Carlo Panella  "Il verbale", Sellerio Editore, Palermo, 2003

(E poi, tutti abbiamo amato Genova; hanno ammazzato un ragazzo sparandogli in faccia hanno picchiato e massacrato, e prima ancora avevano edificato una zona rossa per dividere il paradiso artificiale dall’inferno reale. Eppure Genova c’è entrata dentro...Ci torniamo spesso, tutti.)

Carlo Panella ci narra della sua Genova. Boccadasse: “...ansa del mare, oasi di case dai mattoni corrosi dal salmastro, nella striscia di cemento impermeabile che è la mia città...” Ci narra dei suoi amori, delle sue case: “... provate a dimenticarla una casa così, vi entra nel sangue. Centottantanove scalini, tutti fatti la mano nella mano con lei, mio primo amore...”.
Prima del 68 un cartello irrompe nella vita di Carlo e, in qualche modo, la cambia. Il cartello indica il divieto di balneazione. Un ragazzo di sedici anni si chiede: dopo il mare a chi toccherà? E tutto forse inizia da lì, da quel perché al quale non sa trovare una risposta. Molte risposte invece, deformate in gergo d’ufficio, vengono trascritte nei verbali d’interrogatori in questure e caserme. A D. R. (A Domanda Risponde...), ma le risposte riportate sono così diverse dalla realtà narrata; e tutto si trasforma in un discorso apparentemente lineare, credibile, ma svuotato di sentimenti ed ideali.
Perciò, in questo “verbale”,  Panella  amplia le risposte riportate nei verbali d’interrogatorio; spiega a se stesso e a noi ciò che accade a Genova e soprattutto a lui, prima durante e dopo il sessantotto.
E dunque un ragazzo all’uscita da scuola si chiede chi e perché ha distrutto il suo mare; successivamente si porrà altri perché.  Perché una legge proibisce (fino al 1971) l’uso di contraccettivi; e perché un membro del partito comunista spagnolo viene condannato a morte mediante garrotta; e perché viene bombardato il Vietnam... E poi, già l’anno prima del 68, Carlo Panella e la sua generazione cercano di costruirsi delle risposte. Alcune risposte sono là, nelle assemblee, nell’occupazione della facoltà universitaria, nel distribuire volantini fuori dalle tante fabbriche, in una città come Genova, che puzza d’industria e sa dappertutto di operai... E improvvisamente con dolore quasi fisico, il capire che non è l’io, il soggetto della protesta, e dunque non l’indignazione l’etica la libertà personale,  ma il coinvolgimento di tutti, il riportare ogni cosa ad un altro grande, mitico protagonista: la classe operaia.
Il 4 marzo 1972 la Questura di Genova autorizza un concentramento in una piazza ed un comizio da tenersi in un’altra piazza (entrambi per chiedere la liberazione dell’anarchico Pietro Valpreda), ma proibisce ai manifestanti di recarsi da una piazza all’altra tutti assieme. I fatti non si svolgono  ovviamente, come la Questura ha indicato... Inizia da qua la fuga, la latitanza di Carlo Panella. Verrà condannato, ricercato, “iscritto” alle Brigate Rosse e, in appello, verrà assolto... ma in lui rimarranno, incubi ed angoscia e paura...
Poi un giorno, molti anni dopo il 68, Carlo Panella tornerà nella sua Genova, a Boccadasse (era stato scritto  in un verbale d’interrogatorio: Boccadasse non trattasi di nome in codice o coperto di duplicità di significato, né di epiteto ingiurioso. Trattasi di località fattualmente compresa nello stradario della città di Genova). Vent’anni dopo, Carlo tornerà a gironzolare per quel mare che lo battezzò a Boccadasse; tornerà a giocare con i polipi ed a cercare le conchiglie.Gli resteranno, come amici, una gracula dal nome Romolo, una tribù di gatti e altri amici. Amici che si ritrovano in un circolo assolutamente esclusivo, a Firenze, in una casa le cui mura stan lì dal 400. Pagano molto, quegli amici, per aver diritto a partecipare, una volta all’anno, a quell’incontro, come in uno dei più esclusivi club anglosassoni.
Pagano.
Pagano per estinguere il debito residuo del fallimento commerciale di Lotta Continua quotidiano. Pagano gli alimenti ad una storia che era iniziata con la rivoluzione da farsi. E questo è il fascino del naufragio. I sopravvissuti, come fossero benedetti dagli dei, continuano a vivere in una sorta di stato di grazia e pagano affinché non rimanga macchia sul nome di famiglia; e... sperano in cuor loro che, da un’altra parte, un’altra baleniera stia armando le vele...

Elisabetta Caravati