Bernard Cassen, "Tout a commencé a Porto Alegre", 2003

Si intitola "Tout a commencé à Porto Alegre" ("È cominciato tutto a Porto Alegre") il libro di Bernard Cassen, già presidente di Attac Francia, direttore editoriale di Le Monde diplomatique, uno tra i promotori del Forum sociale mondiale e figura preminente nella preparazione del Forum sociale europeo di Parigi Saint-Denis.

Il libro è stato pubblicato da poche settimane, in Francia, ed è destinato a provocare molte discussioni. Ho scritto, avverte lo stesso Cassen, non "una storia santa in un linguaggio convenzionale: anche se non ne costituiscono assolutamente l'essenziale, i conflitti aperti o camuffati, le tentazioni di colpi di mano sventati fanno anch'essi parte della storia del Forum sociali. E già nelle prime righe del racconto si coglie un'intenzione polemica: "Da Porto Alegre [gennaio 2001, 2002 e 20031 a Parigi Saint-Denis [novembre 20031 e a Bombay (gennaio 20041, abbiamo visto nascere e svilupparsi spazi politici radicalmente nuovi: i Forum sociali". Ci si potrebbe chiedere: e il Forum sociale europeo di Firenze? In effetti, la tesi è che i Forum sociali sono presi in un conflitto, quello tra chi ne vorrebbe mantenere e allargare la loro funzione di "spazi pubblici", e tra chi ne vorrebbe fare dei "movimenti sociali" militanti. Qui riproduciamo alcuni passaggi del libro.

GLI STRALCI DEL LIBRO

È durante il Fsm 2002 che fu presa la decisione di organizzare il primo Forum sociale europeo (Fse)... Io avevo discusso con Bertrand Delanoé, sindaco di Parigi, e Patrick Braouezec, sindaco di Saint-Denis, della possibilità di tenere questo Fse nell'autunno 2002 in Francia. Ambedue avevano giudicato eccellente e accettato l'idea di accoglierlo congiuntamente [...1. Il simbolismo era forte: Parigi, città ricca e prestigiosa, ma anche sede della Comune, si sarebbe alleata a Sant-Denis, città della basilica dove erano un tempo incoronati i re francesi, ma prima di tutto emblema di un dipartimento in cui sono spinti al parossismo tutti i problemi sociali del paese [...].

A margine dei lavori del Fsm (a Porto Alegre 2002, ndt.], una riunione di delegati venuti dai paesi europei fu organizzata all'indomani di questo accordo Delanoé-Braouezec per confermare la scelta delle due città. Nei fatti, le cose non sarebbero andate come previsto. Esposi al centinaio di persone presenti i motivi della proposta francese... Ma spuntò allora uri altra candidatura: quella dell'Italia, che aveva l'aureola del successo del contro-G8 di Genova, nel mese di luglio precedente. Se il futuro Fse si fosse tenuto li, questo avrebbe costituito un atto di riconoscenza e di solidarietà nei confronti dei movimenti sociali della Penisola in lotta contro il governo Berlusconi. Visibilmente, i numerosi membri della delegazione italiana presenti avevano preparato la riunione e facevano blocco. Ciò che non accadeva per niente con i francesi, che non si erano messi d'accordo, e dei quali alcuni, compresi membri di Attac, difendevano piuttosto la proposta italiana. Era in particolare il caso di Christophe Aguiton. Il termine "delegazione" può sembrare improprio in incontri internazionali in cui i partecipanti di un medesimo paese appartengono a organizzazioni molto diverse, e sono prima di tutto legati ai loro partner stranieri della stessa rete che con i loro partner nazionali che possono vedere tutto l'anno. Non c'è mai stata una "delegazione" francese a Porto Alegre, né d'altra parte al Fse: in quest'ultimo caso, anche quando degli accordi erano stati presi da un collettivo di organizzazioni, si trovava sempre una ragione per rimetterli in discussione davanti a un pubblico più largo [...].

Nulla di questo con gli italiani, che danno prova di una notevole disciplina collettiva dal momento in cui si mettono preventivamente d'accordo, e che rivendicano dunque la loro appartenenza a una "delegazione". Ritorniamo a questo piccolo anfiteatro dell'Università Cattolica di Porto Alegre dove si è decisa la localizzazione del primo Fse. Molti degli interventi di pronunciano a favore di Parigi Saint-Denis [...].

Altri interventi, al contrario, erano sensibili al simbolo di Genova e non si fermavano di fronte al fatto che gli italiani non avevano, a quel momento, alcuna garanzia sulla città che avrebbe potuto ospitare il Fse. Per di più, alcuni tra loro, senza dirlo apertamente, trovavano che i francesi occupavano già troppo spazio a Porto Alegre; non gli dispiaceva rettificare una delle loro iniziative... un voto sulle due proposte non aveva alcun senso. Una proposta di compromesso fu adottata: l'Italia nell'autunno del 2002 e Parigi Saint-Denis nell'autunno del 2003. [...].

