"L'utopia permanente. Un vecchio anarchico spagnolo ricorda la rivoluzione del '36", Rivista anarchica, aprile 2004

a cura di Arianna Fiore
 
Abel Paz (nome di battaglia di Diego Camacho) è un militante anarchico molto noto anche fra i compagni in Italia. A quindici anni prese parte alla rivoluzione spagnola del 1936, trovandosi in un teatro così intenso come la città di Barcellona dove si trovò quasi per gioco a difendere la città dal sollevamento dei franchisti. Dopo questa esperienza fondamentale, che lo ha condizionato per tutta la vita, andò in esilio e a causa della sua resistenza antifranchista dovette conoscere le carceri della dittatura spagnola. Si dedica attivamente alla diffusione delle conoscenze sulla rivoluzione spagnola attraverso la stesura di numerosi saggi, che hanno conosciuto traduzione anche in italiano. Tra i suoi libri più importanti ricordiamo la biografia Durruti e la Rivoluzione spagnola a cura della Biblioteca Franco Serantini di Pisa, della Zero in Condotta di Milano e della Fiaccola di Ragusa, che si spinge molto più in la della semplice storia di vita di un uomo per arrivare a fare un’ampia ed approfondita panoramica sulla storia dell’anarchismo e della Rivoluzione in Spagna.
 

 Le donne e l’anarchismo

Vorrei iniziare questa conferenza ringraziandovi per la vostra presenza, e soprattutto le donne, che sono molto più numerose degli uomini.
Non so come mai, ma alle donne interessa l’anarchismo molto più che agli uomini e questo è molto importante perché alla fine dei conti la donna è il motore della storia.
Fino ad oggi la donna non ha contato molto nella storia, si è arrivati perfino a credere che non avesse l’anima. Nel Concilio di Trento, che avvenne nel mille cinquecento e qualcosa, non ricordo più l’anno esatto, alcuni dei cardinali che si trovavano in quel Concilio dissero: «Ma come! Com’è possibile? Stiamo discutendo dell’anima degli animali e ci dimentichiamo che esistono le donne!» E allora uno di quei cardinali che si trovava lì disse: «Sì, sì, io ho una governante che è formidabile! Ma allora che facciamo, diamo anche alle donne il titolo di essere umano?» «Sì, ma dobbiamo porre una condizione: non si devono sentire libere. Per questo dobbiamo fare in modo che il matrimonio debba essere quello che finora non è stato, durante il Medio Evo. Durante il Medio Evo infatti l’atto sessuale era un atto di solo piacere, e questo piacere dal Concilio di Trento in avanti non si deve neppure nominare. Bisogna stabilire una dipendenza tra l’uomo e la donna, e che la donna accetti il principio secondo cui lei non è altro che una macchina per la riproduzione di esseri umani e l’uomo è il padrone di questa macchina, ma sempre con la condizione che l’uomo capisca che non deve trasformare la relazione tra l’uomo e la sua donna come un atto di piacere, vale piuttosto il contrario».
«Ma non possiamo neanche dire che l’uomo deve smettere di provare piacere, concetto chiamato dalla religione cattolica lussuria». E allora l’altro cardinale disse: «E allora, come facciamo a risolvere questo problema?». E questo disse: «Beh, potremmo far nascere delle case con prostitute, meretrici», ma a questo punto un altro cardinale disse: «Ma le meretrici saranno solo le produttrici del piacere dell’uomo! E la Chiesa che beneficio ne può trarre da tutto questo?»
«Le tasse, è chiaro. Che ogni prostituta paghi le tasse sul proprio lavoro».
Io sono convinto che la situazione della donna, nonostante quanto si possa dire, continui ad essere la stessa. Il cambiamento dipende da voi stesse perché non è permettendo alle donne di andare a lavorare in fabbrica che le si concede la libertà. Questa è una menzogna, si tratta piuttosto di una doppia forma di schiavitù, quella della fabbrica, più quella della casa, più le sfuriate del marito che arriva tardi a casa, che tira due urli e lei è sempre pronta a chiedergli scusa.
Ora mi hanno detto che nel campo della pubblicità qui in Italia si sta arrivando al massimo della perversione, che nelle vetrine mettono delle donne, ma delle donne vere, mentre si stanno provando dei reggiseni. lo non capisco come facciano le donne a non rompere quelle vetrine, e a bruciare quei centri di perversione. Non so se tutto questo è vero, ma che cavolo state facendo, donne! Dovete romperle quelle vetrine, e non aspettate le manifestazioni per farlo!

