Frances Stoner Saunders, "La guerra fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti", Roma, Fazi, 2004, pp. 506, euro 21.50

Dieci anni fa, scrivendo sul quotidiano «Repubblica» del 7 luglio 1995, Nello Ajello “rivelava” che  in Italia oltre alla P2 e a Gladio, era esistito anche un anticomunismo illuminato e progressista, persino di sinistra, che aveva trovato spazio in “una costellazione di riviste culturali di tradizione laica e antifascista”; un anticomunismo che “mai sconfinava con le ossessioni di Joseph MacCarthy, mai colludeva con le maniere rudi di Scelba, mai si piegava all’affarismo di regime”. La vicenda italiana di questo anticomunismo è oggi ripresa nel libro di Frances Stoner Saunders che ricostruisce con dovizia di particolari e ampia documentazione, i rapporti intercorsi, durante la guerra fredda, tra la CIA e l’Intellighenzia anticomunista dell’Europa Occidentale. L’autore chiama in causa nomi altisonanti del Novecento: scrittori, critici d’arte, scienziati, storici, registi, direttori d’orchestra, attori, editori, giornalisti che si misero al servizio della lotta contro il comunismo e per la difesa delle libertà dell’Occidente democratico, accettando di lavorare per enti, riviste, istituti, giornali finanziati direttamente o indirettamente dalla CIA. Il libro, non a caso, è stato accolto con imbarazzo quando venne pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 1999 e, l’anno dopo, negli Stati Uniti.
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, nell’euforia panica scatenata dall’inizio della guerra fredda la CIA varò un programma per “vincere senza combattere la terza guerra mondiale”, scatenando una guerra culturale e propagandistica da contrapporre a quelle messa in campo dai sovietici, dal suo servizio segreto, il famoso KGB, dai partiti comunisti e dalla sinistra marxista in genere. Uno dei principali ispiratori del programma della CIA era Frank Lindsay, che già si era fatto le ossa nell’Oss (il servizio d’informazione statunitense durante la seconda guerra mondiale) che tra il 1949 e il 1951 aveva organizzato in Europa la rete stay behind, Gladio.
L’avvio alla realizzazione del programma iniziò con la convocazione del Congresso per la libertà della cultura, che a Berlino nel 1950 sancì la nascita di un’internazionale di cervelli contro le marce dei partigiani della pace ispirate da Mosca. Rimase attivo in molti paesi fino al 1967. Il Congresso raccolse uomini di cultura in gran parte di estrazione liberaldemocratica o radicali, di sinistra non marxista o ex comunisti delusi dallo stalinismo. Risultarono coinvolti a vari livelli e per periodi diversi Bertrand Rassel, John Dewey, Karl Jasper, Raymond Aron, Arthur Koestler. Fra gli italiani: Benedetto Croce, Ignazio Silone, Nicola Chiaromente, Guido Piovene, Altiero Spinelli, Carlo Levi, Italo Calvino, Vasco Pratolini.. Alcuni di loro sapevano che il congresso era una creatura della CIA, altri lo intuivano ma preferivano non approfondire, altri ancora, probabilmente, ne erano ignari.
Il Congresso aveva uffici in trentacinque paesi, stipendiava decine di persone, pubblicava più di venti riviste di prestigio, organizzava esposizioni d’arte, contava su un proprio servizio per la diffusione di notizie e articoli di opinione, organizzava conferenze internazionali e ricompensava musicisti, artisti, scrittori con premi e pubblici riconoscimenti. Come scrive l’autore nell’introduzione, la sua missione consisteva nel distogliere l’intellighenzia europea dal fascino del maxismo e del comunismo in favore di una visione del mondo che si accordasse con l’American way. Una rete di persone lavorò gomito a gomito per promuovere l’idea che il mondo aveva bisogno di una pax americana, di un nuovo illuminismo. Già il piano Marshall –combinando aiuti economici e decisa propaganda ideologica e politica, voleva trasmettere un messaggio chiaro: il futuro dell’Europa occidentale d’ora in avanti sarebbe stato intrecciato con quello degli Stati Uniti. Si trattava, in primo luogo, di contrastare l’idea radicata in Europa che l’America fosse culturalmente povera, una nazione di masticatori di cicles, di grandi automobili, di zotici vestiti da ricchi.
Gli Stati Uniti impiegarono enormi risorse ed energie, mobilitando tutte le forse culturali possibili, costituendo fondazioni, finanziando il cinema, lo spettacolo, il costume per diffondere le idee americane, la libertà americana e contrastare il comunismo a livello culturale. Si determinarono così intrecci tra gruppi d’interesse economici, politici, militari e culturali. La guerra del Vietnam fu letta come la prosecuzione della battaglia per il contenimento dell’espansione comunista nel mondo. Grande fu lo stupore e lo scoramento quando una nuova generazione di giovani, americani e non, cresciuti nel clima della guerra fredda, cominciò a contestare e criticare quella guerra e quel sistema dando vita ai movimenti di protesta e controculturali degli anni sessanta che sfociarono poi, soprattutto in Europa, nel ’68.
Rilevante fu l’apporto degli italiani. La riunione di Berlino in cui nel luglio del 1950 venne fondato il congresso per la libertà della cultura, era presieduta dal filosofo liberale Benedetto Croce ed era stata preparata dallo scrittore Ignazio Silone. Nel gruppo dirigente della sezione italiana del Congresso, accanto a laici come Adriano Olivetti e Mario Pannunzio, figuravano personaggi come Ferruccio Parri, Ugo La Malfa, Nicolò Carandini, Francesco Campagna, Giuseppe Romita, Gaetano Martino. L’affiliata Associazione italiana per la libertà della cultura fu istituita da Ignazio Silone alla fine del 1951 e divenne il centro di una federazione di circa cento gruppi culturali indipendenti, ai quali l’associazione forniva conferenzieri, libelli, libri, film e uno spirito cosmopolita. Pubblicava il bollettino «Libertà della cultura» e successivamente la rivista «Tempo Presente».

Diego Giachetti