Piero Sansonetti, "Dal '68 ai no-global. Trent'anni di movimento", Baldini & Castoldi, Euro 12,50

Molti anni fa, una persona illustre, un intellettuale con doti notevoli, uno dei più grandi dirigenti del PCI, quando leggeva gli articoli di Piero Sansonetti gli diceva: «È buono, però riscrivilo. Manca una cosa importante: l'anima. Mettici l'anima e riportamelo».
Non so se grazie a quell'uomo, di cui Sansonetti non fa il nome, o grazie a chi, comunque lui ha imparato a mettere l'anima in ciò che scrive. O almeno, in questo libro "Dal 68 ai No-global" Sansonetti ha messo tutta la sua anima ed il suo cuore.
Senza seguire un ordine cronologico, né apparentemente logico, egli rincorre i suoi ricordi, le sue emozioni; analizza le ideologie di allora e di oggi. Ci narra di persone e di fatti. Di lui sessantottino, del suo lavoro all'"Unità"; di suo figlio quindicenne di oggi; dei suoi amici, di quelli che poi hanno cambiato idea e di quelli che pur non avendo cambiato idea sono in una posizione diversa dalla sua perciò è possibile istaurare un dialogo. Piero Sansonetti si pone domande e dove può cerca di dare una risposta ragionata.
Si chiede ad esempio «Carlo è un eroe?» E poi risponde di no; sa che questo movimento non vuole e non cerca né eroi né martiri, ma sa perfettamente che Carlo è il simbolo di una generazione anarchica che si è ribellata con le sue forme politiche, con le sue iniziative e con il suo stile di vita.
Il movimento del 68 - ci spiega l'autore - capì che l'ordine delle cose creato dall'uomo non era l'ordine naturale delle cose; e non era un ordine equo. Pensò che per rovesciare quell'ordine sbagliato servisse il potere. Questo nuovo movimento, al contrario, non si pone il problema del potere e nulla rivendica per se stesso; ma chiede per gli altri, per il Sud del mondo soprattutto.
La prima battaglia del movimento del 68 fu contro il consumismo, i giovani di allora prendevano coscienza del fatto che mentre l'Occidente si stava arricchendo, la povertà si allargava altrove e l'umanità non era certo libera. Quel movimento però non aveva grandi maestri ed interessò soltanto una piccola parte del mondo; di conseguenza solo una limitata zona geografica ottenne risultati positivi riguardanti la libertà, i diritti dei lavoratori e soprattutto il rovesciamento del senso comune ed i rapporti uomo donna.
Questo nuovo movimento (che Sansonetti continua a chiamare No-global ma, noi che ne siamo parte integrante, sappiamo che sarebbe meglio chiamare movimento dei movimenti) non è strettamente generazionale e non è geograficamente limitato. Contesta il fatto che la globalizzazione sposta nei Paesi ricchi una quantità sempre più grande di ricchezze, di energie, di potere togliendoli al Sud del mondo. Non è un movimento utopistico, ma al contrario lega la sua esistenza a scadenze, obiettivi concreti, conquiste graduali, riforme, stanziamenti di fondi. Sansonetti ci presenta poi con attenzione e cura i leader di questo movimento: dal più conosciuto Vittorio Agnoletto al più vecchio Piero Bernocchi; dal più giovane Luca Casarini all'unica donna Raffaella Bolini.
Piero Sansonetti ha capito che la decisione dei DS, dopo l'assassinio di Carlo Giuliani, di ritirare l'adesione alla manifestazione del giorno successivo è stato uno degli errori più grossi e più sciocchi che il partito potesse fare.
Si chiede, alla fine del libro, se la "sua" sinistra avrà la forza di capire che questo movimento è una grande potenza e ad esso bisogna aprirsi.
Poi risponde: «Io credo di sì, avrà la forza».
E noi dall'interno di questo movimento glielo auguriamo.

Elisabetta Caravati, dal sito http://www.rifondazione.it/savona