Carlo Carotti (a cura di), "Alla ricerca di un socialismo possibile. Per ricordare Stefano Merli", Lampi di stampa, 2004, pp. 175, 11 euro

1. Stefano Merli: chi era costui?

A  dieci anni dalla sua morte la figura di Stefano Merli, storico e intellettuale ³militante² sembra quasi del tutto dimenticata  e comunque poco citata , come se la sua stessa opera appartenesse a una  epoca e a una stagione di studi ormai conclusa. Certo, se si guarda alla  voce "storia del movimento operaio", è da tempo ormai che questo campo di studi ha perso di assolvere a quella funzione doppia  che ha avuto nella seconda metà del XX secolo, al suo essere cioè al tempo stesso un campo e un oggetto specifico di studi e una sorta di dottrina generale di riferimento,  l'indicatore etico-politico della verità storica e la conferma autorevole della giusta linea , ponte tra passato e presente che illumina il senso e la prospettiva storica.  Questa sorta di "mandato", che la tradizione storicistica della cultura di sinistra  affidava alla verità storica  nella lotta per la conquista dell'egemonia, sopravvive a stento a quel crollo del comunismo (che pure  imporrebbe una revisione delle linee interpretative) e mal si adegua al fatto che il soggetto stesso "movimento operaio"  non  condensi in sé identità sociale e fisionomia politica  in termini speculari. Troppo spesso  la polemica immediata  e la sua risonanza all'interno dell'opinione pubblica rivela un suo andamento insieme strumentale e tortuoso,  che obbliga a separare lo scontro interpretativo  immediato dal riscontro reale dei risultati, a fare  del cosiddetto  "uso pubblico della storia" il criterio "vincente"  ed esclusivo del giudizio.
La figura e la ricerca storica di Stefano Merli appartengono davvero a un campo che ha perso il suo primato, a una stagione "pionieristica" degli studi? O a tutto ciò va aggiunto anche  il fatto che  Merli  è stato un tipico intellettuale "militante"  della sinistra e che proprio questa unità di ricerca e lotta interpretativa, passione storica e   critica dei modelli culturali ufficiali, verità "scientifica" e verità politica, è anche essa segnata,tipica di una stagione  in cui  lotta collettiva e lotta sul terreno della teoria  coincidevano di fatto?
Ho citato aspetti  di ordine generale che possono concorrere a spiegare le ragioni di rimozione, reticenza, cattiva coscienza che possono agire  rispetto alla domanda "Stefano Merli, chi era costui?" come fossimo in presenza di una memoria ingombrante, una sorta di gentiluomo d'altri tempi che si occupava di storia del socialismo ed era egli stesso un socialista IRREGOLARE, uno di quei "perdenti"  nella storia della sinistra  che tende a essere collocato in qualche modo ai margini rispetto alla "memoria pubblica" della giusta linea (quale?) della sinistra stessa. Quanto vale  ancora oggi quella sorta di implicito veto,  che scatta nei  confronti di intellettuali poco allineati e poco rivendicabili alla  propria famiglia? A ben guardare esso vale tutto sommato poco, poiché comunque  la scoperta o la riscoperta  di tante  figure di  intellettuali militanti "scomodi", non-regolari, critici, di presunti cattivi maestri, di  eretici e di non ortodossi, è stata una delle costanti  più significative inaugurate dal crollo del comunismo e degli egemonismi  precostituiti ed è a sua volta un piccolo-grande "mandato" che le nuove generazioni si ritrovano a verificare  appena oltrepassano i confini della verità accademica e delle interpretazioni dominanti (del resto nel suo impegno costante di ricostruzione delle linee alternative, dei protagonisti dimenticati, del rapporto fra culture egemoni e minoranze critiche, Merli è stato a sua volta  un campione indiscusso).  Per questo va salutato  con soddisfazione il volumetto che amici e studiosi, sollecitati da  Carlo Carotti, han pubblicato in occasione del decennale della morte. Non siamo in presenza di un atto dovuto o di un rituale, semmai di un primo piccolo inventario delle molte ragioni che rendono importante occuparsi di questo storico socialista e di questo intellettuale  impegnato nella ricerca di un "socialismo possibile".

