Sono passati esattamente sessant'anni dalla morte, in tragiche circostanze,
di Pietro Tresso, militante attivo sin da giovanissima età nel movimento
operaio, prima nel Partito socialista, da Livorno al 1930 nel Partito comunista
e poi nel movimento trotskista. Dalla metà degli anni '60 sono usciti,
in Italia e in Francia, vari saggi su di lui, apprezzabili per la documentazione,
anche se, in certi casi, discutibili nell'impostazione. La Storia del Pci
di Paolo Spriano parla di Tresso a proposito della vicenda che avrebbe
portato alla sua espulsione, con indicazioni sulle sue scelte successive:
ma neppure un accenno alla sua morte e alle circostanze di questa morte,
in volumi pur comparsi oltre quindici anni dopo il '56.
Pietro Tresso era nato a Magré, in provincia di Vicenza, nel
1893 e già a nove anni aveva cominciato a lavorare come apprendista
sarto. Militante della gioventù socialista a quattordici anni, all'inizio
della Prima guerra mondiale doveva comparire dinnanzi a un tribunale militare
per la sua attività antimilitarista. Era assegnato a un battaglione
di disciplina e, divenuto ufficiale, subiva per oltre due anni la disumana
esperienza della vita nelle trincee. Ammalatosi di tubercolosi, era congedato
dall'esercito e riprendeva la vita civile, che, per lui, era di nuovo,
immediatamente, l'impegno politico militante. Nel Partito socialista si
schierava risolutamente a sinistra, collaborando con l'ala bordighista.
A Livorno, nel 1921, partecipava alla fondazione del nuovo partito e l'anno
successivo faceva parte della delegazione italiana al IV congresso dell'Internazionale
comunista. A Mosca, dove aveva una responsabilità nell'Internazionale
dei sindacati rossi, collaborava con Antonio Gramsci. Al congresso di Lione,
nel 1926, era eletto membro candidato del Comitato centrale, di cui diveniva
poi membro effettivo. Era quindi eletto nello stesso organismo di direzione
più ristretto, l'Ufficio politico, assumendo compiti di primo piano
sia nel Centro organizzativo interno sia nel Centro che operava all'estero.
Nel febbraio 1927 partecipava a una conferenza per la ricostruzione della
Confederazione sindacale ed era eletto al Comitato direttivo provvisorio.
Nel 1929-1930 l'Internazionale comunista, ormai sotto il controllo
del gruppo dirigente staliniano, proclamava la linea del cosiddetto Terzo
periodo che combinava una visione catastrofista della crisi del capitalismo
e un tetragono settarismo verso i partiti socialdemocratici, definiti con
il paradossale epiteto di "socialfascisti". Nel Pci l'opposizione a questa
linea, espressa anche da Gramsci dal carcere, era presente anche nell'Ufficio
politico che a un certo momento risultava diviso a metà: per uscire
dall'impasse si calcolava irritualmente come effettivo il voto del rappresentante
della Federazione giovanile. Secondo una versione, dura a morire, Tresso,
come Leonetti e Ravazzoli in accordo con lui, si sarebbe opposto al rilancio
dell'attività all'interno del paese. In realtà Tresso negava
che esistesse in Italia una prospettiva di rovesciamento del fascismo a
breve termine e, se era d'accordo su un rilancio del lavoro interno, contrastava
impostazioni di fatto avventuristiche che si sarebbero pagate a caro prezzo.
Nel giugno 1930 i tre oppositori erano, comunque, espulsi dal partito.
Solo dopo avrebbero preso conoscenza delle posizioni sostenute da Trotskij
e dall'Opposizione internazionale di sinistra. Tresso si legava al movimento
trotskista, continuando il suo lavoro nell'emigrazione italiana, ed entrando
poi nel Partito socialista (massimalista) in applicazione della scelta
entrista fatta allora dai trotskisti in Francia. Nel settembre 1938 era
presente al congresso di fondazione della IV Internazionale ed era eletto
al Comitato esecutivo.
La guerra era ormai imminente e nel giugno 1940 la Francia era occupata.
Ricercato, come molti altri, dalla Gestapo, Tresso si impegnava nell'attività
clandestina. Arrestato nel giugno 1942, era condannato da un tribunale
di Vichy a dieci anni di reclusione. Ma un anno dopo un'azione coraggiosa
di partigiani liberava dalla prigione di Puy-en-Velay un gruppo di prigionieri
politici tra cui Tresso. Sembrava aprirsi, dunque, per lui una nuova fase
di lotta antifascista e rivoluzionaria e, invece, i suoi giorni erano contati.
Tra i partigiani che lo avevano liberato, c'erano militanti legati al Partito
comunista francese, che venivano a conoscenza della sua vera identità.
Pochi giorni dopo, alla fine di ottobre, sempre del 1943, Tresso, con tre
altri militanti di orientamento trotskista, erano assassinati e i loro
parenti e compagni perdevano a lungo ogni loro traccia. Si è molto
indagato sugli esecutori materiali dell'assassinio. Comunque, drammaticamente
certo è che hanno agito su istruzione di apparati e di singoli dirigenti,
ispirati dalla logica perversa dello stalinismo.
Un anno prima della morte, Tresso aveva scritto dal carcere una lettera
struggente: «Proprio perché siamo rimasti giovani - vi si
leggeva - ci troviamo praticamente fuori dalle diverse "chiese". Le stesse
aspirazioni morali che ci hanno spinto, fin dalla giovinezza all'interno
di un partito, ce ne hanno spinto fuori quando si sono trovate in disaccordo
con quelle che vengono definite necessità pratiche. Se fossimo invecchiati,
avremmo ascoltato la voce dell'esperienza, saremmo diventati "saggi", ci
saremmo adattati, come molti altri, all'astuzia, alla menzogna, al sorriso
ossequioso verso i vari "figli del popolo", ecc. Ma questo ci è
stato impossibile. Perché? Perché siamo rimasti giovani.
E per questo sempre insoddisfatti di ciò che è e sempre aspiranti
a qualcosa di meglio. Quelli che non sono rimasti giovani sono diventati,
in realtà, dei cinici. Per loro, gli uomini e tutta l'umanità
non sono che strumenti, dei mezzi che debbono servire ai loro scopi particolari,
anche se questi scopi vengono mascherati con frasi di ordine generale;
per noi gli uomini e l'umanità solo le sole realtà esistenti».
L'autore di queste righe aggiunge subito dopo che tutto questo era
«molto generico». Ma ciò non deve impedirci di coglierne
il significato più genuino. Un nuovo partito comunista rifondato
- se mai vedrà la luce - dovrà acquisire nel suo comune patrimonio
la coerenza politica, lo spirito di un impegno militante che non teme rischi,
e la profonda ispirazione morale di Pietro Tresso, che per questo abbiamo
voluto ricordare su Liberazione.
Livio Maitan, da "Liberazione", 26 ottobre 2003