima che nel ’45 furono requisiti dall’armata rossa i tre quarti del lardo, un sesto del grano ecc…). Così funzionò fino all’aprile ’46. In tutto, Russia, Cecoslovacchia e Yuogoslavia chiesero all’Ungheria risarcimenti per 300 milioni di dollari.
Il controllo del commercio internazionale. Alzata la “cortina di ferro” che impediva ai paesi dell’est di commerciare con l’occidente, l’URSS rimaneva il primo e più importante partner commerciale. Questa imponeva agli stati satelliti, vecchio sistema coloniale, di esportare a prezzi inferiori rispetto a quelli medi mondiali e di importare a prezzi maggiorati. Emblematico l’esempio della Bulgaria che, sebbene avesse già contratto vantaggiosi accordi commerciali per vendere il suo tabacco agli USA, nel 1948 fu costretta a vendere sotto costo all’URSS che rivendette poi a prezzo maggiorato lo stesso tabacco all’Italia.
La farsa delle società a partecipazione mista. Queste società venivano di fatto controllate dai sovietici che intascavano la loro parte di profitti, fatto salvo i debiti contratti che venivano caricati sui bilanci degli stati in cui la società era dislocata.
Con la nazionalizzazione si ebbe che, nel 1949, tutte le aziende passarono sotto il controllo dello stato (dapprima le più grandi poi anche le altre). Stessa politica venne messa in atto nelle campagne, attraverso la collettivizzazione. Di fatto, con queste politiche gli stati, a capo dei quali stavano i fiduciari imposti da Stalin, diventavano i controllori della quasi totalità dell’economia nazionale.

La classe operaia si oppone

I governi filo-sovietici imposti nei paesi satelliti cominciarono da subito ad intensificare lo sfruttamento della loro classe operaia. Sul modello dello stakhanovismo russo, ovunque si tentò di imporre il sistema del cottimo (“la forma di salario più in armonia con il modo di produzione capitalista” – K. Marx, il Capitale), furono irrigidite le norme contro l’assenteismo e gli scarti di produzione. All’interno dei partiti comunisti locali iniziarono forti purghe, sul modello che aveva permesso l’industrializzazione a marce forzate dell’URSS a cavallo degli anni ‘30. Dal solo partito comunista ungherese furono espulsi tra il ‘48 ed il ‘50 ben 483.000 membri, uno dei principali capi d’accusa fu la denuncia di titoismo. Le purghe ed i processi si susseguirono a centinaia.
Le condizioni della classe operaia dell’Europa orientale erano, ovunque, decisamente peggiori rispetto all’anteguerra. Scarsa la fiducia in un futuro migliore.

Le prime crepe: il 1953

Nel Giugno 1953 i lavoratori di Plezen in Cecoslovacchia, sede degli stabilimenti Skoda, scesero in sciopero. Le rivendicazioni erano: maggior partecipazione operaia alla gestione delle fabbriche, abolizione del cottimo, dimissioni del governo e libere elezioni. Truppe provenienti da Praga misero a tacere la rivolta che aveva già registrato l’adesione di soldati in uniforme e l’occupazione del municipio.
Altri scioperi, non solo in Cecoslovacchia, vennero repressi nel silenzio. Il 17 giugno 1953 fu la volta dei lavoratori di Berlino est. Dagli edili, le manifestazioni si estesero ai lavoratori dei trasporti, delle fabbriche a cui presto si unirono studenti e casalinghe. La rivolta si diffuse in tutta la Germania orientale. La sollevazione venne repressa nel sangue.
La morte di Stalin, avvenuta nel marzo dello stesso anno, aveva alimentato qualche speranza di cambiamento. I russi, dopo questi episodi di lotta di classe, decisero di adottare una politica estera leggermente più distesa, ma non avevano grandi margini di manovra. Si agitava su di loro lo spettro della Yugoslavia di Tito che, per avere ottenuto troppa autonomia, aveva aperto nel 1948 il proprio mercato al commercio con gli USA uscendo, di fatto, dalla sfera di influenza sovietica. La paura del titoismo e di perdere altri stati satellite era molto forte.

