"Nella rete del regime. Gli antifascisti del Parmense nelle carte di polizia (1922-1943)", a cura di Massimo Giuffrida, Roma, Carocci, 2004, pp. 225, euro 22.80

Le fonti principali usate per la ricognizione dell’antifascismo parmense durante il ventennio fascista (1922-1943) sono le carte del casellario politico provinciale della locale questura e quelle del casellario politico centrale di Roma. Con queste carte è stato possibile realizzare un’ anagrafe dell’antifascismo parmense composto da 2.760 schedati e pubblicato in ordine alfabetico nelle pagine finali del libro. Inoltre, la ricognizione ha permesso di definire la dimensione del fenomeno sul territorio urbano e provinciale, l’origine e la provenienza sociale ed economica degli antifascisti, le classi d’età coinvolte, la divisione secondo il genere, il grado e il tipo di adesione alle organizzazioni clandestine, le funzioni esercitate nell’attività antifascista, il ruolo svolto e i diversi percorsi individuali delle persone coinvolte. Parallelamente le carte e le informazioni in esse raccolte offrono un’immagine del tipo di lavoro poliziesco svolto e della struttura repressiva messa in campo: la rete del regime, appunto che a Parma, dato il suo passato di opposizione forte al fascismo, fu particolarmente efficace e messa alla prova. Non a caso il libro, scritto a più mani, si apre con un capitolo storico introduttivo di Mario Palazzino su antifascismo e stato poliziesco che mette in luce come a Parma, più che altrove, il passaggio dal regime liberale al sistema di potere fascista si manifestò con una rottura netta nella direzione di una maggiore stretta repressiva. Il ricordo delle barricate che nell’agosto del 1922 avevano fermato le squadre fasciste di Balbo indusse Mussolini  a emanare misure straordinarie in materia di ordine pubblico. In questo senso, scrive Mimmo Franzinelli nell’introduzione, “Parma funse, per il primo governo Mussolini, da prototipo; una pluralità di misure liberticide fu infatti introdotta nella città emiliana con tre anni d’anticipo sulla legislazione eccezionale del 1926”.
I capitoli successivi entrano nel merito specifico della ricerca sul terreno, come direbbero i sociologi. William Gambetta tratta dell’antifascismo popolare urbanisticamente contrapposto a quello cittadino. La sede di quell’antifascismo è quella del rione dell’Oltretorrente, dove vivono le classi più povere, spesso mosse da un antifascismo istintuale, che è prima ancora che manifestazione politica, rancore istintuale verso il potere e l’autorità. Un antifascismo che si annida nel dadalo di vie e viuzze che collegano i quartieri, nella abitazione messe strettamente una accanto all’altra, comunicanti per cortili, corridoi, soffitte e cantine. Al tema dell’antifascismo “cittadino” è dedicata la ricerca di Marco Minardi che esplora un terreno spesso dimenticato. Molta delle precedente produzione storica si è infatti soffermata sugli Arditi del popolo dei primi anni venti e, successivamente, sull’indagine dell’organizzazione clandestina comunista, lasciando in ombra la presenza di un antifascismo democratico-borghese di matrice laico-progressista cin ascendenze risorgimentali.Margherita Becchetti e Ilaria La Fata descrivono, invece, l’antifascismo della provincia, scoprendo il variegato tessuto dell’associazionismo di derivazione prampoliniana e il movimento sociale d’ispirazione cattolica. Conclude il libro il saggio di Brunella manotti che esplora il rapporto donne-politica a partire dalle schedature di polizia. !56 sono i fascicoli personali dedicate dalla polizia alle donne antifasciste. Emerge che il criterio principale d’individuazione delle avversarie del fascismo era la parentela con gli oppositori: sorelle, amanti, spose di dissidenti furono sottoposto al controllo della polizia. L’autrice inserisce le donne antifasciste nel contesto della vita quotidiana, della casa, del borgo e della fabbrica, sforzandosi, dov’è possibile, di esplorare la sfera dei sentimenti.

Diego Giachetti