Pippo Carrubba, "Mi Chiamavano Sovversivo. Memorie di Solidarietà Operaia", Jaca Book
 

Le memorie sovversive di Pippo Carrubba

Una narrazione di intensità non comune, quella di Pippo Carrubba, anche nella sua ultima fatica letteraria: Mi Chiamavano Sovversivo. Memorie di Solidarietà Operaia, Jaca Book. Libro di memorie personali con cui vengono filtrate memorie collettive: ricordi di militante sindacale, di saldatore specializzato nella filiera produttiva della navalmeccanica, di marito deluso. Pagine di un romanzo di vita, drammatico, ironico, colmo di illusioni e speranze, scritte per essere condivise, per riconoscere sé e per riconoscere l’altro da sé.
La temperie in cui si inserisce Mi Chiamavano Sovversivo (con la prefazione di Fausto Bertinotti) è circa il quarto di secolo compreso tra la fine degli anni Settanta e i primi anni del 2000. Pippo racconta la storia di un operaio specializzato dotato di una specialissima qualità, quella di indignarsi e di resistere a qualsiasi sopraffazione. Ci fa condividere la sua capacità di lottare sempre nelle fabbriche di Sestri Ponente, di Porto Marghera, di Monfacone, di Riva Trigoso, ma anche di suonare il sax tenore. Ci dischiude i cancelli della fabbrica narrando della durezza della condizione di “trasfertista” e della scarsa sicurezza sui luoghi di lavoro. Ci apre gli occhi sulla solitudine operaia determinata dagli errori del Partito, dai cedimenti del Sindacato e dal disinteresse dell’opinione pubblica. Descrive il tormento di sentirsi abbandonato da una moglie che gli preferisce la predicazione di Geova.
Ma, sotto la cenere, scocca la scintilla della speranza. Speranza alimentata da una dirittura morale “d’acciaio” e dalla solidarietà di classe. Speranza radicalmente incompatibile con il lemma concertazione, cercato e non trovato nel dizionario “Italiano per tutti”.
Speranza che si nutre nella nuova vita ad Ovada e a Silvano d’Orba: nella voglia di ricominciare a fare politica - prima in Democrazia Proletaria e poi in Rifondazione -, e nell’affetto della nuova compagna. Speranza che si appanna quando cade un compagno di lavoro dal parapetto o quando muore un capo officina schiacciato da un muletto.
Una vita vissuta senza risparmio, senza paura di sbagliare, facendosi carico di tutte le responsabilità, quindi anche sbagliando. Così, quando il padrone decide di assumere giovani, Pippo (e chi sa quanti altri come lui) si precipita alla scuola di lavoro Ancifap a spiegare loro i diritti dei lavoratori, rimediando una lettera di biasimo dalla direzione aziendale.
Così, nel conflitto israelo-palestinese sceglie la causa palestinese non senza eccedere nell’antisionismo.
Nelle trecento pagine di Mi Chiamavano Sovversivo si può seguire il viaggio di un “io” narrante che non comincia e non finisce. La lettura si può compiere anche a ritroso, capendo così la storia del tempo presente dalle vicende passate. La mattina grigia di un giorno qualunque in cui l’esecutivo del Consiglio di fabbrica tratterà la cassa integrazione si alterna e si confonde quindi con il momento in cui il “popolo dell’acqua”, comunque siano andate le cose, ha difeso questo bene comune.
Pippo ha origini siciliane. E dei vecchi siciliani esprime il carattere combattivo, di quelli che a diferrenza di tanti altri suoi conterranei ancora non si rassegnano. E alla durezza della lotta associa la dolcezza dell’ospitalità. La sua casa a Silvano d’Orba è un luogo aperto dove ama ospitare di tanto in tanto gli amici e i compagni e dove, intorno ad una tavola imbandita per un pranzo preparato con cura e attenzione, discute di politica con una passione che prima di tutto rappresenta il suo attaccamento per la comunità alla quale ha scelto di aderire generosamente. Tanto generosamente che ha deciso di ospitare il circolo di Silvano d’Orba in alcuni suoi locali attigui alla casa.
Grazie a Pippo Carubba, inquieto, disubbidiente, coraggioso uomo del suo tempo. Grazie a Pippo che fa e descrive, quindi pienamente vive.
 
 

Sergio Boccadutri, "Liberazione", 7 aprile 2006