Imre Naghy storia di uno stalinista “di sinistra”

Nella leggera politica di distensione post-1953, Rakosi, nuovo primo ministro ungherese, si fece da parte per dare spazio ad Imre Nagy. Ci soffermeremo un momento su questo personaggio che avrà un ruolo rilevante nelle giornate del 1956.
Nel governo Mikolos, Nagy fu ministro dell’agricoltura, poi ministro degli interni del governo Rakosi. Era sopravvissuto alle purghe nonostante le sue critiche ai piani a favore dell’industria pesante varate nel 1951. Nagy era a favore di una politica di sviluppo maggiormente incentrata sull’industria leggera, di consumo, per un maggior aiuto ai contadini, dando anche la possibilità ai membri delle fattorie collettive di scioglierle, e per la soppressione dei tribunali speciali. Nel 1954 diede il via ad un allentamento della repressione estendendo alcune libertà politiche. Il 18 aprile 1955 dal Cremlino arrivò l’ordine di rimuoverlo, il proletariato ungherese cominciava ad abituarsi a qualche libertà in più ed il nuovo corso eccessivamente “liberale” rischiava di rendere ingestibile la situazione; l’assemblea nazionale lo rimosse dal suo incarico con voto unanime. Rakosi tornò al suo posto, le concessioni furono sottoposte alla “tattica del salame” e progressivamente cancellate. L’industrializzazione pesante riprese il suo corso.

Un anno che rimarrà nella storia della lotta di classe: il 1956

Nel febbraio ebbe luogo il XX congresso del PCUS, dove venivano denunciati il culto della personalità ed i metodi dello stalinismo, ma non veniva individuato nessun colpevole, oltre al dirigente scomparso. Tutti avevano nuovamente la coscienza pulita, si voltò pagina e si intraprese un nuovo corso di maggiore distensione.
Al di là delle mistificazioni ideologiche, i motivi della svolta erano chiari: l’industrializzazione pesante, con tutto l’apparato di purghe e terrore necessario per attuarla, era giunta ad un livello soddisfacente. La Russia era una potenza industriale a tutti gli effetti. La competizione con l’altro gigante imperialista si spostava su altri terreni (per es., gli USA nel secondo dopo guerra invadono il mondo con le loro merci, il consumismo ecc…), era necessario adeguare il gigante sovietico alle nuove sfide della concorrenza internazionale, pena perdere quote di mercato ed uscire sconfitti dalla sfida della competizione internazionale (come successe poi nell’89).
In realtà, il XX congresso, per la sua rottura rispetto alla tradizione staliniana, rappresentò un grosso problema. I lavoratori credettero che, finalmente, si stesse aprendo il nuovo corso nel quale tanto avevano sperato… il 28 giugno 1956 gli operai di Poznan, in Polonia, scesero in piazza con rivendicazioni in tutto simili a quelle dei lavoratori di Berlino di tre anni prima. Il governo intavolò dei negoziati che andarono per le lunghe, i lavoratori ruppero e lo sciopero si generalizzò. Le rivendicazioni principali vertevano su migliori condizioni di vita, il rifiuto del cottimo, il ritiro dell’Armata Rossa. I Russi accerchiarono la città, ma furono i carri armati polacchi ad entrare ed in due giorni la rivolta fu repressa, ma non domata: si estese infatti al resto del paese. Mentre l’esercito continuava la sua opera di repressione, il governo si mostrò aperto alle rivendicazioni. Gomulka, espulso dal partito ed imprigionato nel 1951, venne estratto dal cilindro e posto a capo del governo che portò avanti una politica conciliazionista con gli scioperanti. Dal Cremlino arrivò Kruscev. Si temeva che da un momento all’altro i Russi avrebbero sferrato l’attacco, invece alla fine si ritirarono. Ritennero che in fondo un governo conciliazionista era meno pericoloso di un’insurrezione operaia. Gomulka fece appello alla chiesa e questa divenne sua nuova alleata in funzione anti-operaia. Quando, a settembre, gli insorti furono processati, ricevettero condanne levi e fatto questo venne salutato con esultanza dai lavoratori ungheresi.