 Il Dario Fo dell’anarchia

Non so se tutto questo può valere come un’introduzione, ma quello che volevo dire è che molte volte senza rendermene conto inizio a parlare a ruota libera e poi parlo di tutt’altro rispetto a ciò che mi ero preposto. Volevo chiedervi se avete capito il contenuto del video. L’ho fatto interrompere apposta, perché non sapevo se lo stavate capendo completamente (1), se vi stancava, anche se in realtà non mi sembrava. lo credo che tutto quello che avete visto è il reale dramma della rivoluzione spagnola, si vede soprattutto nella prima intervista che viene fatta a Durruti, nelle cui risposte si trovano tutti i problemi della rivoluzione spagnola. Spero che più o meno lo abbiate capito. Vi voglio dire una cosa: se di tutto questo ne avete capito il trenta per cento è già tanto, e se le immagini apportano un altro dieci per cento, arriviamo al quaranta che è già una percentuale importante.
Partendo da queste premesse e sperando di stancarmi e stancarvi il meno possibile e di non dover ripetere quello che ha già detto il video mi sembra quasi che potremmo iniziare, se vi sembrano sufficienti le conoscenze che avete sulla rivoluzione spagnola, o quello che avete visto.
Possiamo allora passare ad una seconda fase, chissà forse la più produttiva e cercherò di essere il più esplicito possibile. Vorrei che mi diceste i dubbi o le domande che volete risolvere e chiarire così potremmo vedere l’interesse di ognuno di voi sull’argomento, mi potete fare delle domande, non importa se vi sembrano sciocche, se posso vi rispondo, solo se posso, perché non sono mica Dio! A proposito, sto cercando di affittare un vestito da prete per usarlo nelle conferenze, che ve ne pare? Se lo facessi i carabinieri pensate che direbbero qualcosa? Non sarebbe bello fare un po’ di cagnara, vedere un processo giudiziario ad un anarchico che si maschera da prete per fare una predica sovversiva tra persone che non vogliono la sovversione, gente tranquilla di questo mondo, nelle proprie casette, con le loro macchine, e che né vogliono fare la rivoluzione né tantomeno gli interessa... Perché se per caso commettessimo l’errore di fare la rivoluzione sarebbe veramente tragico, perché c’è gente che non vuole lavorare, e se facessimo la rivoluzione penserebbero che è finito il momento di lavorare. Ossia, ci sarà il grande miracolo, le patate e i pomodori cresceranno da soli. Per questo bisogna pensare, riflettere se stiamo bene in questo mondo e non dobbiamo preoccuparci più di cambiarlo, se ci piace questo stato di cose o se invece siamo ancora così pazzi da credere che invece sì è possibile cambiarlo, e ci chiediamo in cosa e come.
L’altro giorno mi ha detto un professore in una università dove ero andato a tenere una conferenza, (e a me le università non piacciono, qui è molto più bello, più piacevole) (2): «Non capisco, lei si è rivolto ora ai miei studenti e con lei li vedo ridere, con me non è mai successo». «Forse succede perché lei è una specie di rappresentante del Vaticano, che li sta sempre minacciando con l’inferno. lo sono una specie di Dario Fo dell’Anarchia che ride di tutto, e alla fine riesco a contagiare tutti con la mia risata».

 Le domande

Se c’è qualche compagno o compagna che vuole domandare qualcosa e prendiamo finalmente l’argomento sul serio. Là alla fine della stanza c’era una compagna che mi diceva che aveva vergogna a fare domande di fronte a tutta questa gente. Guarda bambina, facciamo così, mandiamo via tutti quanti e rimaniamo tu ed io e facciamo l’amore. A parte gli scherzi, pensa che non ci sia nessuno e domanda.

Dopo il 1937 quando avete dovuto stare a fianco dei comunisti sapendo che stavate lottando per qualcosa che in realtà non era più quello che volevate, che cosa avete provato dentro di voi?