2.  Si può parlare di un "caso Merli"?

Il volumetto è dunque una prima tipica occasione possibile  per  affrontare il "caso Merli",  alla luce  di quegli stessi interrogativi critici che comunque in qualche modo han continuato a circolare in sedi più ristrette o in discussioni casuali  tra amici, estimatori, collaboratori, allievi e compagni che lo stimarono ma non sempre concordavano con lui, suoi interlocutori  e testimoni.  Il caso Merli, se così vogliamo chiamarlo, è dato esso stesso dal fatto che (al di là delle distinzioni ­ che valgono per tutti- fra opere maggiori e opere minori, opere che costituiscono un punto fermo e scritti di minore merito) in qualche modo esiste un non-detto, una zona di reticenze e di imbarazzo, che sfocia in modo più o meno implicito nella distinzione  fra un Merli "buono" e uno "nobbuono", sicché una parte dei suoi stessi estimatori lascia trapelare una serie di "distinguo".
Non è sufficiente rispondere  che a ben vedere c'è in tutti, anche in coloro che han traversato e vissuto stagioni diverse, assumendo posizioni di superamento e a volte di smentita delle proprie precedenti, un nucleo costante, un tema, un filo conduttore che si tratta di saper individuare ( il caso classico per decenni è proprio quello di Marx: il "giovane Marx"  va separato dal resto della sua opera  o c'è una  costante di fondo , una linea di pensiero forte?).
La sostanza del "caso Merli" investe  in questo caso  due questioni, distinte ma unite,  la storia del socialismo, la collocazione "politica" dello stesso Merli rispetto a essa.  In parole povere essa può essere riassunta  così:
1) c'è uno Stefano Merli che si occupa della storia dell'autonoma insorgenza di classe, del sindacalismo rivoluzionario, delle linee antagoniste, delle politiche alternative allo stalinismo, di Panzieri, di Bosio, di Montaldi. E' il Merli "socialista di sinistra" che apprezziamo  o riconosciamo . C¹è invece anche uno Stefano Merli  che  si occupa dei socialdemocatici di sinistra, di Silone, di Caffi, di Matteotti, e valuta positivamente la politica della "destra socialista",  in particolare Craxi.  E' il Merli "nobbuono" che non apprezziamo.

2) C'è il Merli che coniuga insieme storia sociale e storia politica , critica "da sinistra" allo stalinismo e critica libertaria e di classe al riformismo. Altri studi e posizioni di Merli  sono invece in contraddizione e rappresentano nel metodo un ritorno alla storiografia  ideologico-politica e nei contenuti  una convergenza con le culture del socialismo liberale.

Io credo personalmente che, se è vero che siamo in presenza in periodi diversi di scritti diversi, occorre individuare principalmente la  DIRECTORY di fondo  del suo lavoro e non disarticolarlo. Intendo ritornare su questo aspetto più avanti ma mi preme dire subito che siamo in presenza di una linea di ricerca operante su tre  piani diversi e tra loro connessi in modo imprescindibile: la storia della ³classe², cioè la storia della soggettività sociale, degli antagonismi, del rapporto fra lotte e organizzazione, strumenti e contenuti; la storia del socialismo  come storia generale e però come campo peculiare di identità del movimento operaio, intreccio permanente di storia delle correnti e storia delle lotte; la ricerca del ³filo rosso² di quella che  Merli chiama politica unitaria di classe , dei momenti di alternativa possibile, dell¹ ³altra linea², vista  non come  verità e pensiero  ma come  pratica costruzione di strumenti ³unitari² e alternativi.
Si tratta pertanto di non negare (sarebbe sciocco proprio nei confronti di chi come Merli ha impiegato la sua vita a studiare il rapporto non-lineare fra continuità e discontinuità) le differenze e le discontinuità ma di affrontare l¹insieme del suo lavoro.

