AA.VV. "L'Unione Anarchica Italiana. Tra rivoluzione europea e reazione fascista (1919 - 1926)", pp. 312, 15 euro
 

Con la pubblicazione di questo libro, si aggiunge un nuovo, prezioso tassello a quel processo di indagine e ricostruzione delle radici e della storia dell'anarchismo organizzato di lingua italiana, che in questi ultimi anni ha visto uno sviluppo tanto intenso quanto indispensabile per la comprensione dei processi evolutivi che hanno portato alle odierne forme organizzative del nostro movimento.
In questi ultimi tempi non sono mancati, soprattutto ad opera di Zero in Condotta e della Biblioteca Franco Serantini, importanti lavori di carattere storico, in grado di "coprire" un arco temporale che, partendo dalle origini e passando per il primo dopoguerra, arriva fino agli ancora sostanzialmente inesplorati anni Ottanta. Ed ora con questo libro, che raccoglie i saggi e le relazioni presentate al convegno di studi promosso a Imola nell'ormai lontano 1999 dall'Archivio Storico della Fai con la collaborazione di alcuni gruppi e federazioni dell'Emilia Romagna, si viene, in un certo senso, a definire compiutamente un quadro di insieme capace di spiegare e illustrare, con la dovuta serietà scientifica, la lunga storia del nostro movimento e dei suoi processi organizzativi. Del resto il convegno imolese, tenutosi nell'ottantesimo anniversario del congresso nel quale si costituì a Firenze l'Unione Comunista Anarchica Italiana, poi più semplicemente Unione Anarchica Italiana, era stato pensato proprio per apportare un contributo alla piena conoscenza delle dinamiche politiche e sociali che resero possibile il definitivo venire alla luce e, di conseguenza, il compiersi di un percorso organizzativo che aveva attraversato, come un fiume carsico, il movimento anarchico nei suoi primi cinquant'anni di storia.
La costituzione della Uai, infatti, non fu solo il felice momento di avvio di un movimento organizzato finalmente non più su presupposti localistici ma su un'ipotesi saldamente federalista e di respiro nazionale, ma fu anche, e soprattutto, il punto di arrivo di una lunga maturazione teorica che faceva giustizia delle sterili ipotesi individualistiche e antiorganizzative che purtroppo avevano tarpato a lungo le ali alla vitalità dell'anarchismo. È soprattutto il saggio di Gigi Di Lembo che permette di comprendere appieno le tappe, spesso irte di difficoltà, che permisero l'affermarsi definitivo della ipotesi federalista, mentre Maurizio Antonioli, con il suo acuto intervento sugli anarchici individualisti e antiorganizzatori, descrive gli ambienti, soprattutto milanesi, che tentarono di contrastare, principalmente sul piano ideologico, l'ineluttabile processo che doveva sfociare nella costituzione della Uai. Del resto la presenza di Malatesta, finalmente rientrato dal lungo esilio londinese, non poteva non dare la spinta definitiva alla nascita di una unione nazionale degli anarchici e la stesura del Programma adottato nel congresso bolognese del 1920, di cui parlano Giampietro Berti e Tiziano Antonelli, viene ad essere lo straordinario coronamento del pensiero e dell'azione del grandissimo rivoluzionario campano.
Naturalmente l'attività degli anarchici organizzati, negli anni dell'occupazione delle fabbriche, della rivoluzione russa, delle rivoluzioni europee, dell'avvento del fascismo, non era rivolta solo al proprio interno, ma si esprimeva con un'azione a tutto campo, apportando una feconda spinta propulsiva e rivoluzionaria alle intense e drammatiche lotte sociali di quegli anni. Questo naturalmente rendeva ancora più attenta e occhiuta la sorveglianza questurinesca sul movimento, come racconta brillantemente Placido La Torre, senza peraltro impedire agli anarchici dell'Uai di contrastare coraggiosamente lo squadrismo fascista. Dei tentativi di opposizione alla violenza fascista e della ricerca di un fronte unico proletario parla diffusamente Marco Rossi, mentre i generosi, lungimiranti e reiterati tentativi di coordinare la risposta delle sinistre al montare della reazione sono l'oggetto dell'intervento di Giorgio Sacchetti. Né poteva mancare un saggio, quello, come sempre stimolante, di Santi Fedele, sull'atteggiamento, dapprima fiducioso, ma presto assolutamente critico che l'organizzazione e il movimento anarchico ebbero nei confronti della rivoluzione russa e della sua degenerazione burocratica.
Naturalmente il processo che portò alla formazione di una organizzazione a livello nazionale, non fu il frutto di una istanza centralista calata autoritariamente dall'alto sulle propaggini decentralizzate del movimento, ma fu il portato di varie spinte locali le quali, unendosi, dettero un senso all'esigenza di creare finalmente una struttura in grado di coordinare, e quindi rendere più efficaci e incisive, le innumerevoli attività diffuse sul territorio. E non poteva essere diversamente trattandosi di una struttura profondamente anarchica e libertaria. Merito del convegno, e quindi di questo libro che ne raccoglie gli atti, è l'avere saputo descrivere la vitalità e la ricchezza di queste esperienze e l'avere raccontato come queste riuscissero a trovare un comune denominatore nella formazione prima, nello sviluppo organizzato e uniforme poi, dell'Unione Anarchica Italiana.
Numerose sono state le relazioni di carattere "locale", ed è interessante osservare come tutte, pur trattando di località e situazioni profondamente "distanti", non solo geograficamente, vengano comunque a descrivere istanze organizzative ed esigenze operative sostanzialmente uniformi, sia che si parli dell'Italia del nord, come fanno Roberto Bernardi e Tobia Imperato, sia che si affronti, come Natale Musarra e Fabio Palombo, esperienze decentrate e "anomale" quali quelle siciliana e abruzzese. Franco Bertolucci, poi, e Tomaso Marabini, alla sua prima felice esperienza di storico, hanno invece affrontato gli elementi costitutivi di due esperienze sostanzialmente diverse, quale quella pisana, condizionata da una forte presenza antiorganizzatrice e quella imolese, fortemente determinata, al contrario, a sostenere e sviluppare il processo organizzativo in atto. A dimostrazione di come, anche in zone segnate da una presenza libertaria indubbiamente radicata, le risposte al problema organizzativo potessero presentare momenti di discontinuità.
Come si può capire da queste succinte note, il volume di Zero in Condotta, curato redazionalmente come meglio non si poteva, è uno strumento indispensabile non solo per conoscere quali siano stati i binari sui quali si è concluso, storicamente, il tragitto organizzativo degli anarchici italiani, ma anche per comprendere meglio la sostanziale continuità teorica fra l'anarchismo "storico" e quello attuale. E per rendersi conto del "debito" ideale che la Federazione Anarchica Italiana, dopo i suoi primi sessant'anni di vita, ancora ha nei confronti della vecchia Unione.
 

Massimo Ortalli, "Umanità nova", 18 febbraio 2007