Antonio Gamberi, "Poesie per un Liberato Mondo", a cura di Franco Bertolucci e Daniele Ronco, Pisa, BFS edizioni, 2004, pp. 207, euro 15.00

Per i curatori del libro di Antonio Gamberi, una raccolta delle sue poesie scelte tra le circa 650 che egli ha scritto nel corso della sua vita, si pone una domanda che riguarda principalmente gli storici, non certo il personaggio in questione. Può la poesia diventare una fonte utile e attendibile per ricostruire la biografia di un personaggio che ha vissuto a cavallo dei due secolo trascorsi, l’800 e il 900, con uno spirito militante conservato per quasi mezzo secolo?. La loro risposta propende per il sì. Cosi Franco Bertolucci si è proposto di analizzare la poesia di Gamberi come una fonte storica, un diario delle esperienze, dei sentimenti, delle emozioni e delle passioni, una testimonianza degli avvenimenti dell’epoca che hanno per cornice sia il territorio della Maremma Toscana, con le condizioni di vita e le malattie che colpiscono i minatori, il lavoro nei campi, la migrazione, e sia eventi nazionali e internazionali, dei primi anni del XX secolo: dalla rivoluzione russa a quella spagnola, dall’avvento del fascismo, alla morte di personaggi illustri come Andrea Costa e Karl Liebknecht.
Tutte queste vicende storiche s’intrecciano con la vita, non facile, di Gamberi, nato a Grosseto il 16 maggio 1864. La sua formazione è quella di un autodidatta. Ha abbandonato infatti la scuola dopo la seconda elementare, si è poi iscritto ad una scuola serale dove ha imparato soprattutto le regole della grammatica e della sintassi. Cresce in un ambiente in cui viva è ancora la passione per gli ideali risorgimentali e garibaldini e ricca e fervente è la vita associativa del popolo che si organizza nella prime società di Mutuo soccorso, nei circoli democratici e anticlericali. Lavora come minatore e manovale e il tema delle dure condizioni di vita dei lavoratori sarà sempre ricorrente nelle poesie. Nella provincia maremmana il pensiero socialista comincia a diffondersi al principio degli anni Novanta dell’Ottocento. Il suo socialismo è una sorta di sintesi tra l’azionismo della tradizione garibaldina, le concezioni umanistiche del primo socialismo di orientamento marxista positivista e le teorie libertarie. Una temperie ideale, ammetterà lo stesso Gamberi, che unisce i filosofi greci a Tommaso Moro, Giordano Bruno, Fourier, Marx, Bakunin. Un socialismo originale, antistituzionale, rivoluzionario e di classe, disprezzato in epoche successive perché ritenuto “superficiale”, “primitivo”, non in linea con lo sviluppo “scientifico” del socialismo e del marxismo. Del resto lo stesso Gamberi canta quel tipo umano di militante socialista paragonandolo ai primi apostoli, sottolineando l’accostamento, che c’era all’epoca, tra cristianesimo e socialismo.
 A trentasei anni in una raccolta di poesie dal titolo Il mio ritratto di se stesso dice di essere un “ateo convinto e fermo socialista”. L’età giolittiana lo vede impegnato sul fronte della battaglia anticlericale per la laicizzazione della scuola, per l’introduzione della legge sul divorzio, nella denuncia dell’influenza sulla società e le classi subalterne della cultura cattolica. Condannato per diffamazione a mezzo stampa nel 1907 emigra clandestinamente in Svizzera e poi in Francia.
Nella sua pubblicazione del 1913 della raccolta di poesie Ultime battaglie, prende le distanze  dal Carducci  -che “dalle imprecazioni contro ‘i tiranni di fuori e i vigliacchi di dentro’, passa dalla famiglia dei secondi, alleati coi primi, morendo senatore”- dal Pascoli, “professore alla greppia sabauda” che “canta in un metro che sa di ninna nanna efficace ad assopire il popolo”, e da D’Annunzio e la sua musa “floscia”. Rivendica il ruolo della poesia militante nell’ambito della lotta per una società più giusta, libera ed egualitaria. I suoi componimenti rispettano regole metriche precise, una delle forme più usate è quella del sonetto petrarchesco e i versi hanno rime molto spesso non banali..
Allo scoppio della Prima guerra mondiale decide di tornare in Italia. Prende parte alla campagna neutralista. Per le sue posizioni intransigenti viene denunciato e arrestato. Aderisce con entusiasmo alla rivoluzione russa del 1917, quella di Lenin e Trostkij, ma prende subito le distanze alle prime avvisaglie d’involuzione autoritaria. Partecipa con spirito militante alle prime battaglie contro le nascenti squadre fasciste, nell’ottobre del 1921 viene aggredito e bastonato dai fascisti. Nel 1923 si rifugia in Francia dove continua al sua battaglie e la sua produzione poetica. Non rientrerà più in Italia, morirà esule all’età di ottant’anni a Juoef nel 1944.

Diego Giachetti