" '68 ma quale sogno? Fu una generazione di viziati", di Massimo Fini (da "La Nazione" 1/9/2003)

Il regista Bernardo Bertolucci, presentando a Venezia il suo ultimo film, «I sognatori», che tratta del movimento del ’68, ha affermato di aver voluto ricordare quel periodo sostanzialmente per tre motivi: 1) perché il ’68 è stato ingiustamente rimosso; 2) perché il ’68 è stato determinante sul piano della rivoluzione del costume, favorendo per esempio la nascita del femminismo; 3) perché il ’68 fu un movimento idealistico, di ‘sognatori’ appunto, mentre oggi i giovani sembrano aver perso ogni spinta ideale.
Il ’68 non è stato affatto rimosso. Da noi, a differenza di quanto è avvenuto in Francia e in Germania, è durato quasi vent’anni e per altri dieci siamo stati sommersi da citazioni sessantottesche e postsessantottesche come testimoniano i film di un altro regista, Nanni Moretti. E’ solo da alcuni anni, per restare nel campo, estremamente significativo, dei film, che il cinema italiano si è ripreso uscendo finalmente dalla impotenza creativa del ’68. Che adesso Bertolucci si metta a ‘chiagne’ e pretenda di riportarci a quel clima inconcludente è un po’ troppo, visto che ne siamo usciti da pochissimo.
Il femminismo, la rivolta giovanile e gli altri movimenti che han cambiato il nostro costume nell’ambito dei rapporti personali nascono tutti in epoca precedente il ’68, non sono il prodotto di quella generazione ma della generazione hippies e beat. Il ’68 invece, ad onta delle sue parole rivoluzionarie, ha accompagnato e favorito la trasformazione della società italiana in una società consumista e americaneggiante. Non è un caso che Pier Paolo Pasolini, il campione dell’anticomunismo e dell’ antipermissivismo, sia stato ferocemente, e coraggiosamente, antisessantottino. Il ’68 non fu un movimento di idealisti. Fu nella stragrande maggioranza, e comunque nei suoi leader, con rare eccezioni come Capanna, una storia di figli della buona borghesia, viziati e coccolati, che non volevano affatto abbattere l’odiato ‘nemico di classe’, ma incistarsi nel suo sistema ai massimi livelli senza dover fare troppa fatica, com’è puntualmente avvenuto.
E se oggi i giovani sono disgustati dalla politica e hanno in sommo sospetto ideali pubblici e rivoluzioni è anche perché la generazione del ’68, col suo opportunismo, il suo trasformismo, il suo cinismo, ha mostrato di quale pasta vergognosa siano fatti certi movimenti «idealisti» e certi personaggi che iniziano contestando e finiscono, una volta rientrati a casa di papà e mamma, alla direzione di grandi quotidiani della borghesia.

"Ma fammi il piacere ...", di Luciano Nicolini (della redazione di "Cenerentola")

Il ’68 è stato rimosso molto in fretta, lo sa bene chi, per tutti gli anni ’80, ha dovuto pagare, subendo ogni genere d’umiliazione, la propria coerenza. Da noi, a differenza di quanto è avvenuto in Francia e in Germania, è durato solo dieci anni, e per altri venti siamo stati sommersi da insulti, come testimoniano i film di un altro regista: Nanni Moretti. E’ solo da alcuni anni, infatti, che, dopo averci a lungo ridicolizzati, ha cominciato a chiedere a D’Alema di "dire qualcosa di sinistra".
Che adesso Fini pretenda di riportarci a quel clima inconcludente è un po’ troppo, visto che ne siamo usciti da pochissimo.
Il femminismo, la rivolta giovanile e gli altri movimenti che hanno cambiato il nostro costume nell’ ambito dei rapporti personali sono il prodotto della generazione dei beat e degli hippies: quella che ha fatto il ’68 (e gli anni immediatamente successivi). La generazione precedente, invece, aveva accolto con entusiasmo la trasformazione della società italiana in una società consumista e americaneggiante. Non è un caso che Pier Paolo Pasolini, il campione dell’ anticomunismo e dell’ antipermissivismo, sia stato ferocemente, e vigliaccamente, antisessantottino.
Il ’68 fu un movimento di sognatori. Fu un movimento di massa che riuscì a coinvolgere, portandoli sul suo terreno, anche i cattolici e perfino i figli della buona borghesia. Il fatto che molti di questi ultimi, alla fine, abbiano abbandonato il campo e siano riusciti a inserirsi nel sistema ai massimi livelli, senza dover fare troppa fatica, è uno dei risultati della sua sconfitta.
Ma se oggi molti giovani hanno ancora ideali pubblici e sperano in un mondo diverso è anche perché la generazione del ’68, col suo egualitarismo, il suo umanesimo, i suoi sogni, continua a esercitare un fascino che le generazioni che l’hanno seguita non riescono a esercitare.
Malgrado quello che scrivono certi personaggi, che iniziarono contestando e sono finiti, una volta rientrati a casa di papà e mamma, alla direzione di grandi quotidiani della borghesia.