Bascetta Marco; Bronzini Giuseppe; Caccia Giuseppe; Casarini Luca; Lazzarato Maurizio; Mezzadra Sandro; Negri Antonio; Revel Judith; Bettin Gianfranco; Giorgi Alessandro; Lussurgiu D'Avossa Anubi, "Controimpero. Per un lessico dei movimenti globali", Manifestolibri, 2002, pp. 176, Euro 9

Sette parole chiave per costruire un linguaggio comune
di Luca Casarini

Questo libro è il risultato di una riflessione che il Laboratorio Teorico dei Disobbedienti del Nord Est ha proposto e sta sviluppando insieme e all’interno del Movimento dei disobbedienti, e che ci sembra opportuno proporre a un’attenzione più generale. Lo scopo non è solamente quello di attivare un lavoro collettivo di ricerca – che certamente tutti noi stiamo facendo quotidianamente dentro le pratiche di quello che Naomi Klein chiama ‘movimento dei movimenti’ – ma anche quello di ridare un senso al linguaggio della politica in relazione alla dimensione della prassi. Perciò, la sfida, e la scommessa, che lanciamo attraverso queste pagine è quella di elaborare un linguaggio nuovo e comune, una narrazione di quell’insieme di esperienze, di esemplarità e di pratiche che hanno costellato questi ultimi anni di conflitti. Ciò a partire dalla nostra profonda internità al movimento per la democrazia e per la giustizia globale.
Il Movimento dei disobbedienti non è solo la costruzione concreta di percorsi materiali di lotta all’interno delle dinamiche e delle prospettive che si sono aperte da Seattle in poi, o – come alcuni giustamente dicono – dal 1 gennaio 1994 e dall’esperienza zapatista. I Disobbedienti sono anche un modo – e una scelta concreta – di stare e agire come e da movimento nel ‘movimento dei movimenti’. Dopo Genova e dopo l’11 settembre, in questa nuova fase di ridislocazione e riarticolazione delle lotte sociali in Italia, in Europa e sull’intero pianeta, crediamo che questa sia una scelta da compiere fino in fondo. Essere come movimento nel ‘movimento dei movimenti’ significa riuscire a costruire una serie di sperimentazioni che diano luogo a un pensiero e a un linguaggio comune capace di interpretare, anche su un piano teorico dell’analisi e della ricerca, le trasformazioni che abbiamo di fronte. Per questo motivo abbiamo scelto di aprire questo percorso a partire da «sette parole chiave» e di costruire un primo momento di riflessione a partire dalle esperienze di questi anni.
Si tratta di un percorso di alfabetizzazione che vive del e nel sapere prodotto dai movimenti sociali di lotta di questi anni. Recuperare il loro linguaggio, inteso come sapere e conoscenza, ma anche come agire comunicativo, e cioè come un sapere che produce conoscenza ma anche trasformazione della realtà, significa connettersi alla potenza dei movimenti – che sempre, in termini innovativi, hanno messo in discussione l’egemonia del pensiero unico, anche all’interno dei movimenti stessi. Riflettere collettivamente sul nuovo linguaggio significa costruire una teoria e un sapere che si formano dentro le nostre esperienze concrete del conflitto: una teoria e un sapere delle esperienze concrete. Questo è un punto importante: credo che oggi agire da movimento nel movimento significhi riuscire a proporre un proprio quadro d’analisi che porti il suo contributo alla riflessione sviluppatasi in questi anni e, recentemente, a Porto Alegre, e arrivi a disegnare una possibilità di liberazione.
C’è un altro punto importante che si deve sottolineare. Noi non crediamo che queste pagine si traducano in una linea politica. Questo libro non è un manuale che spiega la linea politica della disobbedienza. Quello che ci interessa è mettere in moto un meccanismo innovativo anche nella produzione teorica e nel rapporto tra le esperienze concrete, le pratiche di movimento e la produzione di inchieste. Questo meccanismo innovativo ci deve portare ad abbandonare l’idea che ci sia una linea politica. Gli stessi concetti che vengono discussi in questo libro non sono il frutto di un ragionamento ma di molte esperienze. Sono il risultato di strade e percorsi che si sono incontrati e reincontrati. Il nostro ‘camminare domandando’, che sta dietro alla ricerca teorica, è quanto noi intendiamo come militanza concreta nel movimento dei movimenti. Il ‘camminare domandando’, cioè l’interrogarsi nel fare e il fare interrogandosi, che è il metodo di procedere degli zapatisti, è anche il nostro metodo. Per questo credo che sia giusto datare il nostro ingresso in un nuovo modo di intendere l’agire politico e sociale, che è poi quello che stiamo vivendo, al 1° gennaio 1994. A questo proposito, la scelta simbolica di sottotitolare il seminario di Venezia, da cui è nato questo testo, «Sette parole chiave per costruire un linguaggio comune», non è casuale. Sette sono state le dichiarazioni della carovana zapatista quando ha attraversato il Messico, sette le nostre dichiarazioni prima di attraversare Genova. Per noi utilizzare questo elemento simbolico significa, quindi, aprire e non chiudere un percorso.