L’alba della rivolta

Dopo il XX congresso, a Budapest, si costituì il circolo Petofi, circolo culturale che raccoglieva intellettuali e studenti, insieme ad esso se ne formarono molti altri. Prendendo esempio dal movimento polacco questi cominciarono ad interrogarsi sulla possibilità di una “via ungherese” al socialismo, anche se gli argomenti principali dibattuti nel circolo rimanevano legati alla libertà di espressione letteraria. Questo genere di discussioni si andava diffondendo un po’ in tutti gli ambienti, senza che il governo Rakosi riuscisse ad arginare il fenomeno. Quando Rakosi, odiato dal popolo, iniziò a prendere le contromisure da Mosca arrivò l’ordine di allontanarlo. Ne avrebbe preso il posto Gero: prevalse la tattica del temporeggiamento.
Nel frattempo il sindacato degli scrittori continuava le sue riunioni arrivando a chiedere addirittura “la libertà assoluta e sbrigliata” per gli scrittori. Il 15 settembre, al congresso del sindacato degli scrittori vennero destituiti tutti gli stalinisti e sostituiti con “ribelli”. Una delle loro rivendicazioni forti era la riabilitazione di Imre Nagy. Il 6 ottobre il governo concesse la riabilitazione post mortem a Rajk, un dirigente “purgato” qualche anno prima. Al corteo funebre di riabilitazione parteciparono 200.000 persone. Circa 300 studenti si distaccarono per dirigersi verso la statua di un martire della patria nei moti del 1849 la ricorrenza della cui morte cadeva nello stesso giorno. Era la prima manifestazione non autorizzata dal dopoguerra. Molti si unirono. La rivendicazione principale era l’indipendenza dell’Ungheria e la libertà.
Contemporaneamente i lavoratori del più grande distretto industriale di Budapest – Czepel la rossa – erano in agitazione. Tra le loro rivendicazioni vi erano il controllo operaio della produzione e l’autogestione delle fabbriche.
Il Circolo Petofi si fece portatore anche di questa rivendicazione, affiancando la richiesta del passaggio dell’amministrazione delle fabbriche ai lavoratori alla richiesta dell’espulsione di Rakosi e alla riabilitazione di Nagy.
Il 23 ottobre venne indetta una manifestazione “in solidarietà con i fratelli polacchi”. Una testimonianza riporta:”non ho mai visto Budapest così felice”.
La manifestazione fu organizzata dagli studenti delle principali università della capitale e dagli intellettuali. Il permesso venne concesso, revocato la mattina del 23 e poi, considerato che in tutta la città si stavano formando assembramenti di persone che sarebbero andate a confluire nel corteo, nuovamente concesso.
Durante il corteo vennero messi molto in risalto i contenuti dell’indipendenza nazionale e della solidarietà con i moti polacchi. Finito il corteo tutti iniziarono spontaneamente a dirigersi verso il parlamento. Si era fatta sera, operai ed impiegati di ritorno dal lavoro si univano agli studenti e agli intellettuali, il corteo si ingrossava sempre più mentre avanzava verso il parlamento. Improvvisamente, le luci della piazza si spensero, per disperdere la folla. In quel momento, secondo le fonti, in piazza c’erano più di 100.000 persone, forse 200.000 o più. Tutti aspettavano una risposta alle loro rivendicazioni.
Mentre si svolgeva il corteo, Gero aveva tenuto un discorso con il quale ne denunciava i contenuti ed i partecipanti, comunicando che il comitato Centrale non si sarebbe riunito per otto giorni. Mentre la folla attendeva sotto il parlamento, una delegazione si diresse verso la radio, un altro gruppo andò ad abbattere la statua di Stalin, alta otto metri, posta nella piazza omonima. Quelli che andarono alla radio, alcune migliaia, volevano trasmettere le loro rivendicazioni. Trovarono ad aspettarli l’AVO armata di tutto punto. Dopo lunghe trattative venne concesso ad una delegazione di salire. Dopo due ore poiché la delegazione non faceva, i manifestanti iniziarono a premere. L’AVO aprì il fuoco e vi furono così i primi caduti dell’insurrezione ungherese. I dimostranti riuscirono a disarmare i poliziotti e diedero il via all’assedio della radio. Era la sera del 23 ottobre 1956.