Io volevo fare la stessa domanda della ragazza. Uno dei pochi aspetti che ho letto sulla guerra di Spagna è stata la rivoluzione anarchica e anche io sono stato sorpreso dal fatto che gli anarchici abbiano accettato di fare parte di un governo dove c’era anche un partito comunista borghese. Non capisco come è stato possibile che gente che rischiava la propria vita al fronte per un ideale di libertà abbia potuto cambiare tanto. Non riesco proprio a capirlo.

È normale che tu non lo capisca ed allo stesso tempo è normale che nemmeno io lo capisca. Ci sono altre domande? Per gli anarchici in generale c’è molta amarezza per come è finita la guerra civile spagnola e la rivoluzione perché si sa che alcuni militanti anarchici tra il 1936 e il 1939 parteciparono al governo come ministri (3). È che per rispondere a questo tipo di domanda bisognerebbe spiegare la storia di dieci anni prima. Ma andiamo avanti con ordine. Ci sono alcune domande che io pensavo si potessero riunire ma non è così. La prima questione è quella che mi proponeva la compagna, come ci siamo sentiti quando abbiamo dovuto lottare per qualcosa che già sapevamo non essere quello che in realtà volevamo. Poi, in un secondo tempo, quando i comunisti fecero chiudere le formazioni degli anarchici e noi andammo a lottare con loro e sapevamo che non andavamo a lottare per la rivoluzione ma per la controrivoluzione, i nostri sentimenti, quali sono stati. Perché abbiamo continuato? E sentendo cosa?
Guarda, compagna, io credo che della rivoluzione in generale ci sia un’idea molto falsa e allo stesso tempo molto idilliaca. La gente crede che la rivoluzione bisogna farla per vincerla.
Senza dubbio nella storia, con un po’ di conoscenze, si sa che la rivoluzione, quello che si intende per rivoluzione, non è altro che una serie di scazzottate in momenti determinati, in cui non puoi fare altro che affrontare di petto quella determinata situazione.