Quando abbiamo organizzato il seminario di Venezia eravamo appena tornati da Porto Alegre e dall’Argentina. A Porto Alegre abbiamo conosciuto due diversi approcci a quell’enorme occasione di incontro tra le reti che quella scadenza ha rappresentato. Il primo tipo – quello che abbiamo lasciato ad altri – è l’approccio burocratico classico. Si traduce in costituzione di maggioranze e minoranze, documenti prodotti da comitati promotori e cose simili. È un modo di agire proprio del secolo scorso e della vecchia Nuova Sinistra e non ci appartiene più. Il secondo approccio – quello che i disobbedienti hanno avuto a Porto Alegre – è stato quello di stare dentro l’orizzontalità delle reti e della comunicazione. È un salto di paradigma, culturale e politico, perché significa stare dentro alla maniera del ‘camminare domandando’, ma anche attraverso un utilizzo creativo di questo tipo di occasione. L’incontro di Porto Alegre ci è stato molto utile anche per capire che ci sono due grandi filoni di ragionamento: uno è quello classico e resistenziale e l’altro, che crediamo alternativo, è quello che ritiene che le trasformazioni globali stiano formando tutto l’essere sociale e, quindi, anche la pratica e l’azione politica concreta. Il ‘movimento dei movimenti’, già nel suo nome, segna questo salto culturale e politico. Porto Alegre ci ha poi condotto in Argentina dove abbiamo incontrato i pony express e abbiamo discusso con loro su come avevano ricombinato il proprio essere all’interno della rete metropolitana produttiva in forma antagonistica. È una cosa di cui discutiamo spesso: in che modo, all’interno di quale dinamica, mezzi di comunicazione diversi come le moto e le radio possono essere utilizzati da un lavoratore della rete, da un lavoratore del terziario dentro una metropoli come Buenos Aires (europea come tipologia) e come questi soggetti e questi strumenti possono combinarsi con i piqueteros, i classici disoccupati, i senza reddito esclusi che da anni sviluppano dinamiche conflittuali di lotta come quella che abbiamo conosciuto alla fine del 2001 e nei primi mesi del 2002. Come può combinarsi questo reticolo con le altre reti e le altre lotte per il diritto ad esistere e decidere dei medici, degli avvocati, dei lavoratori del terziario e degli studenti? Il fatto di riuscire a definire ciò che di assolutamente nuovo si muove all’interno di questo mondo significa leggere e utilizzare queste dinamiche in termini di potenza. La richiesta costituente del movimento argentino, dell’assemblea interbarriale del Parco centrale, dell’assemblea di barrio di Buenos Aires, parla quel linguaggio comune che anche noi, in queste pagine e nelle nostre lotte, cerchiamo di parlare. Nonostante la distanza che ci separa da un paese e da un continente che ci sembra molto lontano per come è fatto e per le contraddizioni che lo attraversano.
Sono concetti, ripetiamo, che non crediamo possano costituire la ‘linea politica’ di un movimento. Ma certamente possono contribuire a costruire un pensiero o una concatenazione di nessi che con le azioni formano un linguaggio della politica. Perciò crediamo che queste parole chiave possano essere l’inizio di un percorso promosso dal movimento dei disobbedienti, ma aperto a tutti coloro che si sforzano di innovare il pensiero e la pratica per costruire una nuova narrazione: la narrazione del tentativo di limitare, o di sconfiggere, la sovranità dell’impero che mantiene questa antica ingiustizia, in forme e dinamiche nuove. Questo era il senso del seminario di Venezia e questo è, ci auguriamo, il significato di questo libro.