Dal 23 al 29 ottobre

La notizia dei morti alla radio si diffuse in tutto il paese con una rapidità incredibile. Gli operai delle fabbriche di armi che facevano il turno di notte organizzarono i rifornimenti per i loro compagni in mezzo alla strada. Molti poliziotti e militari passarono dalla parte dei manifestanti, la fraternizzazione dei militari con gli insorti sarà una costante di tutta l’insurrezione. Furono organizzati blocchi stradali in tutta la città e requisite le macchine degli agenti AVO. Da questo momento, la radio ufficiale continuerà a riferirsi ai combattenti come canaglie, fascisti ecc… (ed anche questa è una costante: da sempre, chi si oppone all’ordine costituito viene etichettato con gli appellativi più infamanti). La mattina alle 7.30 la radio dichiara che Gero non è più segretario del partito, al suo posto viene designato Kadar, un elemento di origine proletaria a lungo detenuto come titoista, e Nagy è il nuovo primo ministro ungherese. Quindici minuti più tardi, Nagy proclamava la legge marziale contro gli insorti. Alle otto lo stesso dichiarava che il governo aveva richiesto l’intervento dei carri armati russi.
I promotori della manifestazione del giorno prima erano allo sbando. Colui nel quale riponevano la loro fiducia li aveva traditi. Fortunatamente, a quel punto, l’iniziativa era passata ormai completamente nelle mani degli operai i quali non si fecero troppe illusioni e continuarono la lotta con ancora più determinazione. Fu formato un consiglio di operai e studenti che rimase in assemblea permanente. Era la mattina del 24 ottobre 1956.
Nagy continuava ad appellarsi affinché si deponessero le armi ed alternava tale richiesta con le minacce rivolte a chi avesse continuato ad avere un atteggiamento ostile non credendo alle promesse di una politica di distensione. La lotta infiammava.
Il “Consiglio Rivoluzionario dei Lavoratori e degli Studenti” proclamò lo sciopero generale. I carri armati russi continuavano ad avanzare. Ovunque si organizzava la resistenza. Nell’arco di una mattinata le barricate, dall’essere costituite di semplici taniche, divennero sempre più efficienti e solide. I blocchi venivano posti in mezzo alla strada di modo che i carri armati fossero costretti a passare sui marciapiedi dove era più facile colpirli con le molotov dalle finestre. Moltissimi soldati, anche sovietici, passarono dalla parte degli insorti. Vi furono molti luoghi nei quali si consumarono gloriose battaglie. Citiamo solamente la caserma Killian requisita da un unità dell’esercito ungherese con a capo il colonnello Pal Malèter, passato dalla parte dei rivoltosi, che resistette distruggendo numerosi carri armati sovietici. Gli insorti erano tanto indisciplinati, agli occhi di chi ha in mente un esercito regolare, quanto generosi e determinati. Ogni cingolato dato alle fiamme veniva salutato con grida di Urrah! Che si estendevano in tutto il quartiere.

Cronache di quelle giornate

24/10- Magyarovar: una delegazione di circa 2.000 persone si reca al quartiere generale Avo per chiedere che la stella rossa sovietica fosse rimossa dall’edificio. L’AVO apre il fuoco, 101 morti e 150 feriti. Dalla vicina Gyor arrivarono molti manifestanti, gli esecutori del massacro furono giustiziati e le caserme requisite.
25/10 – Budapest: si celebrano i funerali dei caduti. Il simbolo ufficiale dell’insurrezione è diventato la bandiera ungherese senza il simbolo sovietico ritagliato nel mezzo mentre in onore dei caduti sventolano numerose bandiere nere. L’AVO spara dai tetti su dei militari russi e degli ungheresi che stavano fraternizzando.
25/10 Nagy dichiara che sono in corso le trattative con le truppe russe per il loro ritiro ma nelle strade continuano ad infuriare i combattimenti.