 L’esempio della rivoluzione francese

Questo fu quello che avvenne in Francia nel 1789, quando scoppiò la rivoluzione francese. La rivoluzione francese ebbe le sue proprie caratteristiche in condizioni storiche determinate.
Si può notare che in tutte le rivoluzioni che sono avvenute che c’è un primo periodo, che è il periodo di tripudio, di festa, che è quando si rompono le catene, e questo è un momento molto significativo. Ma quando si scatena questo movimento rivoluzionario, immediatamente si pone una questione: chi mette in moto questo movimento rivoluzionario? È la classe lavoratrice o quella contadina in un determinato momento, o bisogna invece considerare che all’interno di questa rivoluzione c’è anche l’influenza della classe che potremmo definire più o meno «illuminata»?
È in realtà questa la classe che si assume la responsabilità di come indirizzare questo determinato movimento. E in questo momento, se questa rivoluzione non ha saputo o non è riuscita a contagiare le altre classi o gli altri paesi, allora, tutto quello che hai ottenuto, (perché si ottiene tutto nei primi quindici giorni), non vale molto, è fine a se stesso. Se non riesci a contagiare il resto dei paesi circostanti, le classi o le partì «illuminate» di questa rivoluzione che si considerano la classe dirigente non rompono con la rivoluzione ma capiscono che bisogna difenderne le conquiste. C’è quindi un periodo di flusso che è quello che dà il primo impulso a questa rivoluzione e un periodo di riflusso che è il momento in cui questa rivoluzione cerca di conservare le conquiste ottenute.
E senza neanche volerlo, siccome si è già trasformata in una rivoluzione conservatrice, devono iniziare a ricostruire la società che si è appena cercato di abbattere e si ricostruirà, entra in funzione quello che potremmo chiamare la controrivoluzione, la lotta tra i rivoluzionari, quelli che non sono disposti a rinunciare e che all’interno del proprio concetto rivoluzionario vogliono portare questa rivoluzione più lontano, e quelli che allo stesso tempo inciampano nelle difficoltà, che credono che la rivoluzione si sia esaurita, e bisogna difendere allora quello che si è ottenuto.
Per questo, durante tutto il processo della rivoluzione francese, in cui potevamo considerare Robespierre come il rappresentante della dittatura di segno proletario è quello che finisce per essere una vittima di quello stesso movimento e lascia libero il campo (come in realtà è già) a Bonaparte che è quello che finirà per instaurare la vera dittatura, perché vuole espandere la rivoluzione francese a tutta l’Europa, ma in un modo ormai diverso,. come impero, è la Francia che vuole dominare l’Europa in nome dei principi della Rivoluzione Francese, che ormai però non ha più nulla di rivoluzionario.
Questo concetto che sto sviluppando può essere perfettamente applicato alla Rivoluzione Russa, e ne sono le caratteristiche dominanti. Alla fine infatti risultano trionfare i rivoluzioni, ma hanno successo solo per la classe dominante, ma è la classe operaia la vera perdente. In Russia furono i bolscevichi quelli che vinsero la Rivoluzione e i lavoratori russi quelli che la persero.
In pratica ci sono vittorie che sono sconfitte e sconfitte che sono vittorie, come ad esempio nella Comune di Parigi e la rivoluzione spagnola, che almeno non finiscono in una dittatura nelle mani dei gruppi che intervengono in prima persona nella difesa della rivoluzione.
Né il partito comunista, né il partito socialista nel caso spagnolo riuscirono a massacrare completamente gli anarchici, né gli anarchici ebbero la pretesa di eliminare i comunisti e i socialisti in vista di instaurare una fantomatica dittatura anarchica. Potremmo dire che le forze dominanti all’interno di quel processo rivoluzionario sono più o meno equilibrate e hanno creato una situazione in cui la Spagna non può essere più la Spagna di prima, perché i lavoratori hanno in mano le fabbriche, hanno i fucili e non sono disposti a rinunciare a tutto questo.
Lo Stato cerca di ricostruirsi, ma non può farlo, nonostante tutti gli sforzi che vengono fatti non ci si riesce più, perché queste forze sono ormai in una lotta costante e questo è visto dal punto di vista interiore della Spagna. Ma non c’è nessun conflitto rivoluzionario che può essere considerato come una cosa autonoma dal resto del processo internazionale, come nel caso del Cile. Se Allende avesse armato i lavoratori il destino del Cile non sarebbe stato quello che gli è toccato. Io non voglio dire che avrebbe trionfato la rivoluzione, ma forse quello che noi non siamo riusciti ad ottenere in Spagna...
(Parte della registrazione è andata persa. Ritengo che Abel Paz dopo aver parlato per poco della condizione del Cile, abbia iniziato a spiegare il sollevamento dei militari nel luglio del ’36 a Barcellona)

