"I messaggi nella bottiglia di Lelio Basso", Ida Dominijanni, "il Manifesto", 3 dicembre 2003

Ci sono centenari rituali e centenari sensati, freddi e caldi, ossificati e vivi. Il centenario della nascita di Lelio Basso appartiene alla seconda categoria. Non solo - aspetto tuttavia non secondario - per l'affetto e l'amicizia di cui la sua persona e' tuttora circondata in quanti lo hanno seguito nella sua attivita' politica e culturale. Ma anche per la stringente attualita' dei messaggi che tuttora la vita, l'opera e il pensiero di Basso sono in grado di mandarci. De nobis fabula narratur, sia che di Basso si ricordi il politico o il giurista, l'avvocato delle garanzie individuali o dei diritti dei popoli, il socialista spietatamente critico delle illiberta' del comunismo di stato o il padre costituente lucidamente vaccinato dalle illusioni della democrazia diretta.
Si' che non potevano non essere carichi di allusioni all'oggi, dirette o indirette, i ricordi che di Basso hanno tracciato ieri nella sala di palazzo Giustiniani del senato Giuliano Amato, Giulio Andreotti e Stefano Rodota', restituendo il ritratto sfaccettato di un intellettuale-politico che, per dirla con Rodota', per un verso "ha attraversato il secolo breve, identificandosi con le sue promesse", per l'altro puo' condurci oggi a riattraversarlo a nostra volta, "per non rimanere prigionieri della cupa vulgata di un Novecento lastricato solo di orrori, e divenire pienamente consapevoli della restaurazione che stiamo vivendo". Prendiamo il Lelio Basso deputato alla Costituente, estensore dell'articolo 49 sui partiti politici. Suona fuori tempo, dopo le vicende italiane degli anni Novanta, quella visione del partito come cardine della democrazia organizzata? Si', se fissiamo lo sguardo solo sulla degenerazione della forma-partito. No, se reinterpretiamo la filosofia di quell'articolo alla luce della degenerazione democratica. Basso vedeva lucidamente quanto puo' essere esile il confine fra democrazia e populismo, e per questo riteneva che la sovranita' popolare dovesse essere incardinata a forme di mediazione politica e istituzionale precise. "E' questo l'aspetto piu' difficile della democrazia, la quale e' principalmente democrazia indiretta. Un sistema di deleghe e' indispensabile anche perche' la massa e' immatura e impreparata ad affrontare tutti i complessi problemi della vita statale, ed e' piu' soggetta a influenze irrazionali. Occorre equilibrare la duplice esigenza di una partecipazione reale e continua delle masse e di una continua mediazione che traduca in decisione razionale la risultante di tutti gli impulsi di volonta' che provengono dal popolo".
Oppure prendiamo il Lelio Basso senatore nel 1978, che interviene in aula durante il sequestro Moro. Giulio Andreotti ne riporta le preoccupazioni contro il rischio dell'introduzione di norme antiterrorismo emergenziali: "Lo so che il sentimento della grande maggioranza della popolazione italiana e' favorevole a queste norme e magari anche a misure ancora piu' gravi.
Credo pero' che il dovere di una classe politica responsabile sia quello di non cedere all'emotivita' di una folla, alla pressione immediata, alla reazione umana emotiva del popolo, ma quello di saper mantenere un atteggiamento piu' freddo, piu' sereno, piu' capace di affrontare le situazioni nel quadro della nostra struttura costituzionale, perche' solo in questo modo la democrazia puo' salvarsi". Che risponderebbero oggi Bush o Berlusconi?
Da giurista, Rodota' sottolinea di Basso la concezione del diritto come garanzia di un progetto politico aperto, delle istituzioni internazionali (a partire dal Tribunale internazionale dei diritti dei popoli) come garanzia dei processi di liberazione e della loro verifica, della cittadinanza come "fascio dei diritti fondamentali della persona", della Costituzione come testo che da' inizio al patto sociale e non lo chiude in soluzioni ingegneristiche. Come compagno di percorso, Giuliano Amato ricorda gli anni della comune militanza nel Psiup, quando il partito era stato appena formato e gia' Basso pensava a quello che non andava bene e andava modificato, mosso dalla sua incoercibile ricerca di pratiche di liberta'. E a testimonianza di un rapporto capace di contenere anche grossi dissidi, Andreotti ricorda quando si oppose alla nomina di Basso alla consulta, perche' "questo
illuminato amico stupendamente anarchico non aveva le caratteristiche di fondo di un giudice costituzionale", ma aveva le caratteristiche di un amico e non gliene volle.
Dal Brasile, infine, arriva il saluto di Luiz Inacio "Lula" Da Silva, che porta in primo piano l'istituzione del Tribunale Russell per l'America Latina, le inchieste sulla repressione e la tortura in Brasile e in altri paesi, le reti internazionali a sostegno degli esuli. "Si tratto' di un vero e proprio movimento politico, che cercava di andare al di la' delle denunce puntuali e che contribui' al dibattito e all'impegno per la fine dell'autoritarismo e il ritorno della democrazia".
Michele Salvati, che coordina il dibattito, sente il bisogno di fare qualche distinguo e di prendere qualche distanza: la passione di Basso per la liberta' gli consenti' di lottare contro il fascismo e anche contro il comunismo realizzato, ma non fu sufficiente a fargli vedere le simmetrie fra i due totalitarismi di cui il dibattito pubblico di oggi ha finalmente acclarato l'esistenza. Marcello Pera invece coglie l'occasione per chiedere l'ennesimo lavacro alla sinistra italiana, rea di non avere raccolto fino in fondo la sfida di Basso a liberarsi definitivamente dell'"impronta leninista". Ecco due sciocchezze che Lelio Basso non avrebbe detto.

Ida Dominijanni, "il Manifesto", 3 dicembre 2003