Roberto Biorcio, Ida Farè, Maria Grazia Longoni (a cura di), "Un gentiluomo comunista", Sinnos editore, 13 euro

Massimo, Livio, Raniero… e se cominciassimo a pensarli assieme?

Da pochissimi mesi è uscito un polifonico libro, scritto a più mani e con toni e registri diversi (da quello storico-politico a quello esistenziale-personale) per ricordare Massimo Gorla, scomparso il 20 gennaio 2004 (Massimo Gorla: un gentiluomo comunista, a cura di Roberto Biorcio, Ida Farè, Joan Haim, Maria Grazia Longoni, Roma, Sinnos editrice, 2005, pp. 287, euro 13.00).
Quella di Gorla è una vita che offre oggi testimonianza dell’esistenza e della persistenza nel tempo di una dissidenza, culturalmente e politicamente strutturata, che si è mossa e ha operato nell’ambito della sinistra italiana e internazionale, radicata nella sua storia, con analisi e progetti di lavoro e di costruzione organizzativa che non sfigurano, per la loro concretezza, con altre esperienze più consistenti quantitativamente, messe in campo dai partiti tradizionali che si richiamavano al movimento operaio. Nato a Milano nel 1933, all’età di vent’anni, si era iscritto al Psi. Il 1956, l’anno della destalinizzazione, del XX Congresso del PCUS e del Rapporto segreto di Krusciov –ma anche quello della repressione della rivolta popolare e operaia d’Ungheria da parte delle truppe sovietiche- lo colse mentre si laureava in architettura e maturava, nell’ambito della militanza politica, una serie di riflessioni critiche sulla svolta politica che Nenni intendeva imprimere al partito, avvicinandolo all’area governativa, che lo portarono ad abbandonare quel partito per iscriversi al Pci nel 1957. Risalgono a quegli anni i suoi primi contatti con le tematiche trotskiste e con la minuscola organizzazione italiana della Quarta Internazionale, i Gruppi Comunisti Rivoluzionari (GCR), a cui aderì poco dopo, diventando quasi subito uno dei quadri dirigenti sul piano nazionale e internazionale. Era il responsabile nella segreteria dei GCR del lavoro nel Pci, dove lui e altri compagni della Quarta erano entrati negli anni cinquanta praticando l’ “entrismo”, una tattica politica adottata nei paesi dove le organizzazioni trotskiste erano numericamente di scarso rilievo e esistevano invece grandi partiti comunisti, come nel caso italiano e francese, e socialdemocratici, radicati nel movimento di massa. A livello internazionale egli partecipò ai lavori dell’esecutivo e del segretariato internazionale della Quarta Internazionale.
Questa esperienza, dal protagonista mai rinnegata, se mai contestualizzata storicamente, è ben ricostruita nel libro in questione nei primi due capitoli con testimonianze di compagni di “entrismo” e di trotskismo di quegli anni, quali Giorgio Galli, Livio Maitan, Luigi Vinci, Silverio Corvisieri. Sono anni interessanti, ben valorizzati nel libro, nei quali emerge un intreccio politico e personale tra i protagonisti delle embrionali forme della nuova sinistra che vanno crescendo.