 La rivoluzione spagnola

Quando nel luglio del 1936 iniziò il sollevamento, a Barcellona ci comportammo in un modo molto determinato. Lasciavamo avanzare i ribelli, e quando erano già avanzati abbastanza e dietro di loro c’erano i lavoratori, si tiravano su le barricate e con le quattro armi che avevamo li provocavamo. Tra di loro c’erano i militari, che non potevano né avanzare né retrocedere. Quando finivano tutta la polvere da sparo che avevano, non potevano fare altro che arrendersi e inoltre man mano che i soldati si rendevano conto che li stavano ingannando se ne andavano volontariamente.
Era un esercito di trenta o quaranta mila persone, (in realtà non si è mai riusciti a capire quanti fossero), che parti con i propri cannoni, con le mitragliatrici alle cinque di mattina, ed alle dieci aveva perso tutto, gli erano stati tolti i camion, con dentro le mitragliatrici. Alle due del pomeriggio, quell’esercito non può fare altro che arrendersi.
Io non conosco un altro caso come questo nella storia, un popolo che ferma un sollevamento fascista, gli aneddoti che posso raccontarvi sono moltissimi.
Quando il popolo catalano, il popolo di Barcellona, che erano tutti anarchici, e c’era di tutto fra di noi, i ladri, le prostitute, tutti avevano preso parte alla lotta, all’assalto delle caserme, i fucili passavano di mano in mano, e ne ho visto passare fra le nostre mani quaranta o cinquanta mila che non si potevano più controllare. Inoltre, quando hai preso parte ad una lotta di questo tipo e con un fucile in mano qualcuno ti chiede chi sei, tu gli spari, perché la situazione è calda, è troppo calda, non ti puoi più fidare. Il sollevamento militare iniziò il diciannove luglio, alle cinque di mattina.
Il sabato, io mi trovavo li, avevo quindici anni, ero un ragazzino, ma ero li, e non ero solo, eravamo in tantissimi. 115 anni di allora non sono quelli di oggi. 1 ragazzi di quindici anni ora sono stufi di mangiare cioccolato, e noi non sapevamo neppure cosa fosse il cioccolato, siamo diventati grandi prima di essere ragazzi, ci trovavamo dentro ad una lotta sociale come se fosse tutto un gioco, potremmo dire così, senza esagerare.
La gente si chiedeva: abbiamo fatto fronte all’esercito per difendere una Repubblica, ma anche con la Repubblica non stavamo bene, ma vivevamo meglio che sotto il fascismo, e per questo bisognava difendere la Repubblica.
Ma una volta che la gente ha le armi in mano, che ha la forza, e alle cinque di mattina non l’aveva, ma alle dieci o alle undici sì, allora lì, in quel momento, la Repubblica scompare, l’idea della Repubblica scompare.
Ci si dice che se è da sempre che si lotta per fare la rivoluzione ora che si hanno le armi in mano bisogna farla, e la facciamo. Le fabbriche vengono collettivizzate, l’impresa telefonica, che è della ITT americana, viene confiscata. Le compagnie ferroviarie che sono di proprietà francese, subiscono lo stesso destino. (...)
In Spagna il 45% dell’economia più importante era straniero, e noi che allora potevamo confiscare, dovevamo prendere fra le nostre mani le forze essenziali di ricchezza. Ma qui si trova il vero problema della rivoluzione spagnola, perché la nostra rivoluzione rimane in questo modo circoscritta ai soli confini spagnoli.
La situazione internazionale è quello che determina il destino della Spagna. C’è qualche matto trotzkista che parlava per parlare, chiedendosi perché gli anarchici che erano i padroni della situazione non ne abbiano approfittato per prendere il potere. Il motivo è facile, perché non ne avevamo voglia, perché non volevamo! Noi il diciannove ed il venti luglio potevamo prendere il potere, avevamo la forza per farlo. Ma se avessimo preso il potere, instaurando la nostra dittatura, saremmo stati davvero migliori dittatori degli altri?
Avremmo dovuto eliminare quei pochi comunisti che c’erano, ma questo non era un problema per l’anarchismo. Il problema è nella democrazia diretta, rispettare le minoranze, e rendere tollerante una società di maggioranze e minoranze, quindi si organizzarono organismi rivoluzionari secondo il potenziale delle assemblee, e le assemblee nominavano un comunista, nominavano un socialista, nominavano un anarchico, ma c’era alla base un programma pratico. Se quello di cui si aveva bisogno era fare scuole bisognava fare scuole, lì non c’era un programma del fronte popolare, c’erano necessità perentorie che bisognava risolvere e se questo voleva dire che tu ed una persona di un partito diverso dal tuo vi trovavate di fronte ad una situazione reale, le idee sparivano e rimanevano le necessità.
Questo è come noi intendevamo il problema e così è come lo abbiamo considerato fino al settembre del ’36, quindi nei tre mesi di luglio, agosto e settembre. Cosa c’era intanto attorno alla Spagna?
C’era la Francia, la Francia che temeva la Germania, la Germania, l’Italia, il Portogallo e un po’ più in là, la Russia. Poi, a nord, nel mare, l’Inghilterra. Gli interessi del capitalismo francese, della borghesia francese, come quelli della borghesia inglese, stavano intanto facendo pressioni sui propri governi. Quando viene posto il problema della Repubblica si propone una questione fra gli anarchici: se facciamo sparire il governo repubblicano, il governo che ha intanto costituito Franco, diventerà di fronte alla Società delle Nazioni, tanto illegittimo quanto questo nuovo governo che noi dovremmo costituire, mentre il governo repubblicano è un organo legale ed è legittimamente rappresentato alla Società delle Nazioni. Per questo si decide di appoggiare ufficialmente quel governo, per questo lo si sostiene.

