Silvia Casilio, "Una generazione d'emergenza. L'Italia della controcultura (1965 - 1969)", Le Monnier, pp. 376, 28 euro
 

Il libro di Silvia Casilio è una vittoria della forma contro il caos. Il caos è dato delle molteplici letture e suggestioni che l’argomento ’68 ha suscitato e suscita; un agglutinato di soggettività e di personalizzazioni capaci di indurre a un vero e proprio impazzimento continuo della “maionese ‘68”. Nell’attesa che si metta mano (Silvia, perché non ti autocandidi!) a un’analisi e catalogazione delle varie letture e riletture storiche e storiografiche dell’evento avvenute nel corso del ripetersi costante delle “celebrazioni”, l’autrice con invidiabile pazienza per i fatti che, come tali vanno considerati e trattati, senza aver fretta di giungere a un’interpretazione (che deve esserne la conseguenza), si muove con abbondanza di riferimenti nel tratteggiare una disamina dell’evento per coglierne le origini nei cambiamenti in senso lato che interessano la generazione giovane degli anni Sessanta. Non solo la politica e il modo di farla (aspetto che viene dopo), ma l’esistenza come esperienza e reazione a essa che è formativa della successiva coscienza. Il quadro economico, sociale e culturale degli anni Cinquanta e Sessanta aveva mosso le società industriali imponendo profonde trasformazioni nella loro struttura e nelle relazioni sociali tra gruppi e ceti. Un rimescolamento profondo, più veloce di quello che caratterizzò i sistemi politici di governo e che vide emergere come protagonisti i giovani. Una nuova generazione che rimodellò con la sua coscienza e le sue aspettative, il modo di essere dello studente, del lavoratore, della donna. E’ con la coscienza formata nell’ambito della controcultura beat, che ha per protagonisti i capelloni, la musica rock, le riviste per i giovani, le canzonette, i fumetti, che i giovani affrontano il loro percorso formativo e contestativo nelle varie situazioni e ruoli nei quali devono operare, passando dal disagio alla protesta e poi da essa alla rivolta politica. Per gli studenti il confronto avviene in una scuola vecchia, autoritaria e nozionistica, che insegna una ginnastica di obbedienza, di remissione e di totale subordinazione all’istituzione, che non educa ma disciplina e seleziona. Per gli operai l’impatto è con condizioni di lavoro in fabbrica e di vita nelle grandi città del nord esistenzialmente insopportabili.
E’ questo l’humus che tiene assieme giovani che vivono esperienze e ruoli diversi nell’università, nella fabbrica o nel sociale in generale. La rivolta si accende nelle università, dilaga tra gli studenti medi, si porta alle porte delle fabbriche per incontrare l’altro pezzo di generazione: i giovani operai, lacera il mondo cattolico e mette in discussione le forme associative giovanili legate ai partiti tradizionali. Le pratiche culturali e “politiche” del movimento beat, la critica alla famiglia, prima istituzione repressiva, l’idea di una comunità giovanile come rifugio e separazione dal mondo dei “vecchi”, i diritti civili: divorzio, obiezione di coscienza, sono aspetti costitutivi della nuova generazione alle soglie del ‘68. Si tratta di un insieme di esperienze formative che pongono le riviste del dissenso degli anni Sessanta, come i «Quaderni Rossi» e i «Quaderni Piacentini», in una dimensione nuova circa la loro funzione. Quelli che sono stati definiti i “laboratori della nuova sinistra”, qui sono considerati come elementi che riecheggiano il movimento più che “costituirlo” consapevolmente. Interessanti sono poi le osservazioni e le analisi circa la connessione tra la cultura alta e quella popolare giovanile che mirabilmente interseca, nelle stesse persone, la lettura dei «Quaderni piacentini», con le riviste beat o le canzonette del momento.
Il ’68 quindi è una combinazione non separabile di movimento politico e controculturale; è impossibile separare in maniera netta la fase “movimentista” da quella successiva caratterizzata dalle forme politiche dei gruppi della nuova sinistra. Il tema va considerato tenendo conto dell’incorporazione tra dimensione culturale ed esistenziale e quella propriamente politica. La ricerca abbraccia tutti gli anni Sessanta per fermarsi al 1969: l’anno degli operai in Italia che si conclude con la strage di Piazza Fontana a Milano del 12 dicembre. Tale periodizzazione, scelta dall’autrice, ha l’intento di rovesciare un assioma oggi imperante e decisamente limitativo dell’interpretazione del ’68, quello che lo legge alla luce delle sue presunte conseguenze, cioè gli anni Settanta. Tale ottica genera una lettura a posteriori dell’evento con le scontate e ricorrenti ricadute in strumentalizzazioni politiche di varia osservanza. Casilio invece riconduce il ’68 a una storia interna agli anni Sessanta e lo dimostra con un’abbondanza ragionata e pensata delle fonti che sono multiple e varie: giornali, riviste per i giovani, materiali autoprodotti, canzoni, canzonette, fumetti, documenti prodotti dagli uffici delle prefetture, tutte “rilette” e collocate nel contesto storico coevo nel quale i fatti accaddero.
 

Diego Giachetti, http://www.kathodik.it/modules.php?name=News&file=article&sid=4140