Perché andrebbero pensati assieme

Il trotskismo italiano non appare un accidente isolato da altri gruppi critici verso lo stalinismo e il Pci ma ancorati al marxismo e alla prospettiva della rottura rivoluzionaria. Massimo Gorla è, in quegli anni a Milano, un collaboratore e un promotore della rivista «Quaderni Rossi», creatura voluta da Raniero Panzieri e da altri giovani compagni in rotta di collisione con togliattismo e certo storicismo crociano. Panzieri morto prematuramente all’età di 43 anni nell’ottobre del 1964 (vedi il recente libro Raniero Panzieri. Un uomo di frontiera, a cura di Paolo Ferrero, Edizioni Punto Rosso-Carta, Milano-Roma, 2005) è già considerato dai trentenni, quelli che hanno l’età di Gorla, un “vecchio” nel senso positivo del termine, cioè un maestro di saggezza, di conoscenza e di esperienza politica. Quelli come Raniero e Livio, nati rispettivamente nel 1921 e nel 1923, riescono a legare con una nuova generazione di quadri giovanili che lavorano nel sindacato o militano nelle organizzazioni socialista e comunista, scossi e turbati dal 1956 e alla ricerca di spiegazioni e prospettive differenti da quelle date loro dalle segreterie di partito. Entrambi hanno un passato di “dissidenza” e di produzione politica critica che li qualifica verso questi settori. Panzieri si era iscritto al Psiup (poi Psi) nel 1944. Livio Maitan invece, vi aveva aderito nel 1943. Dopo la scissione del 1947 le strade organizzative dei due si divisero, mentre Panzieri restava nel Psi, Maitan aderiva con la corrente di Iniziativa socialista e la Federazione giovanile socialista, di cui fu prima vicesegretario e poi segretario, al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, da cui uscì pochi mesi dopo per partecipare, assieme al Fronte Popolare, alle elezioni del 18 aprile 1948. Entrato nel frattempo in contatto con la Quarta Internazionale, vi aderì nel 1947 e lavorò, con altri, alla ricostruzione della gruppo italiano, i GCR. Ritrovò, come narra nelle sue memorie "La strada percorsa" (Massari Editore, Bolsena, 2002), Panzieri a Roma, dopo il 1956 e, per una serie di ragioni, nacque un sodalizio personale e di condivisione politica. Sono gli anni del dibattito sul controllo operaio, suscitato dall’articolo di Panzieri e Lucio Libertini, "Sette tesi sul controllo operaio", pubblicato nel 1958 sulla rivista del Psi «Mondo Operaio». Rapporti che si mantennnero nel tempo, anche quando Panzieri si trasferì a Torino, ormai in rotta col partito socialista, a lavorare alla casa editrice Einaudi. Un sodalizio che era anche condivisione e interesse per le esperienze politiche che reciprocamente vivevano, tant’è che nel gennaio del 1964 Panzieri, con una lettera a Maitan, propose un incontro-confronto sul tema del partito che si tenne poi a Torino nel mese di giugno.
Queste brevi e incomplete note informative servono per suggerire di cominciare a pensare quelle storie -finora svolte come biografie dei protagonisti o in forma di narrazione delle vicende del gruppo o dell’organizzazione- anche in senso trasversale, orizzontale, assumendo la prospettiva della ricerca degli intrecci e delle contaminazioni fra le dissidenze di sinistra critica e marxista, cominciando cioè a ricostruire quelle storie dal punto di vista della formazione di una o più generazioni politiche antistaliniste e marxiste che si sono succedute e hanno fornito la base materiale e umana dei gruppi della nuova sinistra.

Nel gorgo dei movimenti, provare a fare un partito

Varie riflessioni contenute nel libro dedicato a Massimo Gorla e anche gli aspetti della sua vita riproposti, richiamano una storia di tipo collettivo-generazionale, evocano una socialità e un intreccio relazionale condivisi che rappresentano il reticolo nel quale si sviluppò quell’esperienza politica e lo spirito del tempo entro il quale essa visse. Nel 1966 ad esempio, Gorla è tra i promotori e redattori della rivista «La sinistra», diretta da Lucio Colletti, che raccoglie tutto un certo tipo di dissidenza marxista, dai trotskisti, agli operaisti, ai maosti senza Stalin, ai castristi e ai guevaristi, alla sinistra Psiup. Gli eventi internazionali, di cui Massimo Gorla era un attento osservatore nonché conoscitore, assieme all’esplosione del ’68 lo conducono ad abbandonare il Pci e a considerare ormai superata la forma organizzativa dei GCR. Partecipa quindi alla costituzione di Avanguardia Operaia: fa parte del gruppo dirigente ed è responsabile della Commissione Internazionale. E tra i promotori della pubblicazione del giornale «Il quotidiano dei lavoratori» che vede la luce nell’autunno del 1974. Nel 1976 è eletto deputato nel cartello elettorale di Democrazia Proletaria, costituito e appoggiato da quasi tutti i gruppi della nuova sinistra, compresi i trotskisti. Viene rieletto deputato nel 1983. Nel frattempo ha partecipato attivamente al processo che porta alla nascita del partito di Democrazia proletaria, dalla fusione tra AO e la minoranza del Pdup. Tutti questi anni sono narrati con emozioni in vari capitoli da molte persone che lo hanno conosciuto (Molinari, Mangano, Longoni, Forcolini, Calamida, Sorlini, De Toni, e tanti altri ancora), fino al capitolo che introduce con efficacia un declino annunciato e vissuto con dignità. Ci riferiamo agli anni Novanta, alla “Malinconia del ritorno a casa” e alla “dignità della solitudine”. Nel 1989 infatti, esce da Dp a seguito del congresso nazionale che porterà alla confluenza nel Movimento di Rifondazione Comunista. Non aderirà a Rifondazione comunista.
Concludono il libro una serie di ricordi affettivi-sentimentali-emotivi molto toccanti e belli, tra i quali una lettera al babbo del figlio Ernesto, una poesia di Rocco Scotellaro che la figlia Silvia gli dedica, e una lettera di Luciana Castellina la quale ricorda una sua grande qualità umana e politica, la gentilezza: “Massimo era gentile; una qualità che, in un tempo in cui i compagni erano di solito maleducati, non era cosa da poco”.

Diego Giachetti