 Organismi popolari

Ma ci sono una serie di organismi rivoluzionari all’interno del paese in cui sono scomparsi i municipi, sono scomparse le deputazioni, sono scomparsi una serie di organismi ufficiali che sono stati sostituiti da organismi popolari, e l’unica cosa che rimane alla vista dell’opinione internazionale è il governo come istituzione.
Molti si chiedono perché non abbiamo eliminato il governo. La risposta è proprio in quello che vi sto ora spiegando, perché se avessimo fatto scomparire il governo repubblicano il poco carattere legale che ci rimaneva lo avremmo cancellato. Il governo repubblicano il diciannove luglio aveva già posto il problema della vendita delle armi da parte della Francia alla Repubblica spagnola, commercio legittimo tra i due governi.
Ma il governo francese inizia a subire le forti pressioni della borghesia francese che lo porta a rifiutare di vendere queste armi con la scusa della presenza dei comunisti in Spagna. Stavano speculando con il comunismo quando non c’era in realtà nessun pericolo comunista, ma nelle condizioni del ’36 la rivoluzione russa era ancora molto vicina, e isolata. La paura della borghesia inglese e francese era che in qualunque momento si potesse verificare in qualsiasi paese qualcosa di simile a quello che avevano fatto i comunisti in Russia, e la vicinanza della Spagna costituiva quindi per loro un rischio molto concreto.
Gli anarchici sono un qualcosa difficile da classificare, l’idea che la borghesia ha degli anarchici è che sono quattro matti, che non fanno altro che rapine. Non viene attribuita al movimento anarchico una forza organizzativa perché ignorano perfino quello che è la Spagna, sono talmente ignoranti da non sapere che in Spagna non c’è il comunismo, c’è l’anarchismo.
Sotto le pressioni di Leon Blum, che è un socialista, socialdemocratico, che in quel momento dirige il Fronte Popolare, il capo di quel governo, si decide che si vuole aiutare la Repubblica. Io voglio credere che fosse sincero nel volerlo, ma la borghesia francese gli risponde che se appoggia quella repubblica comunista avrebbe aperto le porte a Hitler, perché preferivano Hitler a Stalin, l’idea dello stalinismo era un’altra cosa, la borghesia vedeva Stalin con un coltello fra i denti.
Per salvare la situazione si creò quello che venne chiamato il Comitato del Non Intervento, nasce in Francia, tra il governo francese e quello inglese. Il loro proposito era quello di dover convincere ad entrare nel Patto anche i capi della Germania e dell’Italia, Hitler e Mussolini. Ma Mussolini già dal 19 luglio stava mandando aerei, stava attivamente intervenendo, e Hitler anche stava appoggiando Franco. I francesi e gli inglesi, a questo punto, per paura che scoppiasse una guerra europea, (e il timore era reale, una guerra europea avrebbe potuto verificarsi), cercano di muoversi in un modo che avrebbe potuto tutelarli. Gli inglesi cercano di fare un accordo con Mussolini, perché non bisogna dimenticare che nel novembre del `35 Mussolini aveva invaso l’Abissinia, e gli inglesi avevano fatto finta di niente. Mussolini stava prendendo forza, in quel momento era quello che dominava il Mediterraneo.
Nel Mediterraneo in quei momenti era la rotta inglese del petrolio che passava attraverso il canale di Suez fino a Gibilterra ma che prima doveva passare per Maiorca, per le Baleari, cosa che le era già stata concessa da Franco.
Le Baleari in un certo modo annullavano l’isola di Malta e Alessandria, basi inglesi.
In quel momento il padrone del Mediterraneo era Mussolini, ma dall’altro lato ci sono le isole Canarie. Vi sto parlando di tematiche internazionali perché la Spagna è una questione globale e questo ci può far capire l’isolamento che abbiamo sofferto. In queste condizioni Hitler e Mussolini si impegnano ad intervenire, a prendere formalmente parte al Comitato del Non Intervento, e alla fine anche Stalin accetta di farne parte.
L’accordo che venne preso consisteva nel cercare di isolare il conflitto spagnolo perché non avesse nessuna ripercussione europea e che tutto venisse circoscritto agli spagnoli, anche se il prezzo sarebbe stato sgozzarci l’uno con l’altro. Eppure Mussolini continuava a mandare uomini ed armamenti, Hitler continuava a mandare aerei e tecnici, e se noi chiedevamo ai francesi di poter comprare delle armi loro non ce le davano, e gli inglesi facevano la stessa cosa, tutelati dal Patto del Non Intervento. Però gli inglesi stavano intanto mandando il petrolio a Franco. Noi spagnoli abbiamo commesso un grave errore: volevamo una rivoluzione libertaria e questo è terribile.
