Andrea Haijek, "Negotiating Memories of Protest in Western Europe. The Case of Italy", Palgrave Macmillan, 2013
 

L’uccisione, da parte di un carabiniere, dello studente Francesco Lorusso e gli scontri che ne seguirono, nel marzo 1977, furono un trauma per la vita politica di Bologna.
Oggetto del libro di Andrea Haijek non è la ricostruzione di quegli eventi, bensì la memoria di essi in diversi soggetti sociali e politici: la famiglia di Lorusso, i suoi compagni di lotta, il Pci, le istituzioni locali (Comune e Università).
La memoria dei familiari ha sempre messo l’accento sugli ideali di Lorusso, al fine di renderne la figura più accettabile all’opinione pubblica, parte della quale lo considerava un violento, quasi un teppista, morto in seguito ad uno scontro dove si era usata la violenza da entrambe le parti: la polizia sparando, gli studenti lanciando molotov.
I compagni di lotta di Lorusso e coloro che negli anni successivi si sono considerati eredi del movimento del 77, hanno sempre posto l’attenzione sulla persistenza dei problemi che hanno causato la morte del proprio compagno (repressione, chiusura del sistema politico alle istanze del movimento, precarietà) e sugli ideali che rappresentava (la lotta per una società più giusta).
Il Pci, che nel 77 aveva una posizione di contrapposizione al movimento, successivamente mutò parzialmente posizione. La morte di Lorusso venne paragonata alla morte delle vittime del terrorismo, sia di sinistra (Graziella Fava, morta in un attentato incendiario) o di destra (le vittime della strage della stazione di Bologna). Il Pci assunse un atteggiamento autocritico rispetto agli incidenti del 1977, ammettendo le ragioni della protesta ma criticandone la violenza.
Un primo elemento che emerge dall’analisi è che a volte vi sono elementi che permangono nella trasmissione della memoria, altre volte la memoria si trasforma nel corso del tempo.
Inoltre, nota l’autrice, spesso la memoria non è fissata una volta per sempre, ma continuamente ricostruita nel presente.
Infine, non c’è una memoria condivisa: “differenti gruppi sociali valutano la morte di Lorusso in modo differente”. (p. 165)
L’analisi della memoria, o meglio, delle memorie dell’omicidio Lorusso, conferma che le memorie del 68 e degli anni 70 sono generalmente divise agli estremi opposti dello spettro politico: da un lato, memorie “mitologiche, nostalgiche e celebrative, e la memoria del terrorismo dell’altra, sono proprie della sinistra e della destra”. (p. 53) La miopia di letture stereotipate e pregiudiziali della realtà ha portato a volte a ricostruzioni dei fatti errate, come quando Montanelli descrisse Lorusso come dirigente di Prima linea. (p. 83) Oppure alla convinzione, espressa da qualche ex esponente del movimento del 77, che “solo chi ha partecipato a quegli eventi ha diritto di parlarne”. (p. 51)
Queste “memorie divise” hanno un ruolo significativo nella costruzione delle diverse culture politiche, nella costruzione delle identità collettive e nel rafforzamento del senso di appartenenza. Gli anniversari della morte di Lorusso divengono così “non semplici occasioni commemorative ma anche occasioni per costruire identità nel presente”. (p. 126)
 

Fabrizio Billi