"Pietro Tresso,  un rivoluzionario comunista", di Livio Maitan, "Liberazione", 26 ottobre 2003

Sono passati esattamente sessant'anni dalla morte, in tragiche circostanze, di Pietro Tresso, militante attivo sin da giovanissima età nel movimento operaio, prima nel Partito socialista, da Livorno al 1930 nel Partito comunista e poi nel movimento trotskista. Dalla metà degli anni '60 sono usciti, in Italia e in Francia, vari saggi su di lui, apprezzabili per la documentazione, anche se, in certi casi, discutibili nell'impostazione. La Storia del Pci di Paolo Spriano parla di Tresso a proposito della vicenda che avrebbe portato alla sua espulsione, con indicazioni sulle sue scelte successive: ma neppure un accenno alla sua morte e alle circostanze di questa morte, in volumi pur comparsi oltre quindici anni dopo il '56.
Pietro Tresso era nato a Magré, in provincia di Vicenza, nel 1893 e già a nove anni aveva cominciato a lavorare come apprendista sarto. Militante della gioventù socialista a quattordici anni, all'inizio della Prima guerra mondiale doveva comparire dinnanzi a un tribunale militare per la sua attività antimilitarista. Era assegnato a un battaglione di disciplina e, divenuto ufficiale, subiva per oltre due anni la disumana esperienza della vita nelle trincee. Ammalatosi di tubercolosi, era congedato dall'esercito e riprendeva la vita civile, che, per lui, era di nuovo, immediatamente, l'impegno politico militante. Nel Partito socialista si schierava risolutamente a sinistra, collaborando con l'ala bordighista. A Livorno, nel 1921, partecipava alla fondazione del nuovo partito e l'anno successivo faceva parte della delegazione italiana al IV congresso dell'Internazionale comunista. A Mosca, dove aveva una responsabilità nell'Internazionale dei sindacati rossi, collaborava con Antonio Gramsci. Al congresso di Lione, nel 1926, era eletto membro candidato del Comitato centrale, di cui diveniva poi membro effettivo. Era quindi eletto nello stesso organismo di direzione più ristretto, l'Ufficio politico, assumendo compiti di primo piano sia nel Centro organizzativo interno sia nel Centro che operava all'estero. Nel febbraio 1927 partecipava a una conferenza per la ricostruzione della Confederazione sindacale ed era eletto al Comitato direttivo provvisorio.
Nel 1929-1930 l'Internazionale comunista, ormai sotto il controllo del gruppo dirigente staliniano, proclamava la linea del cosiddetto Terzo periodo che combinava una visione catastrofista della crisi del capitalismo e un tetragono settarismo verso i partiti socialdemocratici, definiti con il paradossale epiteto di "socialfascisti". Nel Pci l'opposizione a questa linea, espressa anche da Gramsci dal carcere, era presente anche nell'Ufficio politico che a un certo momento risultava diviso a metà: per uscire dall'impasse si calcolava irritualmente come effettivo il voto del rappresentante della Federazione giovanile. Secondo una versione, dura a morire, Tresso, come Leonetti e Ravazzoli in accordo con lui, si sarebbe opposto al rilancio dell'attività all'interno del paese. In realtà Tresso negava che esistesse in Italia una prospettiva di rovesciamento del fascismo a breve termine e, se era d'accordo su un rilancio del lavoro interno, contrastava impostazioni di fatto avventuristiche che si sarebbero pagate a caro prezzo. Nel giugno 1930 i tre oppositori erano, comunque, espulsi dal partito. Solo dopo avrebbero preso conoscenza delle posizioni sostenute da Trotskij e dall'Opposizione internazionale di sinistra. Tresso si legava al movimento trotskista, continuando il suo lavoro nell'emigrazione italiana, ed entrando poi nel Partito socialista (massimalista) in applicazione della scelta entrista fatta allora dai trotskisti in Francia. Nel settembre 1938 era presente al congresso di fondazione della IV Internazionale ed era eletto al Comitato esecutivo.
La guerra era ormai imminente e nel giugno 1940 la Francia era occupata. Ricercato, come molti altri, dalla Gestapo, Tresso si impegnava nell'attività clandestina. Arrestato nel giugno 1942, era condannato da un tribunale di Vichy a dieci anni di reclusione. Ma un anno dopo un'azione coraggiosa di partigiani liberava dalla prigione di Puy-en-Velay un gruppo di prigionieri politici tra cui Tresso. Sembrava aprirsi, dunque, per lui una nuova fase di lotta antifascista e rivoluzionaria e, invece, i suoi giorni erano contati. Tra i partigiani che lo avevano liberato, c'erano militanti legati al Partito comunista francese, che venivano a conoscenza della sua vera identità. Pochi giorni dopo, alla fine di ottobre, sempre del 1943, Tresso, con tre altri militanti di orientamento trotskista, erano assassinati e i loro parenti e compagni perdevano a lungo ogni loro traccia. Si è molto indagato sugli esecutori materiali dell'assassinio. Comunque, drammaticamente certo è che hanno agito su istruzione di apparati e di singoli dirigenti, ispirati dalla logica perversa dello stalinismo.
Un anno prima della morte, Tresso aveva scritto dal carcere una lettera struggente: «Proprio perché siamo rimasti giovani - vi si leggeva - ci troviamo praticamente fuori dalle diverse "chiese". Le stesse aspirazioni morali che ci hanno spinto, fin dalla giovinezza all'interno di un partito, ce ne hanno spinto fuori quando si sono trovate in disaccordo con quelle che vengono definite necessità pratiche. Se fossimo invecchiati, avremmo ascoltato la voce dell'esperienza, saremmo diventati "saggi", ci saremmo adattati, come molti altri, all'astuzia, alla menzogna, al sorriso ossequioso verso i vari "figli del popolo", ecc. Ma questo ci è stato impossibile. Perché? Perché siamo rimasti giovani. E per questo sempre insoddisfatti di ciò che è e sempre aspiranti a qualcosa di meglio. Quelli che non sono rimasti giovani sono diventati, in realtà, dei cinici. Per loro, gli uomini e tutta l'umanità non sono che strumenti, dei mezzi che debbono servire ai loro scopi particolari, anche se questi scopi vengono mascherati con frasi di ordine generale; per noi gli uomini e l'umanità solo le sole realtà esistenti».
L'autore di queste righe aggiunge subito dopo che tutto questo era «molto generico». Ma ciò non deve impedirci di coglierne il significato più genuino. Un nuovo partito comunista rifondato - se mai vedrà la luce - dovrà acquisire nel suo comune patrimonio la coerenza politica, lo spirito di un impegno militante che non teme rischi, e la profonda ispirazione morale di Pietro Tresso, che per questo abbiamo voluto ricordare su Liberazione.

Livio Maitan, da "Liberazione", 26 ottobre 2003