3. L'organizzatore culturale  Stefano Merli

Uno degli elementi biografico-culturali su cui soffermarsi è  il nesso fra ricerca e organizzazione culturale in tutta la sua vita e il suo lavoro. Sia quando, ancora oscuro e misero ricercatore, al limite vero e proprio della sopravvivenza, organizza  la documentazione e la ricerca con la Fondazione Feltrinelli in anni eroici eppure grigi (chi avesse in mente "iI lavoro culturale" di Luciano Bianciardi  ricorderà cosa significasse allora  miseria e nobiltà  del feltrinellismo) e collabora con la prima generazione "pionieristica" degli studi di storia del movimento operaio e socialista  conoscendo di persona i Gianni Bosio e i Della Peruta, i Cortesi, e via via tutti i nomi  principali che oggi risuonano come i primi studiosi classici, attenti alle fonti, al documento, alla storia "minuta" accanto alla storia generale. Sia quando si dedica a organizzare e pubblicare i documenti dell¹Archivio Tasca e a saldare la scelta dei criteri con la  ricerca più ampia  dei carteggi, degli interlocutori, in una prima vera grande prova di  ricostruzione del dibattito socialista fra le due guerre. Sia quando collabora con Panzieri  per l¹istituto Morandi, cura gli scritti morandiani, il nesso di filologia è politica è ineccepibile, Merli non forza mai un testo per via del suo accordo-disaccordo politico, ma  fa politica connettendo i testi. E questa sua straordinaria passione per le fonti sfocia nel suo capolavoro, la ricerca sulle origini del movimento operaio in "Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale", tanto che anche chi oggi  rileggendo la sua opera  ritiene comunque  lecito muovere obiezioni di vario tipo sullo schema interpretativo  (a partire dall¹uso del Lenin delle "origini del capitalismo in Russia " e dalla spregiudicatezza con cui Merli si misura con tutto il patrimonio interpretativo con vera padronanza)  non può che rimanere sbalordito dalla  mole enorme di materiali e di fonti d¹archivio, giornali,  inchieste  materiali, con cui lavora  (per anni, con metodo, giornate intere alle biblioteche nazionali  financo saltando i pasti, come ricordano gli amici). Ed è lo stesso criterio minuzioso con cui si dedica alla  raccolta (salvando spesso fogli e lettere a cui nessuno badava) degli scritti di Panzieri, con un  lavoro di completamento durato circa un decennio, forse più.

4. Gli scritti di Raniero Panzieri

Se si considera che in  quegli anni  Panzieri era  comunque un mito della nuova sinistra e dell¹operaismo, che snobbavano tutta quella documentazione  su  Panzieri socialista  come una stupidaggine (ci fu chi scrisse che non serve molto stabilire quanto  c'è di Mazzini o di Proudhon in questo o quell'altro, come a dire che non serva a nulla stabilire quanto c'e di Hegel e quanto di Kant in Marx) o una fissazione mirante a documentare che comunque Panzieri era stato socialista (ma lo era stato per una  quindicina d¹anni, non per tre mesi,  e qualche ragione doveva pur esserci) , si può capire oggi l¹importanza del tutto: oggi che, va detto a  vergogna e disonore della memoria storica della stessa ex nuova sinistra, nel quarantennale  della morte (1964) nessuno ne parla più  e l'unica cosa che rimane a disposizione è il lavoro di Merli, non certo le centinaia di tesine scopiazzate sui "quaderni rossi" con cui era facile laurearsi trenta anni fa. E' sempre lo stesso Merli, che certo era più  vicino morandianamente a Panzieri quando ne ha raccolto gli scritti ma non si è dimenticato del suo "primo amore" nemmeno negli ultimi giorni della sua vita che pubblica con una casa editrice libertaria gli ennesimi scritti di Panzieri: solo che negli anni precedenti Merli si è occupato anche dell'archivio Faravelli, cioè di un socialdemocratico di sinistra che con Panzieri non aveva niente a che spartire, rivisitando gli anni  trenta e quaranta, valorizzando  quel "rinnegato Tasca" che ancora  non viene digerito dalla storiografia pcista e i filoni del socialismo LIBERTARIO,  a partire dal grandissimo e ancora troppo poco  riconosciuto Andrea Caffi.  Se si prova a guardare al metodo adottato e al suo nesso tutto intero  con la individuazione della storia socialista come  chiave di volta della storia del movimento nel nostro paese si può cominciare a capire qualcosa.