I consigli operai: la nascita

Nel corso della giornata del 24, lo sciopero si estende a tutti i principali centri industriali del paese. I lavoratori formano ovunque, con una rapidità ed una capacità di collegamento inimmaginabili, i loro consigli che organizzano ovunque la resistenza. I consigli sono senza ombra di dubbio la parte più avanzata e cosciente del movimento ungherese. Elaborano spontaneamente il programma dell’autogestione delle fabbriche, organizzano lo sciopero garantendo i servizi essenziali come gli ospedali o l’erogazione dell’energia elettrica.
Radio Budapest è ancora nelle mani del governo, ma nel resto del paese le radio sono quasi tutte sotto il controllo dei consigli che trasmettono informazioni, programmi e proclami. I consigli si formano a centinaia ed ognuno elabora le proprie rivendicazioni. Le più comuni sono:
l’abolizione dell’AVO;
il ritiro dei russi;
l’indipendenza dell’Ungheria;
le libertà civili e politiche;
la gestione operaia delle fabbriche;
la formazione di sindacati indipendenti;
la libertà per i partiti politici ed un’amnistia generale per gli insorti.
Rifletteremo più avanti sul significato politico delle varie rivendicazioni espresse durante l’insurrezione, ma è naturale che in un movimento tanto spontaneo convivano rivendicazioni anche apertamente in contrasto tra loro.
Il 25 ottobre i consigli cominciano a coordinarsi tra loro e nelle città si formano i consigli centrali rivoluzionari che comprendono rappresentanti degli operai, degli studenti, degli impiegati, dei contadini e dell’esercito. Dal pomeriggio del 25 vi sono solamente due poteri in Ungheria: i consigli operai e l’Armata Rossa. Il governo Nagy non ha nessuna base reale, anche se continua incessante con i suoi proclami. E’ singolare il fatto che in moltissimi programmi si continui a volere Nagy presidente anche se, di fatto, nessun consiglio segue le indicazioni dei suoi proclami. Il 28 ottobre vaste regioni del paese sono controllate solo ed unicamente dai consigli rivoluzionari. Non entriamo nello specifico della descrizione del loro funzionamento o dei tanti episodi che si potrebbero citare ma possiamo affermare che la grande partecipazione e vitalità di questi organismi erano la loro forza ed il loro cuore. Il movimento è fortemente incentrato sui consigli operai dei distretti industriali, ma anche i contadini, soprattutto nei distretti agricoli, danno vita ai loro consigli e questi daranno fiato soprattutto alle istanze del clandestino partito dei piccoli contadini. Gli operai, invece, non hanno un partito che possa organizzarne gli elementi più coscienti ed elaborare una strategia politica da contrapporre alle politiche delle altre forze in campo.
Il 26 ottobre il Consiglio nazionale dei ricostituiti liberi sindacati emanava il suo programma: fine dei combattimenti, un governo allargato ai sindacati ed ai rappresentanti della gioventù, presieduto da Nagy, una guardia nazionale composta dai giovani e dai lavoratori che si affianchi ad esercito e polizia, il ritiro dei russi, la gestione delle fabbriche e della pianificazione della produzione da parte dei consigli, aumenti salariali per le fasce basse e la fissazione di un massimo salariale a 3.500 fiorint (contro i 9.000-12.000 percepiti dagli ufficiali AVO), aumenti delle pensioni e degli assegni familiari, trattative per instaurare rapporti economici di reciproco vantaggio coi russi e con gli altri paesi.

Una riflessione

Abbiamo già illustrato, seppure in modo sintetico, alcuni programmi usciti dall’insurrezione, si potrebbe obiettare che essi esprimono un carattere nazionalista, che il loro obiettivo è una democrazia di tipo occidentale, che di fatto i consigli non si sono posti il problema della rottura rivoluzionaria…
La realtà è che il programma espresso dai consigli non è mai andato, né poteva, al di là dell’orizzonte stesso nel quale gli insorti si muovevano.
Un orizzonte nel quale, in funzione antisovietica, insieme agli operai si mobilitarono anche il disciolto partito dei piccoli contadini e gli intellettuali. E’ invece una falsità che vi furono forti infiltrazioni di fascisti provenienti dall’occidente. Vi fu chi, marginale, si rifaceva al regime hortista, ma le infiltrazioni di fascisti occidentali che furono millantate su tanta stampa sono una falsità. E’ un dato incontestabile, infatti, che nei giorni immediatamente successivi all’insurrezione le frontiere siano state letteralmente sigillate e, addirittura, che in pochi siano riusciti a fuggire.
Ciò che è mancata nell’insurrezione è stata una forza internazionalista che fosse in grado di elaborare una strategia di classe da proporre nel corso degli eventi, nel vivo delle assemblee. Va sottolineato come in molti programmi fosse viva l’aspirazione al “vero” socialismo, esprimendo in tal modo la coscienza che la prospettiva socialista “vera”, e non la farsa staliniana, avrebbe rappresentato un futuro migliore.
Una forza internazionalista avrebbe potuto svolgere un’opera di chiarificazione e delimitazione delle rivendicazione proletarie rispetto alle istanze avanzate dagli altri settori sociali. Un partito genuinamente proletario avrebbe operato affinché le parole d’ordine contro i russi e per l’indipendenza nazionale si trasformassero in un appello internazionalista ai proletari degli altri paesi satelliti e ai proletari russi affinché si unissero alla lotta del proletariato ungherese tanto più che furono numerosissimi o gli episodi di fraternizzazione con i soldati. Il nazionalismo quindi fu anche il prodotto dell’assenza di un autentico partito comunista internazionalista.
Vista la situazione di tensione che abbiamo descritto nelle pagine precedenti, probabilmente una vera e propria Comune ungherese, che delegittimasse Nagy ed il suo stato, sarebbe stata un elemento in grado di rompere i delicati equilibri dell’est europeo post-XX congresso. Così non fu.
La componente operaia, priva di partito, non fu in grado di elaborare un programma autonomo da un punto di vista di classe e le corrette istanze che proponeva (il livellamento salariale, il controllo operaio della produzione, la costituzione di una milizia operaia…) si andavano appaiando, in un confuso e contraddittorio programma, con le istanze delle burocrazie sindacali ricostituite e dei partiti piccolo borghesi (ritorno alla democrazia parlamentare, rappresentanze sindacali e dei giovani nel governo, trattative dell’Ungheria, in quanto nazione, con gli altri stati per ottenere condizioni commerciali più vantaggiose, chiusura degli orizzonti dell’insurrezione alla sola Ungheria…) impedendo così alla insurrezione di svilupparsi su un terreno autenticamente rivoluzionario.

