Mark Kurlansky, 1968. L’anno che ha fatto saltare il mondo, Milano, Mondadori, 2004, pp. 447, euro 18.00
Vittorio Giacopini, Fuori dal sistema. Le parole della protesta, Roma, Minimum fax, 2004, pp. 216, euro 9

Un nuovo (ennesimo?) libro sul ’68, quello di Mark Kurlansky, che merita di essere segnalato e letto per due ragioni. E’ scritto sotto forma di pagine di diario relative al fatidico anno (ma con ampie digressioni negli anni che lo hanno preceduto), non ha al centro dell’attenzione l’Italia ma, soprattutto, gli Stati Uniti e poi, via via, Francia, Messico, Polonia, Cecoslovacchia, Germania Est e Ovest, Brasile, Giappone, Cina, Canada, Gran Bretagna. Non meno marginale, appare il contributo alla critica al sistema da parte degli intellettuali radical-marxisti e non, tracciato nel libro di Vittorio Giacopini. Accanto all’analisi critica, e sovente spietata, al sistema chiuso e delle società industriali (fossero esse democratiche-parlamentari o socialiste-reali), svolta da autori quali Bettelheim, Goodman, Marcuse, Barthes e i situazionisti (peccato manchi Charl Wrigt Mills), la presenza dell’italico Pier Paolo Pisolini non sembra reggere il confronto, anche perché la sua critica alla società assume spesso i tono di una decadente critica alla modernità in sé, intesa come corrutrice di popoli e strati sociali subalterni, rovinati rispetto ad una presunta e “selvaggia” bontà primitiva, leggendaria, fantastica e -a tratti- un po’ animalesca.
Che ci fossero motivi d’insofferenza e di malessere esistenziale, prima ancora che politico e sociale, all’interno delle società industriali era un tema già presente e ricorrente in minoranze di intellettuali e di giovani, soprattutto negli Stati Uniti. Nel 1962 un piccolo gruppo di giovani, militanti del SDS, si riunirono a Port Huron nel Michigan e buttarono giù un documento coll’intenzione che fosse “un ordine del giorno di una generazione”. Quella che sarebbe divenuta nota come New Left, era stata definita ed era una sinistra cui non piacevano né i liberal, di cui non ci si poteva fidare, né i comunisti, che erano autoritari, né i capitalisti, che depredavano la gente della libertà, né gli anticomunisti, che erano dei bravacci. Non a caso Allen Ginsberg scriveva: “i comunisti non hanno niente da offrire, solo guance grasse e occhiali e poliziotti bugiardi/ e i capitalisti offrono Napalm e soldi in valigie verdi (in Papà respiro addio: Poesie Scelte (1947-1995), Milano, Il Saggiatore, 1997, pp. 302-303)
Il 1967 non era stato un buon anno per gli Stati Uniti. Nei degradati quartieri neri, erano esplose un numero eccezionale di violente e devastanti rivolte. A Los Angeles, durante la rivolta del 1965 erano state uccise 34 persone, a Detroit  nelle sollevazioni razziali del 1967 ne erano morte 43. In Viet Nam nel 1967 erano morti 9353 americani, più della metà del numero totale delle perdite subite dagli Stati Uniti che ormai assommavano a 15.997 caduti e 99.742 feriti.
Così, il primo giorno del 1968 il «New York Time» titolava in prima pagina: “Il mondo dice addio a un anno violento”, augurando un ’68 migliore. Previsione smentita. All’apice dei combattimenti nel Vietnam, nel 1968, l’esercito degli Stati Uniti uccideva ogni settimana un numero di persone più o meno pari a quelle che persero la vita l’11 settembre 2001 nell’attacco al World Trade Center (Mark Kurlansky, p. 6). Dall’altro capo dell’Atlantico il Presidente francese De Grulle, l’ultimo giorno dell’anno 1967, dichiarava: “saluto il 1968 con serenità”.
Alcuni mesi dopo, Francois Missoffe, ministro della gioventù stava visitando l’università quando uno studente, basso di statura dai capelli rossi, gli chiese di fargli accendere una sigaretta. Dopo averla accesa il giovane Daniel Cohn-Bendit disse: “monsieur le ministre, ho letto il suo libro bianco sui giovani. In trecento pagine non c’è una parola sui loro problemi sessuali”. Il ministro rispose: “non c’è da meravigliarsi che, con una faccia come la sua, abbia di questi problemi: le consiglio un tuffo in piscina”. Replicò lo studente: “ecco una risposta degna del ministro della gioventù di Hitler”. La rivolta del maggio francese stava scoppiando mescolando, come avveniva in altre parti del mondo, politica, musica, sesso.
 La nuova musica dei campus non aveva a che vedere solo con la politica e gli stupefacenti, ma anche con il sesso. I concerti rock, al pari delle manifestazioni politiche, preludevano spesso a incontri erotici. Jim Morrison si definiva “un politico erotico” e Janis Joplin dichiarò: “la mia musica non è fatta per farvi ribellare, è fatta per scopare” (Mark Kurlansky , p. 207). Ed Sanders definì la metà degli anni sessanta “l’epoca d’oro della scopata” (Mark Kurlansky, p. 208).
Il 7 settembre 1968 un gruppo di cento donne si diede appuntamento all’elezione di miss America e incoronò una pecora, poi si misero a gettare oggetti in una “Pattumiera della libertà”. Nel bidone finirono guaine, reggiseni, ciglia finte, bigodini e altri prodotti di bellezza. Era il debutto delle New York Radical Women e che avevano alle spalle una notevole esperienza di lavoro nella nuova sinistra o nel movimento per i diritti civili. Quel 7 settembre è considerato da molti la data di nascita del moderno femminismo. Questo gruppo introdusse una pratica nuova che si rivelò rivoluzionaria: il consciousness-raising, o pratica dell’autocoscienza. Nei Dannati della terra Frantz Fanon scriveva di come i colonizzati avessero menti colonizzate: essi accettavano il posto in cui la madre patria li aveva messi, ma senza essere consapevoli di stare accettando quel ruolo. Le femministe erano convinte che gli uomini avessero fatto la stessa cosa alle donne, e che nel rendere queste ultime consapevoli stava la chiave per fare del femminismo un movimento di massa: quella pratica, in apparenza una mera forma di autoterapia, avrebbe conquistato alla causa femminista migliaia di loro compagne.
La rivolta generazionale penetrò anche oltre cortina. Non più totalmente tagliati fuori dall’Occidente, i giovani non tardarono a far propria la vivace cultura giovanile occidentale: si misero a indossare texasski (blue-jeans) e a frequentare i club dove si ascoltava il rock and roll. A Praga c’erano più capelloni con barba e sandali che in qualunque altra città d’Europa. il 1° maggio 1965 mentre il resto del mondo comunista celebrava la ricorrenza, la gioventù praghese incoronò Kraj Majales, re di maggio, il poeta beatnik Allen Ginsberg, giunto in visita nel paese. Nel novembre del 1967 un piccolo gruppo di studente praghesi decise di fare quello che stavano facendo gli studenti in Occidente, una manifestazione.. Alla fine del 1967 gli studenti distribuivano volantini e discutevano con chiunque li avvicinasse per strada: assomigliavano in tutto ai loro compagni di Berlino, Roma e Berkeley. Polacchi e cechi sapevano rispettivamente gli uni degli altri, come sapevano che c’era un movimento do contestazione negli Stati Uniti, ricavavano moltissime notizie sulla guerra del Vietnam e sui movimenti in occidente dai giornali di regime

Diego Giachetti