Lorenzo Gestri, "Storie di socialisti. Idee e passioni di ieri e di oggi", Pisa, BFS, 2003, pp. 263, euro 18.00
Alibrando Giovannetti, "Il sindacalismo rivoluzionario in Italia", USI-Zero in Condotta-CollegamentWobbly, Milano-Genova, 2004, pp. 224, euro 15.00
 
Storie di socialisti, curato da Laura Savelli, raccoglie una serie di saggi storici di Lorenzo Gestri, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Pisa, morto prematuramente nell’aprile 2002. Completano il libro la lettera di dimissioni dal PSI scritta dall’autore nel 1992 e una esauriente “Nota bio-bibliografica” curata da Franco Bertolucci Il metodo di ricerca storica messo in campo dall’autore si inserisce in quel filone storiografico formatosi in Italia nel Secondo dopoguerra che intendeva ricostruire, le vicende del movimento dei lavoratori, della classe operaia, partendo dai rapporti di produzione e dalla determinazione storica concreta senza dedurre il concetto di classe operaia o di proletariato da letture filosofiche-dialettiche della storia. Di qui la critica a quella storiografia che aveva identificato la classe con un partito o con le sue avanguardie politiche e sindacali che le trasmettevano “la coscienza” e che ne riducevano la storia a storia dei partiti e dei sindacati. Evidenti le influenze esercitate sull’autore dal lavoro di storici quali Hobsbawm (Lavoro, cultura e mentalità nella società industriale), di Thompson (Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra) e di Stefano Merli e del dibattito originatosi dopo la pubblicazione del suo libro Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale nel 1972. Ma, prima ancora, risultò influente e determinante l’incontro con riviste storiche militanti, tra queste, in particolare Movimento Operaio, nata nel 1949, diretta da Gianni Bosio, per promuovere lo studio delle vicende del socialismo e del movimento operaio, con un peculiare interesse per le origini e la penetrazione delle idee internazionaliste, da Marx a Bakunin.
 L’indicazione metodologica, recepita, consisteva nel leggere e ricostruire la storia delle classi subalterne partendo dalle condizioni di vita e di lavoro, dall’esistenza degli individui che, uniti e mossi come gruppo da rapporti di produzione e sociali, diventano “classe”, vivono esperienze che condizionano mentalità, identità, pensieri, cioè “coscienza di classe”. Nel campo specifico della ricerca storica l’attenzione di Gestri si è concentrata sulla storia locale nel periodo compreso tra la Prima Internazionale e il Biennio rosso, con particolare attenzione alle tradizioni eretiche del movimento operaio. Le sue storie si intersecano con quelle di personaggi come Alceste De Ambris, Luigi Campolonghi, Pietro Belli, dirigenti medi provinciali e comunali della periferia, fino ai semplici militanti di base protagonisti delle lotte e dei movimenti del sindacalismo d’azione diretta e del socialismo libertario che animarono la vita politica e sociale dell’Italia alla vigilia della Prima Guerra mondiale.
Nel 1976 aveva pubblicato il suo primo libro, Capitalismo e classe operaia in provincia di Massa Carrara: dall’Unità d’Italia all’età giolittiana nel quale la formazione della classe operaia era retrodatata ai primi anni dello stato unitario ed era già chiaramente analizzata come –per dirla con Thompson- “un fenomeno storico che unisce una varietà di fatti disparati sia nella materia sia nell’esperienza, sia nella coscienza. Io non vedo la classe come una “struttura” né come una “categoria”: ma come qualcosa che avviene in realtà, (e che si può dimostrare sia avvenuta) nei rapporti umani”.
 Seguono articoli su l’Unione Sindacale Italiana e lo sciopero generale (1976) , sulla fondazione della Camera del Lavoro di Carrara (1977) e sui fasci siciliani (1977) e matura il suo interesse di ricercatore verso “il sindacalismo di azione diretta, circa il quale, agli inizi degli anni settanta, la produzione storiografica –dirà- mi pareva marcare vuoti e carenze”.
 E’ in quest’ambito di “riscoperta” storica, al fine di una utilizzazione nel presente per costruire sindacalismo di base, che si inserisce la riproposizione del testo scritto da Alibrando Giovannetti sulla storia del sindacalismo rivoluzionario in Italia, comparso in trentotto puntate su Il Proletario, giornale in lingua italiana dell’Industrial Workers of the World (IWW) e curato nelle note da Marco Genzone e Franco Schirone. Introdotto da Cosimo Scarinzi, dalle note storiografiche sul sindacalismo novecentesco di Giorgio Sacchetti e da una biografia scritta da Guido Barroero, il libro è una puntigliosa ricostruzione delle lotte del movimento operaio, delle vittorie e delle sconfitte, all’interno delle quali si colloca la storia del sindacalismo d’azione diretta, del suo radicamento, delle sue caratteristiche organizzative e ideologiche.
