Il romanzo del terrore nero

Benedetta Tobagi, "la Repubblica",  24 gennaio 2012



Mentre le cronache portano in primo piano episodi di inquietanti reviviscenze di una destra xenofoba e violenta, in Italia e in Europa, "La legge dell' odio" (Einaudi Stile libero, pagg. 816, euro 22; Gallimard ne ha già acquistato i diritti per la Francia) ci riporta all' orizzonte angoscioso della strategia della tensione, precipitandoci nella testa di un giovane terrorista neofascista, per raccontare il groviglio di ideologia, frustrazioni sociali, vicende personali e passioni prepolitiche che dà origine a una "vita violenta". Il romanzo interseca due piani narrativi. Tribunale di Milano, 1985: al banco degli imputati siede Franco, un leader di Lotta Nazionale (che nella fiction adombra Avanguardia Nazionale). Arrogante, provocatorio, reticente- come tanti personaggi reali visti sui banchi dei processi- monstre per le stragi - nella sua testa ripercorre l' infernale romanzo di formazione del giovane camerata friulano Stefano Guerra, dagli scontri di Valle Giulia nel ' 68 al 1971, quando il folle volo del "lupo azzurro" si arresta alle estreme propaggini della Terra del Fuoco, che occupa gran parte della narrazione. Nonostante la mole, la lettura corre veloce. L' intreccio serrato e la storia d' amore tra il terrorista Stefano e la giovane archeologa Antonella, miraggio di un' altra vita possibile, fatta di bellezza, libertà, cultura, che ama appassionatamente, senza saperlo, il carnefice del proprio fratello, tengono alto il ritmo del racconto, nonostante alcune cadute: decisamente troppo lungo, ad esempio, l' excursus in Afghanistan, appesantito dall' artificio kitsch di un incontro con Bruce Chatwin che incrina le certezze di Stefano. Alberto Garlini affronta in forma di romanzo l' antropologia della destra eversiva, un mondo che ha segnato profondamente la nostra storia, ma resta opaco, rispetto alla galassia del terrorismo di sinistra: pochi e molto contestati i pentiti "neri", rari anche memoir e interviste: sul terrorismo di destra perdura la coltre di omertà. Fuori dai recinti del noir o del giallo, il tema latita anche in letteratura: ricordiamo Avene selvatiche, l' autobiografia romanzata del sanbabilino Danieletti, in arte Preisner,o il "Nero" di Romanzo Criminale, ma era dal (bellissimo) Occidente di Ferdinando Camon, che già nel 1975 osò calarsi nella mente di uno stragista, che un romanzo non affrontava con questa intensità il mondo del terrorismo nero. Alberto Garlini contribuisce a colmare un vuoto di conoscenza e comprensione. La legge dell' odio racconta con linguaggio vivido i bagliori di esaltazione e la quotidianità asfittica di "soldati" giovanissimie sbandati, tra alcol, sessoe bravate, ragazzi che vogliono abbattere il sistema e vedono nell' "azione eroica" e nella "violenza purificatrice" l' unica possibilità di trovare un senso. Sentiamo pulsare la rabbia, l' ebbrezza quasi erotica della distruzione, la fascinazione per le armi e la morte (Stefano e i suoi fedelissimi stingono il "patto di sangue" durante un picnic nella spettrale desolazione del Vajont). Per le loro stanze squallide passano gli intrecci con la criminalità comunee con apparati di sicurezza che "lasciano fare" (i Carabinieri che tante volte chiudono un occhio davanti ai traffici d' armi di Stefano), i finanziamenti di dubbia origine (chi paga davvero l' appartamento regalato a Stefano?), le ambiguità dei leader missini, la sovrapposizione di progetti eversivi diversi che rende così difficile da decifrare la trama esatta di un' azione stragista (nel romanzo è "piazza del Monumento", un calco di piazza Fontana), azione che non è chiara nemmeno alla stessa "manovalanza" coinvolta. Verità e menzogne si confondono in un sottobosco in cui si mescolano complotti golpisti, ambizioni personali, vizi e debolezze, governato dalla legge onnipresente della vendetta e del ricatto, a tutti i livelli, che finisce per minare anche i rapporti d' amicizia, in un crescendo di desolazione umana. Confusa la percezione delle strumentalizzazioni da parte dell' intelligence: alcuni sono convinti di governare il gioco, altri, come Stefano, tentano l' estrema ribellione. Il romanzo fotografa bene anche i forti conflitti generazionali tra uomini d' ordine e giovani rivoluzionari, tra vecchi reduci di Salò e i giovani "lupi azzurri", adepti del guru dell' esoterismo nazifascista Evola che vogliono mostrarsi migliori dei vecchi nostalgici, nel culto di un ideale perverso di virilità. «Forse l' intera stagione di volontà rivoluzionaria, di violenza, nasce da una mancanza di scappellotti dei padri sui figli» pensa Stefano in un passaggiochiave: la mancanza, o la patetica inadeguatezza, dei "padri" - a destra come a sinistra - percorre tutto il libro, fino alla scoperta del trauma originario di Stefano, colpo di scena rivelato nel finale. Il nesso tra finzione e vicende storiche è forse l' aspetto più problematico del romanzo, al contempo rende più intrigante la lettura: chi s' interessa a quel periodo storico potrà giocare a tracciare una tabella di corrispondenze. Garlini, nella premessa, prende le distanze, ma resta sospeso a metà strada: nomi reali, da Pasolini a Feltrinelli, si mescolano a caratteri fittizi,e molto precisoè il calco di tanti personaggi ed eventi reali; in un quadro complessivo fedele ai dati storici e giudiziari disponibili, l' autore a tratti non resiste alla tentazione di interpretazioni, talora discutibili (come la presenza di una pluralità di ordigni nella strage di piazza del Monumento/Fontana). Ma è il dato umano, osceno e talvolta struggente, il cuore del romanzo, la sua forza. Garlini ci immerge negli aspetti più sconcertanti della psiche del protagonista. Stefano, pur combattuto, è incapace di arrestare la sua caduta in una spirale di violenza, per un' atroce perversione del senso d' onore e d' integrità. Ancora più disturbante, il giovane pluriomicida e complice in strage si sente un combattente, un puro, quasi un innocente. Solo nel grembo di infinita compassione della poetessa cilena Cesarea, amica, amante e madre (non a caso una vittima del golpe cileno), ricompone la scissione, assume le proprie responsabilità e consegna la sua autobiografia-confessione a un notaio: un accenno di lieto fine che nella realtà, purtroppo, non è mai dato.