Franco Fortini, "Un dialogo ininterrotto", Torino, Bollati Boringhieri, 2003, pp. LI-749, 40 euro

Il testo, molto corposo, curato da Velio Abati, autore anche di una ricca introduzione, raccoglie le numerose interviste rilasciate da Franco Fortini tra il 1952 e il 1994 su riviste e giornali più o meno noti; in ogni caso la grande distanza di anni le rende spesso “nuove” al lettore di oggi.
Franco Fortini (1917- 1994), fiorentino, di padre ebreo e di madre cattolica, è, senza dubbio, una delle maggiori voci della cultura italiana del novecento. Saggista, poeta, per anni docente di Storia della critica letteraria all’Università di Siena, impegnato in prima persona nella battaglia politica, sempre eterodosso (indimenticabile il suo I dieci inverni sulla crisi dello stalinismo e della sinistra italiana), sempre vicino a movimenti culturali e sociali capaci di criticare l’esistente, ha vissuto il paradosso di vedere il suo impegno poetico e letterario spesso sottovalutato, quasi coperto da quello politico.
Le interviste ripercorrono una sorta di biografia intellettuale, coprendo uno spazio di oltre quarant’anni, con numerosi flash back che riportano a tanti dei drammi del secolo scorso.
Il lucido pessimismo dell’intellettuale si manifesta nella riflessione sugli orrori degli anni da lui vissuti. I lager nazisti, la persecuzione contro gli ebrei, ma anche contro l’uomo in generale, non sono mai disgiunti da una totale denuncia dei gulag staliniani e del sistema di illegalità creatosi nell’Urss tra gli anni venti e i trenta. Fortini narra di aver appreso delle purghe staliniane nel 1944 in Svizzera. Questa tragica rivelazione è fondamentale nella sua formazione, nel suo rifiuto del dogmatismo pseudo- marxista, del suo essere comunista critico per un cinquantennio.
Rispondendo ad una intervista del 1977 intorno ai fatti della storia che lo hanno maggiormente segnato, dice:
Direi nell’ordine la persecuzione fascista contro mio padre, quella razziale del ’38, i grandi eventi esistenziali del 1945, i campi nazisti, i processi di Mosca, l’atomica. E inoltre: tutta la vicenda del comunismo internazionale dal ’35 in poi. E’ il mondo che soffre, ma la piaga la senti tu.
Il testo intreccia memoria, analisi dei temi, questioni nodali quali l’ebraismo, il razzismo, l’impegno dell’intellettuale e figure quali Brecht, Sartre, Lukacs, Vittorini.
E’ la storia, non solo della cultura e non solo italiana che scorre davanti a noi nelle cinquecento pagine, ripercorrendo il dopoguerra, la grande speranza degli anni ’50, con la denuncia dello stalinismo e l’ipotesi di un socialismo rinnovato, l’attenzione ai fermenti giovanili, intellettuali ed internazionali, il disincanto successivo, sino alla disperazione degli ultimi anni.
Le ultime interviste e gli ultimi interventi coniugano un pessimismo antropologico con la disperazione personale per la malattia e la prospettiva della morte, avvenuta nel 1994, l’anno della prima affermazione elettorale delle destre. Come dice una sua frase, riportata sulla copertina del suo Extrema ratio, note per un buon uso delle rovine (Milano, Garzanti, 1990):
La storia è andata così, la vita anche. Mutare il ribrezzo in lucidità, la speranza in certezza. E in impazienza.
Forse il curatore avrebbe potuto procedere ad una scelta delle interviste, selezionandole ed offrendo quindi un libro di minori dimensioni e quindi anche di più agevole lettura. La scelta compiuta permette, però, di meglio comprendere tutta l’opera di questa grande figura della nostra cultura e di ripensare alla sua attualità di poeta e di pensatore critico.

Sergio Dalmasso