Nelle strade si continua a sparare

Il 26 vennero liberati 5.500 detenuti politici. Nagy mentre continuava a fare appelli per il ritorno all’ordine e per l’interruzione dello sciopero, fece alcune concessioni come lo scioglimento dell’odiata AVO.
La mattina del 30 i militari russi si ritirarono; ma solo a pochi chilometri da Budapest per riorganizzarsi le forze con i rinforzi in arrivo da Mosca. I delegati di tutti i consigli, riuniti permanentemente a Gyor, dichiararono che lo sciopero generale si sarebbe interrotto solo quando l’ultimo soldato russo avrebbe abbandonato l’Ungheria. Nagy addossò tutta la responsabilità dell’intervento russo a Gero.
Questa fu una mossa parzialmente vincente, gli intellettuali ripresero in toto la fiducia in Nagy, molti militari rientrarono nei ranghi, gli operai invece ribadirono lo sciopero e fecero appello affinché le armi non venissero deposte.
Tra il 30 ottobre ed il 4 Novembre siamo nel più classico dei dualismi di potere: il governo tenta di riorganizzarsi ma il territorio è controllato dai consigli e dagli operai armati che continuano a paralizzare il paese con lo sciopero. La situazione è di stallo. Meleter diventa ministro della difesa e tratta la ritirata con i vertici dell’Armata Rossa. I lavoratori sono in allarme, perché i consigli dei confini orientali continuano a segnalare ingressi di nuove truppe sovietiche. L’Armata Rossa garantisce che le nuove truppe servono solamente a coprire la ritirata, Nagy, invece, sa bene cosa sta per succedere, ma non riesce ad uscire dall’impasse. Il 1° novembre tenta un atto disperato: denuncia il patto di Varsavia e dichiara la neutralità dell’Ungheria con la speranza che intervenga l’ONU: Ma il segretario di stato USA, Dulles, in ossequio al trattato di Varsavia,. pochi giorni prima aveva già dichiarato che tutto si stava svolgendo regolarmente e infatti il resto del mondo rimase a guardare né avrebbe potuto essere diversamente. Durante la notte del 3 novembre, a negoziati in corso, Meleter ed i suoi collaboratori vengono arrestati dai sovietici.