La scelta dell'Italia, lo si è visto, non era per niente tecnica: era il riconoscimento dell'esistenza, in quel paese, di un movimento composto da molteplici organizzazioni, ma già ben coordinato, che aveva la mobilitazione di Genova al suo attivo ed era considerata come un riferimento, se non un modello, da moltissimi militanti di altri paesi. Questo movimento era largamente unito nel suo rifiuto della globalizzazione liberista e nella sua opposizione totale a quel che era genericamente chiamato "la guerra" dopo l'Afghanistan e prima dell'Iraq. Il problema, ma io me ne sarei reso conto più tardi, è che questa scelta iniziale avrebbe molto pesato nella stessa configurazione del Fse e, più in là, di tutti gli altri Forum. Questo avrebbe messo in luce tensioni tra due concezioni opposte dei Forum: la prima che si richiama espressamente alla Carta dei principi del Fsm, l'altra agli Appelli dei movimenti sociali [approvati fin dal primo Fsm in una assemblea parallela al Forum, ndt.), nei quali pure si offriva un omaggio di pura cortesia alla Carta. La difficoltà è che i portatori di quest'ultima concezione hanno costantemente evitato il dibattito pubblico sulla loro attitudine: Salvo una volta, durante una riunione preparatoria europea del primo Fse, tenuta a Bruxelles nel marzo 2002, ossia solo qualche settimana dopo la decisione di Porto Alegre. Quel giorno, il progetto di "linea" fu enunciata dagli italiani, il primo dei quali a prendere la parola dichiarò che il documento di riferimento del futuro Forum non doveva essere la Carta, ma l'Appell0 2002 dei movimenti sociali deliberato al Fsm... L'Appello contro la Carta: per una volta, almeno, le cose erano chiare! [...]

La lancinante tentazione di una Quinta Internazionale

Gli stessi che vilipendono in permanenza le strutture "piramidali" o "gerarchiche", che vantano i meriti delle reti "informali", della "trasparenza", dell' "inclusione" ecc., sono anche i primi, anche se lo negano, a voler promuovere delle logiche, e anche delle strutture, escludenti che essi credono di poter controllare sottobanco. Dietro il cosiddetto "informale" c'è sempre un nocciolo duro di influenza: talvolta il potere reale di un leader che mostra volentieri il profilo di un militante di base, ma più spesso quello di una rete, in generale pre-esistente, composta da un piccolo numero di persone o di organizzazioni. A differenza delle strutture formali che comportano modi di decisione identificati, dunque prese di responsabilità pubbliche e, al limite, revoca di mandati, le strutture dette informali sono anonime, si celano dietro proposizioni pompose che permettono loro di darsi una rappresentatività che non hanno, e non devono, per definizione, rendere conto a nessuno. L'assemblea dei movimenti sociali è a questo riguardo un caso di scuola. [...]

Dietro le quinte del Forum europeo di Firenze

[...] All'ingrosso, le cose funzionavano in questo modo: il coordinamento italiano faceva delle proposte ad assemblee europee itineranti da una città all'altra [Vienna, Salonicco, Roma, Barcellona], ciò che permetteva di incorporare nel processo organizzazioni locali o dei paesi geograficamente più vicini, ma obbligava ogni volta a ricominciare tutto da zero. Quel che la preparazione guadagnava in apertura a nuove forze, perdeva in efficacia.

E non era tutto: le decisioni prese a livello europeo dovevano poi essere "vendute" dal coordinamento italiano ai differenti Forum sociali locali della Penisola che avevano l'ultima parola. Di qui l'estrema difficoltà a prendere la minima decisione. Da qui anche il ritardo con cui gli italiani presentarono la lista delle conferenze plenarie e dei seminari del Fse. [...]

Di fatto, la scelta delle conferenze o sedute plenarie è la traduzione di un rapporto di forze. L'inclusione o l'esclusione dei soggetti da trattare, la loro formulazione, l'ordine nel quale sono abbordati, gli equilibri tra partecipanti di questo o quel paese, tra le categorie di attori, ecc., costituivano la superficie di una lettura del mondo e della gerarchizzazione delle rivendicazioni che essa propone.