5. Le  riviste

Poco frequentata ancora, direi tutta da scoprire, la vicenda del rapporto fra Stefano Merli e le riviste, anzitutto le riviste "storiche", ma anche quelle più strettamente teorico-politiche. In verità ci sono state tre fasi, tre riviste, nella storia dello stesso Merli, e sono fra loro di taglio marcatamente diverso. Mi riferisco da un lato alla "Rivista storica del socialismo", dall'altro a "Classe",  dall'altro infine a "Socialismo-storia". Delle tre la più canonica, ormai un classico degli studi, è la prima. La più amata dallo stesso Merli, credo, che pure ne soffrì la crisi redazionale interna, è stata "Classe". La più controversa, giudicata (del tutto ingiustamente) come un ritorno all¹ovile socialista, la terza.
Non mi soffermo sulla "Rivista storica del socialismo" perché è ormai quasi un luogo comune il riconoscimento della sua funzione-guida nella ripresa degli studi storici, il nesso di continuità e discontinuità con le polemiche  fra Gianni Bosio e la storiografia  più vicina al pci  e al gramscismo, l'intreccio (quasi una doppia linea di ricerca) fra storiografia centrata sulle origini del Pci (Cortesi, ma anche Merli, come è noto)  e storia del socialismo tout-court, compreso l'allora innominabile Filippo Turati. La bibliografia è vasta, eppure sarebbe ora che venisse fuori anche attraverso lettere e documenti la storia del contrasto stesso fra Cortesi e Merli, il passaggio della rivista (chi tirava di più in quel senso) della rivista verso la nascente nuova sinistra pre-68, il fatto che essa appare insomma come un vero e proprio crocevia di più linee di ricerche, una rivista di transizione nel senso migliore della parola.
"Classe" è stata invece tutta, nel bene e nel male, una creazione originaria di Merli, il punto di incontro intelligente fra uno spazio di ricerca inaugurato dagli studi su proletariato di fabbrica e capitalismo industriale già in gestazione  e mescolato al bisogno di una nuova "analisi di classe" scaturita  dalle lotte dell'autunno caldo. L'idea stessa di coniugare storia "antica" della classe e storia più che contemporanea, quasi-cronaca (si pensi alla pubblicazione di tutti i volantini di lotta continua ai cancelli della FIAT), marxismo del metodo, culture dal basso, storia materiale e lotta per l'alternativa, fa di questo incredibile stupendo IBRIDO un materiale multiplo: sono gli anni degli storici scalzi e della storia orale, ma anche del maoismo più ingenuo, delle riprese di terzomondismi m-l, delle 150 ore  e dei consigli di fabbrica, c'è di tutto, il sacro e il profano, il serioso e il militantismo, la generosità e la confusione ma anche tutti i capisaldi delle ricerche storiche e politiche che stanno maturando nella nuova generazione sessantottina e post  Si può perfino ricostruire passo passo il passaggio da un certo estremismo di inizio anni settanta ai nuovi apporti e contributi di militanti pci dell¹ultima generazione, chi volesse capire la storia culturale e politica della nuova sinistra non ha che da sfogliare le sue pagine.
Proprio per questo "Classe" è stata forse e al tempo stesso troppo amata da una generazione e troppo ingiustamente dimenticata oggi. L'esatto contrario di "Socialismo storia", che allora qualcuno guardò con freddezza mentre oggi risulta del tutto chiaramente la sua funzione anticipatrice, il suo nesso col  grande tema del socialismo "europeo", quindici anni prima che diventasse aria fritta  ulivista.
Chi si avventurerà troverà le sue sorprese. Ma se queste tre riviste sembrano corrispondere a tre stagioni diverse della  vita politica di Merli, quella  morandiana, quella operaista-psiuppina e di nuova sinistra, quella riformista, il collegamento fra le tre stagioni lo ritroviamo nelle riviste non sue cui Merli collabora:  non va dimenticata in primo luogo la celeberrima "Quaderni Piacentini", tenendo conto del fatto che Merli era appunto piacentino e che però il suo rapporto di collaborazione con la redazione della rivista fu saltuario. Perché? Interessante ricostruire un percorso di amicizie e inimicizie, collaborazioni e riserve mentali: storie del "settarismo di sinistra" di quegli anni? Forse, anche. Rimane il fatto che su questa rivista esce ad esempio una lectio magistralis, ovvero la bellissima ricerca su Curiel, che strappa le facili appartenenze e ci riconsegna un Curiel in via di trasformazione, una di quelle figure ­ altro caso analogo è quello di Colorni - in cui il giochino dei se  ritorna lecito e bruciante: se intellettuali-politici come Curiel e Colorni non fossero stati uccisi e si fossero ritrovati nel dopoguerra con una sinistra togliattiana e nenniana , cosa avrebbero detto e fatto? Certo, domande inutili. Ma aiutano a far capire a cosa e dove lavorava Merli: come aiutano a capire i suoi  scritti ­ fondamentali ancora oggi - su "Giovane Critica" di Giampiero Mughini ( fra cui un  durissimo e lucidissimo studio sul gramscismo come centrismo politico sui generis, che non è solo  il  ricordo nel bene o nel male della "lezione" dell'amico-avversario Cortesi, allora accusato di bordighismo, ma  un tentativo di modellare la cultura del socialismo di sinistra psiuppino su moduli neo-movimentisti. Ricordo ancora come Pino Ferraris ebbe a riappropriarsene ai tempi del rapporto unitario-conflittuale fra Pdup e Manifesto e come invece Stefano se ne dolesse, considerando a sua volta il suo testo come "datato" e non riproponibile. O gli scritti su Morandi per "Unità Proletaria",  i documentini  e le rivistine locali a Piacenza. Fino agli scritti  su "Fabbrica aperta" di Sivano Miniati  per il suo riavvicinamento al Psi, o a quelli ultimi su "Mondo Operaio".