Una storia che s’intersica in modo inscindibile con la biografia sindacale dell’autore, infatti Giovannetti (1876-1954) è stato per oltre vent’anni, a cavallo della prima guerra mondiale, uno degli esponenti più combattivi, impegnati e in vista dell’Unione Sindacale Italiana, assieme a De Ambris e Armando Borghi. Testimone e attore delle vicende più importanti di quel travagliato periodo che va dai primi anni del secolo all’affermazione definitiva del fascismo, ebbe stretti rapporti con i più prestigiosi esponenti anarchici dell’epoca: dal già citato Borghi a Malatesta. Fin dal 1896 è schedato come anarchico, anche se anarchico non si dichiarerà mai, pur schierandosi, all’interno dell’USI, coi sindacalisti appartenenti a questa corrente. Nel dicembre del 1922 si reca a Berlino assieme a Borghi e a D’Andrea per partecipare al Congresso Sindacale Internazionale. In quell’occasione viene fondata l’AIT (Associazione Internazionale dei Lavoratori) che assume questo nome su proposta di Giovannetti. L’affermazione del fascismo segna la chiusura di un’epoca, la sconfitta del sindacalismo rivoluzionario e del movimento di classe. Giovannetti non ha dubbi nell’affermare che così vanno le cose: “vittorie clamorose” si accompagnano a “sconfitte gloriose”. Tradimenti ignominiosi ed eroismi sublimi, debolezza di uomini e resistenze di masse. Scetticismo in taluni ed entusiastica fede negli altri nel trionfo della causa proletaria. Questa è la sintesi di un cinquantennio di storia operaia rivoluzionaria in Italia”, scrive nel 1924. Questa è la lotta di classe, fatta e composta da uomini e donne con la loro psicologia, il loro carattere, entusiasmi, scoramenti, debolezze, rese, resistenze e vittorie, capitolazioni, firme di accordi o prese di posizione delle direzioni sindacali e partitiche del movimento operaio, che Giovannetti, come nel caso dell’occupazione delle fabbriche durante il biennio rosso, non esista a definire veri e propri tradimenti, compiuti in una situazione che lui descriveva come prerivoluzionaria, se non rivoluzionaria.
La lezione da trarre è che sia le sconfitte che le vittorie possono educare i lavoratori. Un’educazione che avviene solo ed unicamente sulla base dell’esperienza vissuta nella partecipazione alle lotte e nella loro autorganizzazione. Non c’è, insomma, nella sua riflessione e nel suo agire bisogno del partito che porta la coscienza politica e rivoluzionaria dall’esterno, o del gruppo dirigente sindacale che vede più in là dei lavoratori e provvede, data questa presunta lungimiranza, a sostituirsi nelle scelte e nelle decisioni che spetterebbero solo ai proletari.
Quello che ci descrive Giovannetti è un sindacato non ancora mangiato dallo statalismo, dall’istituzionalizzazione delle mutue e di tutti quei servizi che, inizialmente, erano prodotti e gestiti da associazioni di lavoratori e che andavano dalle casse mutualistiche, alle società di mutuo soccorso, fino alle bocciofile. E' un sindacalismo autorganizzato, che crea strutture autogestionarie nel corso delle lotte economiche dei lavoratori, che è convinto che attraverso una pratica sindacale di azione diretta i lavoratori possano maturare una coscienza politica tale da permettere loro di rovesciare i rapporti di produzione capitalistici, senza bisogno dei partiti. Esattamente l’opposto di quello che accadrà nell’Italia del dopo fascismo, periodo nel quale lo statalismo, lo stato sociale, prevarrà, assieme alla formazione di grandi partiti di massa e di confederazioni sindacali legate ad un visione contrattualistica e di riconoscimenti istituzionale dentro i confini e le regole fissate dallo stato, o meglio, dalle varie congiunture economiche e sociale che si determinano.
S’impone una riflessione storica –come si dice sempre- anche perché quel modello di ricostruzione sindacale e statuale oggi è profondamente in crisi e dentro questa crisi cercano di collocarsi, tra difficoltà e imperfezioni, i ragionamenti sul sindacalismo alternativo e di base. Giovannetti può ancora interloquire con le varie esperienze messe in campo da Cub, Cobas, Usi, Unicobas, Slaicobas, Sincobas in questi ultimi vent’anni? Forse sì. Certamente sì, se si legge la postfazione di Sergio Onesti al libro.
 
Diego Giachetti