Anonimo, "La cuoca rossa. Storia di una cellula spartachista al Bauhaus di Weimar", Derive/Approdi, pp. 187, 15 euro

Hannah R. è la cuoca del leggendario Bauhaus, la scuola di arte, design e architettura fondata da Walther Gropius negli anni della Repubblica di Weimar. Chiamata da studenti e insegnanti del Bauhaus "la cuoca rossa", nel 1918 Hannah R. dà vita, insieme a un gruppo di compagni e allievi di Paul Klee, a una cellula spartachista all’interno della scuola.

Ai ricordi e alle ricette di questa cuoca, artista e militante si intrecciano, in una singolare biografia, discussioni appassionate sull’arte, l’architettura, la rivoluzione, scandite da incontri con i massimi esponenti della cultura e del pensiero mitteleuropeo di quegli anni pieni di inquietudine: da Wassilij Kandinsky a Rainer Maria Rilke, da Arthur Schnitzler a Gerhard Hauptmann.
A far da contrappunto alla passione rivoluzionaria di cui sono intrise queste pagine e le vite dei loro protagonisti sono l’angoscia e il senso di impotenza per un’epoca in cui su una nazione sempre più inerte avanza l’ombra del nazionalsocialismo. Hannah e i suoi compagni lanciano la sfida a quella "borghesia da operetta" che di lì a poco consegnerà la Germania al più orribile degli incubi politici, e lo fanno credendo fermamente nella lotta, ma anche tragicamente consapevoli di andare all’assalto del cielo come "gli azzurri cavalli di Franz Marc".
Il testo

Terrina di pernice delle nevi al Porto

C’è stata una guerra che le illusioni imperiali hanno voluta e persa, ma a Berlino non se ne rendono conto dopo un lungo sonno di 918 anni. In Europa i viali delle grandi capitali sono attraversati da archi trionfali di fiori bianchi e rossi e non c’è compagnia di soldati che non sia preceduta dallo strepitio dei tamburi e dal clangore degli ottoni. Noi in Germania dobbiamo oggi imparare a sopravvivere con la nostra amara disfatta morale e politica, sopravvivere agli ippocastani in fiore, al lezzo della corruzione di una borghesia da operetta, all’irritante arroganza di una storia che ha sempre disprezzato coloro che sfrutta e che nessun fuoco finora ha domato. Dobbiamo sopravvivere al desiderio di una coesione sociale, che si è sciolta come neve al sole. Alle principesse reali, che scostano i loro veli per piacere agli ultimi ufficiali sopravvissuti. Alle piccole borghesi, che nei loro minuscoli appartamenti arrotolano i tappeti consunti per potersi esercitare nello shimmy. Alle pattuglie di ronda, all’ozio, con il quale, nei vecchi, bui e polverosi caffè aspettiamo la notte. Agli imbecilli che vantano l’abitudine mondana del five-o’clock tea sognando automobili americane. Alle parentesi d’illusione che le improvvise fiammate di una rivoluzione europea, che stenta a scoppiare, aprono nei nostri cuori feriti. Dobbiamo sopravvivere al matrimonio di convenienza con i falsi riformismi, agli errori del nazionalismo, ai tribuni del popolo sovrano, a chi ci chiama impunemente fratelli, ai deliri dei "signori dello spirito". Dobbiamo… ma le bottiglie erano vuote e, come potevamo osservare dalle nostre stanze, anche le ultime luci della scuola si erano spente, la decisione era stata presa. Il nostro ristorante si sarebbe chiamato Unendliche Nacht! [Mai venga il mattino!]. Il nome l’ha scovato Leonhard, il nostro esperto musicale, ispirandosi alla Sacre du printemps di Igor Stravinsky ed è stato subito accettato da tutti, a partire da Wilhelm, che vede in questa composizione le luci e le ombre della sua San Pietroburgo. Attraverso la finestra aperta per fare uscire il fumo dei sigari, improvvisa entra una voce che canta la Baiadera di Kalman: "Prima lo ballavamo sull’erba/ ora sulla stoffa più superba/ dei salon…".

Queste pernici, dice Martin, sono pezzi di pane che noi strappiamo al nemico. Lo guardo e sorrido. Più semplicemente sono il frutto di certi suoi traffici con alcuni guardiacaccia, che non si accontentano di quello che guadagnano. Per tempo, mettete a raffreddare otto coppette di alluminio per timballi. Bagnare in acqua fredda sette fogli di gelatina. (La ricetta di mia nonna prevede di farla in casa a partire da un geretto di vitello, ossa, un piedino e diverse cotenne di maiale). Quando i fogli sono fusi aggiungeteci un litro di brodo di pollo. Appena l’insieme comincia a rapprendersi, foderateci le otto coppette e riponetele un’altra volta al freddo. Adesso, sistemate tre pernici, vuotate, pulite e risciacquate con cura, in una pentola con acqua bollente salata, nella quale avrete aggiunto qualche profumo per il brodo. Fatele bollire per circa trenta minuti e, una volta raffreddate, recuperate tutta la carne. Passatela in un macinino, aggiungeteci tre tuorli d’uovo, un bicchierino di Porto rosso, il resto del brodo con la gelatina, un bicchiere di panna liquida fresca montata a neve ferma, un cucchiaino di noce moscata, sale e pepe quanto basta. Riempite con questo composto le terrine, cocetele a bagnomaria per qualche minuto, poi, riponetele al freddo per almeno quattro ore. Al momento di servirle riscaldate per un istante la terrina su una fiamma, staffatela sul piatto e decoratela con un paio di cucchiaini di pinoli tostati e una crocchetta di patate con farina di castagne.
(scheda di presentazione del libro a cura dell'editore)