6. Merli e la nuova sinistra

Non posso che rimandare al pur breve scritto uscito per questo libro in memoria di Merli, dato che il rapporto fra Merli e la nuova sinistra è stato anche in parte  la storia del rapporto fra due ex socialisti che dopo il 68 si ritrovano con la nuova sinistra e ne fanno parte felicemente ( chi scrive ha iniziato la sua attività politica nel 1960 coi socialisti a Palermo, poi col Psiup nel 1964 ). Sono tali e tanti gli articoli, le recensioni, gli interventi di Merli in quegli anni  sul ³Manifesto² da un lato e sul ³Quotidiano dei lavoratori² dall¹altro da meritare l¹ipotesi di un volume specifico. Vi ritroviamo il Merli organizzatore culturale e storico, che si  occupa di taylorismo, di "altro movimento operaio" ( K.H. Roth, chi era costui? Eppure un suo libro importante furoreggiò in quegli anni), ma anche  di Morandi e di Curiel, di Gramsci, del ¹77 e di Bologna.  Il  libretto-chiave rimane però quello sul"l¹altra storia "con Feltrinelli, il suo passare da Bosio a Montaldi ai giorni nostri dando ragione all¹uno e all¹altro  e a nessuno, in un tentativo di nuova sintesi-superamento (era il 1977, non va dimenticato), un libretto che ebbe anche successo e fece discutere ( in primo  luogo gli allievi ortodossi di Bosio e di Montaldi, incerti se essere contenti della riscoperta del maestro o se non accettare l¹interpretazione merliana perché appunto non-ortodossa ). Confonde le piste, rimescola i piani, certo rimarrà sempre  difficile per  chi ha le sue fedeltà e le sue medaglie  conciliare un Bosio prima internazionale  pre-lenin  con un Montaldi comunista di sinistra internazionalista , ma l¹operazione- che pure è, come si suole dire, ³datata²- ha un suo spessore e una sua intelligenza critica acutissima: Merli ancora non lo sa e non lo dice, ci vorrà  il suo approccio negli anni ottanta a figure diverse, a Silone , al socialismo dei fuorusciti in Svizzera, a Faravelli , a Gorni, a Caffi e alle tesi di Tolosa, ma sta parlando di socialismo  LIBERTARIO,  un metodo, un approccio, non una corrente ( che non è esistita, solo a tratti e  solo a spezzoni) e lo riporta a rivisitare le origini, a scoprire l¹intreccio di culture nel riformismo socialist a e le sue radici immancabilmente libertarie. Vero, tutta questa è anche un Œinsalata mista: se tutto rientra o può rientrare nel socialismo libertario questo  è un po¹ come l¹isola che non c¹è di Peter Pan. Ma  in fin dei conti  chi parlava di ri-classificare le culture politiche,( termine poi perfino abusato negli anni psiuppini)  se non Morandi, che tanti continuano a vedere come lo stalinista di ferro del Psi nenniano. E  chi  scrisse che lo STATALISMO  della Seconda e della Terza Internazionale  ha spezzato le reni del movimento operaio e che il socialismo o sarà libertario o non sarà? Ancora una volta Morandi.( con una  scoperta posteriore da parte di Merli stesso: vale a dire che queste posizioni di Morandi erano influenzate e tenevano conto del dibattito ³svizzero¹², delle posizioni appunto di Faravelli e di Caffi che erano andati dicendo le stesse cose). Intendo dire con ciò ( e mi sembra che in parte Fabrizio Billi  abbia colto questi passaggi come   aspetti singolari della teoria merliana del ³filo rosso²)  che l¹incontro-salutare,nonostante tutto- di Merli con la nuova sinistra produce a sua volta in quegli anni un passaggio interessante: il Merli psiuppino=pduppino che prende contatti col Manifesto e  pensa a un¹organizzazione di nuova sinistra non ha problemi  nel definire il suo approccio come neo-leninismo, anche se non si dichiara  mai ³ comunista², il Merli che con Foa e Miniati si avvicina ad