4 novembre. L’inizio della fine

Alle quattro di mattina di domenica 4 novembre comincia l’invasione. Non ci soffermeremo sui dettagli relativi all’eroismo con il quale giovani, vecchi, donne, bambini, studenti, operai e militari si opposero ad un esercito 1.000 volte più forte. Si farà di tutto per evitare fraternizzazioni evitando che gli insorti entrassero in contatto fisico con i soldati russi. E’ ormai provato che addirittura molti di essi erano convinti di trovarsi a Berlino a combattere contro un ritorno dei nazisti. I circa 6.000 carri armati presenti attaccarono contemporaneamente in tutte le principali città mentre le radio governative riconquistate scandivano il ritornello secondo il quale i combattenti erano “fascisti agenti del nemico, spie e traditori al soldo della reazione”. Ci volle una settimana di battaglie di strada per reprimere gli insorti, gli scontri continuarono ancora per mesi nelle campagne. Nelle città la resistenza armata è spezzata l’11 novembre, sulle macerie dei palazzi di Budapest e tra le dozzine di carri armati sovietici incendiati, apparvero allora manifesti del tipo “Vieni a visitare la nostra bella capitale nel mese dell’amicizia sovietico-ungherese” oppure “Fortunatamente nel paese si trovano sette uomini onesti. Stanno tutti nel governo”: l’ironia sprezzante di cui solo gli sfruttati che combattono gli oppressori sono capaci.
Kadar cambiò il nome del partito, il colore della divisa all’AVO e formò un nuovo governo. Impiccati ai ponti sul Danubio così come sparsi per le strade vi erano cadaveri di insorti a centinaia.
Ma il paese non è ancora sotto il loro controllo!
Lo sciopero, seppure non totale, continuò. I delegati dei consigli arrestati venivano sostituiti da nuove leve, Kadar agitò lo spettro dell’inflazione, i consigli presentarono nuove rivendicazioni tra cui il riconoscimento del Consiglio Centrale come organismo con cui trattare, il rilascio dei detenuti, un nuovo governo Nagy e la sua liberazione. Il 16 Novembre Kadar fu costretto ad aprire le trattative con i consigli per il ritorno al lavoro. Le promesse di Kadar non furono ritenute soddisfacenti, lo sciopero continuò. Alla fine di novembre fu impedito ai contadini di rifornire i lavoratori delle città. Il 21 novembre fu dispersa l’assemblea indetta dal Consiglio Centrale dei Lavoratori di Budapest nello stadio nazionale. I lavoratori risposero con un nuovo elenco di rivendicazioni. Nagy che si era rifugiato nell’ambasciata Jugoslava fu fatto uscire con l’inganno e giustiziato, insieme a Meleter, in Romania. Per tutto dicembre agli arresti dei dirigenti dei consigli corrisposero manifestazioni di migliaia di persone e nuove forme di sciopero, tra cui quello bianco e il sabotaggio della produzione. L’AVO occupò molte fabbriche per consentire la ripresa del lavoro.
Il 9 dicembre, i consigli indicono uno sciopero di 48 ore a partire dall’11, Kadar risponde sciogliendo d’autorità i Consigli Centrali e Regionali, ma non quelli di fabbrica. Viene proclamata la legge marziale.
A mezzanotte dell’11 dicembre inizia lo sciopero con una adesione pressoché totale. Viene addirittura interrotta la fornitura di corrente elettrica, cosa mai successa prima. Il 13 lo sciopero si conclude. Il 15 viene proclamata la pena di morte per chi sciopera (vecchio retaggio del regime di Horty), il 20 dicembre, la polizia viene autorizzata a trattenere i sospetti per sei mesi senza fornire motivazioni. Le esecuzioni si contano a decine. In un tale clima di terrore gli scioperi si smorzano. Dal gennaio 1957 molti delegati dei consigli rimettono il loro mandato dichiarando “…Siamo dell’opinione che se continuassimo ad esistere nel nostro ruolo ciò contribuirebbe ad ingannare i nostri compagni. Restituiamo, pertanto, il nostro mandato ai lavoratori.” (Consiglio centrale di Czepel la rossa, 8 gennaio 1957).
Il 17 Gennaio tutti i consigli vennero sciolti anche se l’ultimo verrà sciolto solamente il 17 novembre 1957. Episodi di lotta più o meno intensi si registreranno fino a tutto il 1959. Le stime valutano che nelle giornate delle battaglie persero la vita tra 20.000 e 50.000 ungheresi e tra 3.500 e 7.000 russi. Il numero di feriti è inquantificabile. Le esecuzioni furono molte migliaia, gli arresti e le condanne alcune decine di migliaia; la maggior parte dei detenuti liberati nell’insurrezione furono nuovamente arrestati durante i rastrellamenti.
 

Loto V. Montina, "Prometeo", maggio 2006

Bibliografia in ordine di interesse

A. Anderson - Ungheria ’56, zero in condotta - ed. Umanità nova - Carrara 1990.
B. Kun - La classe operaia ungherese sotto il terrore bianco - Soc. ed. Avanti - Milano 1920.
T. Meray - La rivolta di Budapest- Club degli editori - Milano 1969.
F. Leoncini - L’opposizione all’est 1956-1981- Lacaita editore, Roma 1989.
M. L. Righi - Quel terribile 1956, Editori riuniti - Roma 1996.
AA. VV. - Ungheria 1956, ed. Lotta comunista - Milano 1986.
J. Berecz - La controrivoluzione ungherese - Roma 1972.