Cento... e uno anni di Fiat, a cura di Antonio Moscato. Prefazione di Claudio Sabatini. Con testi di Diego Giachetti, Raffaello Renzacci, Gabriele Polo, Marco Revelli, Massari editore, Bolsena, 2.000, p. 144, L. 20.000

Il centenario della Fiat ha portato con sè la pubblicazione di numerosi testi.
Accanto a quelli "ufficiali"- tra gli altri un film, realizzato dalla stessa Fiat, in cui al movimento dei lavoratori e al sindacato è dedicato lo spazio di tre minuti- il saggio di Valerio Castronovo "Fiat 1899-1999, un secolo di storia italiana", la panoramica di Giorgio Galli su "Gli Agnelli, una dinastia, un impero", il lavoro a quattro mani di Diego Giachetti e Marco Scavino "La Fiat in mano agli operai" che analizza l' autunno caldo nella più grande industria italiana, quello di Lorenzo Gianotti "Gli operai Fiat hanno cento anni", giustamente centrato sulle grandi vicende della classe operaia torinese, ma eccessivamente appiattito su una lettura "giustificazionista" delle scelte di PCI e sindacato.
Il testo curato da Antonio Moscato offre, invece, una autentica controstoria dell' industria torinese, tendendo a mettere in luce "di che lagrime grondino e di che sangue" la sua crescita e la sua fortuna.
Moscato, nel primo saggio che percorre gli anni sino al 1945, passa in rassegna le origini della "dinastia" e il "colpo di stato" con cui Giovanni Agnelli si impossessa della fabbrica, inizialmente da altri fondata e diretta, le complicità della magistratura, puntualmente ripetutesi nei decenni, il ruolo determinante, nella sua crescita, della produzione militare in occasione e della guerra di Libia e del primo conflitto mondiale. Gli anni successivi a questo sono quelli del maggior conflitto operaio, del movimento dei consigli, dell' occupazione della fabbrica e del sogno rivoluzionario. Moscato documenta le incertezze, le incongruenze, le contraddizioni non episodiche della direzione del movimento operaio (partito e sindacato), certo tra le cause della sconfitta che apre le strade al ventennio fascista.
Anche in questo, nonostante le giustificazioni a posteriori e le professioni di antifascismo, l' industria è profondamente collusa con il regime (la nomina di Giovanni Agnelli a Senatore del Regno, le visite di Mussolini agli stabilimenti torinesi, le commesse militari...). Sono di questi anni la "conquista" della Stampa e quella della Juventus, ambedue fonti di consenso.
La FIAT, altissimo, ormai, il ruolo di Valletta, negli anni '43/'45 sviluppa una politica di doppio gioco tra repubblica di Salò, nazisti e alleati. Da Torino partono i grandi scioperi che dimostrano come il fascismo, nonostante la rivernicitura sociale con cui tenta di riallacciarsi alle origini, abbia perso qualunque consenso operaio.
Sempre Moscato ripercorre, quindi, gli anni della ricostruzione e della restaurazione in fabbrica. Ancora una volta, la spinta padronale, tesa a riprendere il totale controllo, dopo la forte pressione resistenziale e la grande crescita della sinistra, sembra non essere contrastata sino in fondo dalla strategia di partiti e sindacati (la collaborazione per la ricostruzione, l' interpretazione dei Consigli di gestione che perdono ogni funzione deliberativa. Si apre la stagione dell' anticomunismo, dei reaparti confino, dei licenziamenti politici (per tutti quello di Giovan Battista Santhià, protagonista dell' occupazione del 1920) che porta alla sconfitta della CGIL alle elezioni della Commissione interna del 1955 e alla interessante riflessione autocritica di Di Vittorio.
Il movimento sembra normalizzato, ma riesplode, inaspettatamente e in forme del tutto diverse, nei prinmi anni '60. A provocarlo sono l' ondata migratoria dal sud che produce e produrrà profonde contraddizioni sociali, la crescita economica, per quanto squilibrata, del paese, la politica di quasi piena occupazione che innesca forti spinte salariali, la progressiva trasformazione della figura dell' operaio. Diego Giachetti legge gli anni '60, come periodo di profonda conflittualità, segnato quasi simbolicamente dagli scontri di piazza Statuto ( luglio 1962) e di corso Traiano (luglio 1969). L' attenzione è centrata sull' anno focale, il '69, sulle nuove forme di lotta e di rappresentanza operaia (il dibattito sui consigli e sui delegati), sulle conquiste, ma anche sulle contraddizioni nel rapporto fra spinta di base e mediazione partitico-sindacale.
La parte più corposa del testo è quella in cui Raffaello Renzacci ripercorre gli anni '70, dalla vertenza aziendale del '73, pregna di contenuti politici, alla politica dell'EUR e alle sue ovvie ricadute nelle realtà aziendali, alle modificazioni del mercato dell' auto. La controffensiva padronale, tra il '79 e l' '80, è causa e conseguenza, al tempo stesso, delle modificazioni strutturali, dell' informatizzazione e robotizzazione, della volontà padronale di sradicare tutte le opposizioni in fabbrica. Renzacci rilegge con passione i trentacinque giorni dell' autunno '80, l' occupazione della fabbrica, le scelte politiche di sindacati, partiti (in particolare il PCI), gruppi. La sconfitta, non a caso solitamente assunta come elemento periodizzante, fine della grande stagione dei movimenti in Italia, deriva da pesanti errori sindacali, ma anche dall' incapacità della nuova sinistra di costituire una alternativa credibile rispetto alla involuzione moderata del movimento sindacale.
Sono, ancor oggi, drammatiche le testimonianze, nelle assemblee che segnano la fine della vertenza, di tanti lavoratori che colgono la sconfitta politica, la fine di un ciclo sociale, ma anche personale-esistenziale, meglio dei tanti funzionari tesi a presentare l' accordo come positivo.
Dolorosa la lettura dei fatti successivi: il continuo rinvio del rientro in fabbrica di tanti lavoratori messi in cassa integrazione, i continui cedimenti, le ricadute morali, sociali, psicologiche delle scelte dell' azienda a cui stupisce che tanti altri testi su questi anni neppure accennino.
Più brevi (il testo non mira ad un perfetto equilibrio tra i decenni) le considerazioni di Gabriele Polo sugli anni '90 e di Marco Revelli sull' accordo con la General Motors e le prevedibili conseguenze negative sull' occupazione e sulla realtà complessiva torinese.
Il libro è di grande importanza perchè permette una visione di insieme sul maggiore complesso industriale italiano che ha segnato un secolo di storia del nostro paese ed offre approfondimenti di grande interesse ed inediti (in particolare sul decennio che conduce alla sconfitta- il termine epocale non è retorico- del 1980).
Spiace che discutibili scelte ed equilibri di partito abbiano impedito che venisse pubblicato come supplemento a "Liberazione", privando della sua lettura tanti militanti che, anche criticamente, avrebbero potuto utilizzarlo positivamente.

Sergio Dalmasso