Avanguardia Operaia e segue il percorso che sfocia in Democrazia Proletaria  è già oltre, è per la nuova sintesi e la nuova ³riclassificazione², è ³ più a sinistra² non perché gli piacciano i marxisti leninisti ma perché non si fida più del suoi compagni ex-psiuppini  e cerca di contribuire al nuovo dibattito. Il  Merli che di nuovo riclassifica  ha vissuto intanto gli anni di piombo, ha rimeditato sul nesso  terrorismo- comunismo, ha preso atto che  il movimento del 77  non sa fare i conti con chi alza le tre dita, ha seguito il caso Moro e le posizioni di Craxi.  Sono anni convulsi, difficile  misurare le posizioni del Merli 77 con quello della metà degli anni ottanta, ma l¹acqua che è passata sotto i ponti  è passata per tutti. Il  ³ socialismo libertario²  di cui adesso si occupa è un modo per coniugare insieme  la lezione critica della nuova sinistra e della sua ricerca mancata di un Œaltra linea  con la lezione critica di  altri libertari e altri socialisti  nell¹interrogarsi di fondo sul blocco della cultura comunista. Se  infine  egli stesso  sviluppa la tesi dell¹influenza di fondo del PROUDHONISMO nel socialismo italiano in TUTTA  la sua storia  è  ragionevole che un anarchico  gli risponda: ma quando mai? Ma dove sono  i proudhoniani?  Non è esistita una corrente proudhoniana nel socialismo italiano. Ma  chi risponde così crede davvero che le cose siano andate  come dicono i congressi , da un lato Turati e dall¹altro gli anarchici, tutt¹al più in seguito c¹è stato  Francesco Saverio Merlino  che ha provato a  rivisitare la questione, basta così. Eppure  il ³proudhonismo² cui accenna Merli  non è una sua mattana, è il riconoscimento di partenza dell¹originalità storica della cultura socialista italiana e  dell¹opportunità di sapervi leggere una riscoperta del primato del sociale sul politico, una critica del  politicismo, uno spessore libertario  che si mescola col classismo e con lo stesso riformismo ³emiliano², un tratto identitario di fondo che  non si spiegherebbe diversamente. E quando accenna al fatto che ANCHE Panzieri   aveva dei tratti di proudhonismo è inevitabile l¹apriti cielo: un panzieriano ( ma chi? Esistono i panzieriani o le ultime posizioni di un Toni  Negri  dimostrano che in fondo  gli ³operaisti² hanno tirato per la giacca Panzieri ma , in fin dei conti , meglio occuparsi delle teorie disciplinari dei foucaltiani ) negherebbe scandalizzato, ma anche un anarchico negherebbe. Conoscendo la serietà e il rigore documentativo di Merli  non ha senso pensare che egli abbia voluto fare solo una battuta provocatoria, la verità è un Œaltra: per tutta la vita, fin dai tempi della Feltrinelli, Merli si  è occupato di storia del socialismo, ne ha studiato i percorsi e le crisi, ne ha riconosciuto  l¹originalità  e il miscuglio culturale di fondo, adesso che la sua  maturazione politica  veniva convogliandosi  sull¹analisi delle peculiarità specifiche del riformismo  si stava impegnando a rivisitare tutto. La morte lo ha colto prima che questa impresa producesse nuovi sbocchi. E infine la dissoluzione successiva dello stesso partito socialista dopo ³ Mani pulite²    aveva spazzato via  il soggetto stesso, spingendo Merli a isolarsi o a diffidare dell¹intera sinistra. Ma tutto ciò non significa affatto che  i problemi storiografici  da egli posti siano stati affrontati. Per una sorta di cattiva coscienza , direi, che spinge a tacere tanti, al punto che  nessuno ad esempio  osa porre la domanda più elementare: ma cosa c'entra un SOCIALISTA ( SUI GENERIS, certo, non etichettabile tout-court) come Fausto Bertinotti  con un partito che si chiama rifondazione COMUNISTA?.

