Generazione anni Settanta: il tempo del conflitto è finito
Le stragi nere, il crollo della rappresentanza sindacale Giorgio Falco racconta la sua storia in "Sottofondo italiano"
 

L'Italia agli occhi di un bambino è un cavalluccio marino. Ma se fuori scoppiano le bombe che fine fa qual cavalluccio? Giorgio Falco scrive un'autobiografia dura, a tratti cupa, magnetica ( Sottofondo italiano, Laterza). Un canto del vuoto dentro il quale è difficile non riconoscersi. Racconta la sua vita legandola alla storia del nostro paese dagli anni Settanta a oggi. Falco è nato nel 1967, cresciuto nell'hinterland milanese. Aveva due anni quando ci fu la strage di Piazza Fontana. Fa parte di quella generazione che prendeva i treni con la paura di saltare in aria. Fuori c'erano le bombe ma il sentimento diffuso era: «Non è successo niente». È questa la formula rassicurante che l'allenatore di calcio gli ripeteva dopo un goal subito. Il mantra della rimozione di un paese che preferisce non vedere. Negli anni Ottanta i desideri consumistici fanno il resto, anestetizzandoci dentro uno smemorato "sonno merceologico". Quello che accade è risucchiato in una zona indistinta, in cui mafia, terrorismo, corruzione, godono di un'immunità incolpevole: è il sottofondo italiano, in cui «tutto avveniva in modo morbido, come la musica di aeroporto…».
Mangiare merendine, andare al supermercato, fare la fila in banca. Il prezzo per non morire è far finta di niente: «Dovevamo abbassare lo sguardo, fissare la punta delle scarpe». Come già nella Gemella H , il rumore di fondo è l'inconsistenza della merce, la continuità endemica del fascismo nella vita italiana. Il flusso di coscienza di Falco è inchiodato al tempo verbale dell'imperfetto, che confonde tutto in una storicità generica in cui il passato rimane vischiosamente appiccicato al presente e tutto ristagna. L'estraneità è il sentimento dominante. Un sentimento che si esacerba quando Falco viene assunto da un'azienda e sceglie di scioperare per difendere i diritti dei lavoratori. Ma il tempo del conflitto è finito e lo scrittore si ritrova solo, seduto a un tavolo da campeggio di plastica a distribuire inutilmente volantini. La scena sembra uscita da un film dei Dardenne. Ormai le retoriche linguistiche di cui si ammanta il potere sono mutate e quel gesto appare anacronistico. Il sindacato è passato dalla "lotta" al "dialogo". Tutto è clean, asettico.
Falco è tra quegli scrittori che non hanno ancora abdicato alla funzione civile della letteratura. La scrittura letteraria può avere ancora il compito di smascherare il linguaggio della menzogna. Non è vero che "non è successo niente", né l'Italia è solo un simpatico cavalluccio marino.

Raffaella De Santis, "la Repubblica", 30 luglio 2015