Giorgina Arian Levi, Manfredo Montagnana, I Montagnana. Una famiglia ebraica piemontese e il movimento operaio (1914-1948), Firenze, Giuntina, 2000, p. 158, L. 20.000

Giorgina Arian Levi è stata consigliera comunale di Torino e parlamentare per il PCI. Studiosa del movimento operaio italiano e sudamericano (conosciuto nella migrazione causata dalle persecuzioni razziali fasciste) è esperta, anche per esperienza diretta, sull’antisemitismo, l’ebraismo e il razzismo in generale. Manfredo Montagnana ha conosciuto, da bambino, l’esilio in Australia; insegnante universitario, comunista, è presidente dell’Unione culturale “Franco Antonicelli”.
I due autori, appartenenti alla comunità ebraica di Torino, tracciano in un testo agile e corredato da una bella documentazione fotografica, il profilo di una famiglia nei suoi rapporti con la cultura ebraica e con il movimento operaio piemontese negli anni della sua crescita, della pesante sconfitta ad opera del fascismo, della guerra partigiana e della ricostruzione.
Tre le figure principali e note: Rita, la prima moglie di Palmiro Togliatti; Elena, moglie di Paolo Robotti, comunista alessandrino, esule in URSS e vittima del carcere staliniano; Mario, esule in Francia e in Messico, direttore dell’”Unità”, dirigente del partito.
Accanto a queste tre figure, gli autori collocano molti altri componenti la famiglia. Tutto sembra ruotare attorno o avere inizio dalla madre, Consolina Segre, nato a Saluzzo nel 1868 e morta ad ottant’ anni di età, nel 1948, felice di aver potuto rivedere i figli che la persecuzione fascista aveva sparso in tanti paesi del mondo. Madre di otto figli, vedova all’età di trentacinque anni, la sua forza d’animo e il suo coraggio si manifestano durante gli arresti e le persecuzioni dei figli, il loro esilio, la reazione fascista che colpisce anche il loro quartiere, Borgo S. Paolo (è commovente la scena del suo pianto dopo l’incendio della Camera del lavoro, “la casa che gli operai si erano costruiti mettendo su soldo su soldo”).
Dalla madre ai figli (tranne una, Bianca, morta in tenera età),  con brevi medaglioni che mettono in luce più gli aspetti personali, più i percorsi umani che le specifiche scelte politiche. L’ antifascismo, la scelta comunista il legame con il mondo operaio sono inquadrati nell’ambito familiare, nel quartiere. Anche l’esilio non presenta solo aspetti politici: vi è spesso, la descrizione dei nuovi ambienti, delle dure condizioni di vita. Non a caso, trovano molto spazio le lettere, le forme familiari, soprattutto l’uso di uno strano gergo giudeo- piemontese che dà un sapore particolare ai testi.
Gemma, madre di cinque figli (ma senza la guerra- diceva- ne avrebbe avuti otto, come la madre), iscritta al PCI, ma timorosa, nel ricordo del periodo fascista, di pericoli per i figli, anch’ essi impegnati.
Attiva anche Lidia, pur rimasta vedova con un figlio di due anni, capace di impegnarsi nell’ Alleanza cooperativa e nell’occupazione delle fabbriche. Sarà sorvegliata dalla polizia per tutto il periodo fascista.
In primo piano fin da giovane, Clelia, capace di tenere comizi, di lavorare nel PSI, di partecipare ai moti per il pane e contro la guerra nel 1917. Insegnante, perde, per le leggi razziali, il posto che ritrova solo nel 1945. Attiva nel Soccorso rosso e verso i carcerati, non si iscriverà mai al PCI, mantenendo una critica severa verso Stalin e l’URSS.
Quindi, Rita, sarta, nel PSI a vent’anni e nel PCI dalla fondazione. Oltre ai fatti politici e più di questi (l’esilio in Francia, Svizzera e URSS, la partecipazione alla guerra di Spagna, i tanti congressi internazionali, la fondazione dell’UDI , la partecipazione alla Costituente) si ricordano di lei l’umanità, la capacità di parlare con le operaie, la sua attenzione alle loro condizioni di vita e di lavoro.
Ancor più avventurosa la vita di Mario, in cui si intrecciano le aggressioni, il carcere, l’esilio in Francia, i frequenti rientri in Italia, l’internamento in campo di concentramento, il soggiorno forzato in Messico.
Travagliata la vita di Elena, tra l’esilio, il dramma del marito, comunista arrestato e torturato in URSS e rimasto fedele all’idea e al partito. La sua figura è spesso descritta da pagine dei due libri di questi: La prova e Scelto dalla vita. Anche in lei rivive il clima del borgo S. Paolo a cui è sempre legata, anche nel suo lungo “periodo romano”.
Anche Massimo, il più giovane dei fratelli, subisce le persecuzioni razziali e politiche.
Il testo si chiude con due Montagnana, appartenenti alla generazione successiva, Ugo, figlio di Clelia e Franco il figlio di Mario, quasi come segno di una continuità. Eguale messaggio la foto di Manfredo, coautore del testo, con la bandiera rossa, nella manifestazione di Torino, del primo maggio 1975.
Il testo offre una immagine inedita, di una famiglia singolare, forse unica, compatta anche nei momenti più difficili, in cui oltre all’influenza della personalità della madre sono preponderanti l’ identità ebraica e il rapporto con il crescere dell’ideale socialista nella Torino operaia di inizio secolo. Da leggersi anche per cogliere di alcuni/e importanti dirigenti politici il lato umano e familiare, quello che spesso non si coglie nelle storie “ufficiali”.

Sergio Dalmasso