[...1 Amplificando questa concentrazione delle energie sulla scelta dei temi di primo piano, il Fse di Firenze ha preso una connotazione da "movimento" piuttosto che di "spazio", applicando largamente nei fatti le opzioni iniziali degli italiani. La mischia generale per figurare si complicò a causa della necessità, per gli italiani, di praticare sottili dosaggi interni che avevano bisogno di molti posti. È per questo che si sono attribuiti d'ufficio almeno un partecipante per ogni conferenza plenaria, così come uno dei due posti di coordinatore in queste stesse conferenze. C!qualcuno obietterà che queste decisioni sono state il frutto di un consenso. Ma consenso di chi? Essenzialmente di tre forze: le delegazioni" italiana e inglese, e i rappresentanti francesi, essi stessi divisi [c'era chi teneva per le posizioni degli italiani, tra loro), ma adottando ciononostante delle posizioni comuni. Certo, man mano che il programma veniva elaborato, il principio di realtà riprese progressivamente il controllo: numerose organizzazioni estranee all'atteggiamento di estrema sinistra dell' assembla dei movimenti sociali furono inserite nelle plenarie, anche se avevano poco o per niente partecipato alle riunioni preparatorie. Bisognò comunque esercitare molta diplomazia perché la Confederazione europea dei sindacati [Ces] desse il via libera. Senza il quale non era per nulla certo, ad esempio, che la Cgt francese avrebbe accettato di essere rappresentata. La lettura attenta della lista degli oratori italiani mostra che i membri o i vicini a Rifondazione comunista si sono ritagliati la parte del leone, dando una tonalità nettamente meno pluralista che a Porto Alegre. Questa radicalità è nettamente meno percepibile negli altri contingenti nazionali di oratori. Di fatto, ciascun paese ha avuto il diritto a una quota di interventi (una decina per la Francia] che i coordinamenti nazionali, dove ce n'era uno, designavano a loro gusto. Prima che questa soluzione realista di si imponesse, fu tuttavia necessario contrastare le pretese della delegazione italiana di ingerirsi della scelta degli oratori non italiani.

Il programma delle plenarie porta il marchio di questa logica di cartelli, e dunque di "ego" di organizzazione, in cui gli oratori sono scelti in base alle loro funzioni nella loro struttura e, al limite, indipendentemente dal soggetto da discutere. E con un numero di posti limitato, le grosse organizzazioni si "servono" per prime... Una tavola rotonda con Bertinotti Agnoletto... All'epoca presidente di Attac, facevo parte di una plenaria in forma di tavola rotonda su "Movimenti e partiti politici" nella quale comparivano anche, tra altri, Vittorio Agnoletto, Fausto Bertinotti, Olivier Besancenot [già candidato alla presidenza francese per un partito trotskista, ndt.] e Elio Di Rupo, capo del Partito socialista belga.

Questa tavola rotonda era uno degli eventi del Fse e la sala [più di cinquemila persone] era quasi interamente devota a Rifondazione comunista, e in articolare al suo leader carismatico e talentuoso, Fausto Bertinotti. Credo di essere stato il solo a discutere il tema e, disciplinato, a trattarlo nel tempo assegnato, credendo di partecipare a una vera tavola rotonda di un vero Forum. I miei vicini, essi, avevano di colpo adottato lo stile militante, tono veemente, effetti da tribuna e linguaggio stereotipato. o dovuto concentrarmi per continuar ad ascoltare il discorso di Besancenot dopo i primi trenta secondi:l'avevo ascoltato talmente tante volte alla radio e alla televisione. Bertinotti, dopo una (molto] lunga performance oratoria, e senza aver mai realmente affrontato la questione in discussione, e 'a letteralmente sudato! Quando a Di Rupo, è riuscito a far dimenticare la sua tara di socialdemocratico... esprimendosi in italiano! Ricavai una impressione catastrofica da questa presunta tavola rotonda che, purtuttavia, ebbe il dono di estasiare l'uditorio.

In effetti, Firenze estasiò tutti quanti. Non tanto per quel che si poté dire nelle plenarie e nei seminari, ma grazie a questo entusiasmo contagioso del "tutti assieme", degli incontri con militanti di altri paesi, della sensazione di costituire una forza irresistibile. La manifestazione della domenica, contro la guerra e per un' "altra Europa", riunì tra 500 mila e un milione di persone [....] nella calma più completa, fu un momento di vera felicità per tutti. [...]

Un piccolo aneddoto la dice lunga su questo avvenimento: quando abbiamo dovuto reclutare persone per assicurare il lavoro di organizzazione del Forum di Parigi Saint-Denis, abbiamo avuto colloqui con una dozzina di candidati. Che ci hanno tutti voluto comunicare lo straordinario ricordo che avevano di Firenze, ciò che li aveva spinti a voler proseguire l'esperienza di un Fse in Francia. Dunque, da questo punto di vista, missione compiuta da parte dei nostri compagni italiani.

stralci del libro a cura della redazione web di Attac Italia, 19 novembre 2003