William Gambetta, Democrazia proletaria. La nuova sinistra tra piazze e palazzi, Milano, Punto Rosso, 2010, pp. 287, euro 15.00
 

Dp, la rivoluzione che entrò a Palazzo

Recensione di Marco Severo, http://libri-parma.blogautore.repubblica.it/2011/01/26/dp-la-rivoluzione-che-entro-a-palazzo/
 

Ci fu un momento in cui la piazza si fece palazzo. In cui il furore fluido dei movimenti provò a comporsi in istituzione allo scopo di bilanciare quella stessa istituzione, il Parlamento, a cui ambiva. Ci fu un momento in cui l’Italia votò Democrazia Proletaria. Dp: due lettere in alternativa, forte e inconciliabile, a Dc. Due lettere come la cruna di un ago, attraverso cui le organizzazione della sinistra rivoluzionaria nata dal “lungo Sessantotto” intesero far passare le spinte e il caos creativo dei movimenti di protesta. Dai cortei ai banchi di Montecitorio: è la rivoluzione che si inietta nell’ordine costituito.
Quel momento fu il 1976. E, prima ancora con le elezioni regionali e l’esordio di un cartello unitario postSessantotto, il 1975. Ce lo racconta William Gambetta, 43enne storico parmigiano, con il libro Democrazia Proletaria, La nuova sinistra tra piazze e palazzi (287 pagine, 15 euro, Edizioni Punto Rosso). Il testo verrà presentato giovedì 27 gennaio a Bologna, nella Libreria delle Moline (in via delle Moline 3/a) dall’autore e dal segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero. Introduzione di Gianni Paoletti dell’associazione Punto rosso di Bologna. Il libro, ricco di cospicui rimandi bibliografici e d’archivio, offre anche 15 pagine di sezione iconografica: dalla genesi del simbolo di Dp ai bellissimi ‘bianco e nero’ dei comizi di piazza. Con la sua vita tormentata e la sua salute cagionevolissima, Dp “rappresentò – scrive Gambetta – un’alternativa concreta per avanguardie e delegati di fabbrica, settori sindacali e intellettuali, collettivi giovanili e comitati di lotta, associazioni democratiche, periodici e radio libere” che rappresentarono il ricco deposito della risacca del Sessantotto (in questo caso inteso come preciso riferimento cronologico, a fronte della tendenza a indicare invece con ‘il lungo Sessantotto’ l’intero ventennio che mutò il volto dell’Italia e che è compreso fra il 1958 e il 1978). Per tutti coloro, insomma, che non accettarono l’aut aut della fine degli anni Settanta: da una parte il rientro nella sfera privata dopo la scoperta della dimensione collettiva delle manifestazioni di piazza, dall’altra la lotta armata.
Fu nel 1975 allora, per la prima volta alle elezioni regionali e un anno dopo alle politiche, che sulla scheda elettorale gli italiani trovarono quel simbolo, ruvido e per molti espiatorio: un pugno chiusissimo sullo sfondo d’un globo marchiato con falce e martello, tutto cerchiato dalla scritta Democrazia Proletaria. Dellla lista facevano parte le principali organizzazioni che dopo il biennio 68-69 aspirarono a rappresentare politicamente la conflittualità sociale – in maniera ora costante – dei movimenti: Avanguardia operaia, Partito di unità proletaria, Lotta continua, Movimento lavoratori per il socialismo. Il Sessantotto entrava così nelle urne, le istanze anticapitalistiche erano a portata di crocetta. Il 20 giugno 1976, poi, la festa: Dp riesce a far eleggere e a portare in Parlamento 6 deputati, conquistando l’1,5 percento dei voti. Un corto circuito storico-sociale? Un evento miracolistico di ordine e sintesi nella rissosa vicenda della sinistra? Prova a spiegarlo Gambetta, con la collaborazione del Centro studi movimenti di Parma (di cui è tra i fondatori) e l’archivio storico della nuova sinistra ‘Marco Pezzi’. Lo storico ripercorre minuziosamente le tappe della prima fase della storia di Dp, quella che va dal 1975 – con l’importante antefatto del 1972 – al 1979. La fase cioè della nascita di Democrazia Proletaria come partito, che ebbe il suo battesimo nel momento forse più critico e – in termini non scientifici più sbagliato – della nostra storia recente: l’aprile 1978, a cavallo fra il rapimento e l’assassinio di Moro, con Roma – dove il partito venne fondato – blindata e sorvolata dagli elicotteri delle forze antiterroristiche. Entusiasmi inattesi, slanci, cadute. E poi scissioni, liti immancabili nelle formazioni di sinistra. Nel volume Gambetta passa in rassegna tutti gli snodi del periodo tirando fuori dal dimenticatoio storiografico una pagina preziosa – in ogni caso – della nostra storia recente. Quella in cui la rivoluzione parve rincorrere e raggiungere quel “sistema di potere – come scrive Gambetta – deciso ad annichilire, a mettere a tacere, a isolare socialmente, a censurare culturalmente” le istanze e “le tensioni anticapitalistiche”. Quella in cui la storia parve passare per la cruna di un ago troppo piccolo.