7.  I tre piani della ricerca e del metodo in Merli

Che sia giusto sottolineare contraddizioni e problemi  nell¹interpretazione di un possibile "caso Merli"  è  necessario e opportuno. Per ciò che mi riguarda ho ricordato però all¹inizio che occorre individuare i tre livelli distinti (la metodologia della "storia della classe", la lezione integrale di una "storia del socialismo" come tratto peculiare della cultura politica della sinistra italiana, la ricerca di un "filo rosso" dell¹alternativa politica da individuare nel nesso  fra  strumenti organizzativi  e modelli politici)  del lavoro di Merli e il loro connettersi
Punto di congiunzione  fra questi tre piani è  la concezione (morandiana, ma poi anche panzieriana) del partito-strumento , ovvero la tesi secondo cui il soggetto dell¹azione politica  è "la classe" (detto in questo termini sembra la classica "ipostatizzazione", la scelta ideale di un soggetto astrattamente eguale a se stesso, ma  in realtà  sia Morandi, che Panzieri che Merli  rifuggono da questa lettura, che è invece il caposaldo  del cosiddetto  "operaismo" di Tronti/Negri etc.),  di cui si riconosce  materialisticamente (richiamo di Panzieri a Della Volpe)  la soggettività multipla, il suo strutturarsi-destrutturarsi come un continuum, un farsi.
In questo senso il partito è "lo strumento"  che il soggetto-classe  si da per organizzarsi, non è dunque  né pura e semplice  sovrastruttura  che passa e va né ­ come nella tradizione comunista tutta intera-  la coscienza esterna che diviene organica, la linea che possiede per  origine divina  l¹egemonia, che è sempre l¹esplicazione della verità  e non può essere messa in discussione nemmeno dalla "classe".
Si badi che la questione dello strumento, posta nei suoi termini materialistici o sociologici, non è più questione di principio: il nodo classe-partito è dato dalle ARTICOLAZIONI UNITARIE che il soggetto  si dà (con fusione di organizzazione e cultura). In questo senso  per Merli non esisterebbe mai  una "autonomia operaia" pura, tutta "fuori" dai partiti e dalle organizzazioni  operaie o tutta alternativa ad esse;  in questo senso ­ per fare l'esempio caro a Merli stesso - una rete organizzativa e politica come i consigli di fabbrica e anche i consigli di zona  sono il risultato di questo intreccio fra autonomia del soggetto e organizzazione POLITICA degli strumenti . In questo senso va anche il piano di ricerca storica: occuparsi di storia del movimento operaio significa per Merli  contemporaneamente occuparsi di storia materiale e di storia politica, di conflitto sociale e di  modelli culturali operanti nel movimento: storia della soggettività sociale e storia del "socialismo" come movimento politico   sono distinte e unite, ed è qui che "il filo rosso" diviene materialmente  la cartina di tornasole:  non si tratta di occuparsi di chi era "più a sinistra" del Pci etc. per dimostrare che aveva ragione, questa è ancora la storia ideologica delle elites e delle minoranze, la rissa degli orrodossi e degli eterodossi. Quel che preme a Merli rilevare  è la materialità organizzata della  politica alternativa unitaria, il fatto che essa è presente dentro il movimento e anche se non vince la lievitare e sedimentare, sposta le cose, ricompone a livello più avanzato le pratiche di lotta.
Io credo insomma che mettendo in collegamento questo triplice filtro con i vari momenti della ricerca e della biografia politica dell¹intellettuale militante Stefano Merli si faccia in primo luogo un atto dovuto nei suoi confronti, evitando di tirarlo per la giacca, di prendere ciò che piace e metter via ciò che non piace. Ed è questa quasi una pre-condizione perché si possa a dieci anni dalla morte  rivisitare l'opera tutta intera alla stregua di un maestro che  ha ancora cose da dire a una sinistra vecchia e nuova che  continua a fingere di avere delle cose da dire.

Attilio Mangano