Durruti lo dice nell’intervista che abbiamo appena visto: Chi può aiutare una rivoluzione libertaria? Solo il proletariato. E ora vediamo in quali situazione si trovava il proletariato.
Tutto questo succedeva nell’agosto del ’36. Avevamo fatto molti sforzi per mandare i migliori militanti in Francia, i migliori oratori affinché venisse illustrato ai lavoratori francesi e a quelli inglesi il progetto della rivoluzione; ma ormai la maggior parte di loro era d’accordo che non si poteva più aiutare la Spagna perché altrimenti si sarebbe verificato un conflitto internazionale.
E quindi il conflitto spagnolo lo dovevano risolvere gli spagnoli fra di loro, ma noi lo risolvemmo difendendoci come ci difendevamo, con le armi in mano, ed anche senza armi, mentre gli altri si stavano tutti armando fin a denti. Ci trovavamo fra l’incudine e il martello. E così arrivammo al mese di settembre.
Quasi tutti gli storici stanno cercando di ingannarci con quello che scrivono, perché di tutto quello che sto raccontando non ne parlano, non parlano di quello che successe durante i primi sei mesi della nostra guerra. Parlano del dopo, per questo i professori universitari sono contenti che gente come me, con la lucidità per difendere la nostra causa ancora sessant’anni dopo, ne rimanga poca.
Fino a settembre Stalin non intervenne. Aveva paura di Hitler e gli interessava di più venire a un’intesa con Hitler che a difendere la Repubblica, perché lui sapeva che in Spagna il partito Comunista non aveva nessuna forza, ma in settembre avvenne un evento di rilevante importanza.
Le collettività operaie, le milizie operaie, i sindacati, tutta quella situazione rivoluzionaria convulsiva internazionale aveva assunto delle dimensioni ormai imponenti. Inoltre i disperati della storia, quegli operai tedeschi sconfitti, traditi dalla socialdemocrazia, o gli italiani esiliati che si trovano nelle stesse condizioni, che non hanno rinunciato alle loro idee socialiste o anarchiche, tutta questa gente divisa in diversi paesi all’interno dei partiti comunisti dell’area borghese iniziarono a protestare. Si chiedevano come poteva essere possibile che la patria del proletariato stesse letteralmente abbandonando una rivoluzione come quella spagnola. Non riuscivano a crederci. Stalin si vide allora obbligato a inventare una maniera per eliminare tutte queste proteste: le Brigate Internazionali, composte da tutti questi sinceri rivoluzionari furono una risposta alle proteste internazionali. Molti di loro si sacrificheranno per la Spagna, e andarono incoscienti a morire per Togliatti e per altri comunisti come Vidali, che si erano incaricati in realtà di eliminare la parte più sovversiva di questi proletari.
Inoltre rimane da risolvere il grande problema delle armi, e Stalin arrivò ad una decisione verso la fine del mese di settembre. Pensò che avrebbe potuto essere un buon affare riuscire a mandare alla Repubblica tutte le armi che non valevano più a nulla, ma facendogliele pagare in anticipo.
Si stabilì quindi un accordo tra il governo repubblicano e la Russia secondo cui i russi si impegnavano a mandare carri armati, aerei, a condizione che il governo repubblicano avesse loro anticipato il costo di tutto questo materiale. Il costo era più della metà del tesoro in oro, 5.400 tonnellate di oro, che partirono il 25 di ottobre del 1936 e che arrivarono indisturbate ad Odessa.
Ma pensate ad una cosa: queste barche partirono da Cartagena, dovevano risalire tutto il Mediterraneo, passare di fronte alle isole Baleari, passare davanti all’Italia per entrare nel Bosforo ed arrivare ad Odessa e nessuna di quelle barche italiane che i servizi segreti italiani avevano, nessuna di queste barche intervenne per fermarli.
Quindi è più che esplicita la complicità, il gioco fra la Russia, Hitler, Mussolini ed il resto, e noi, popolo spagnolo, eravamo solamente delle vittime all’interno di questo gioco.
Quando arrivò il tesoro ad Odessa la Russia iniziò a mandare le armi, che per noi erano necessarie, importanti soprattutto perché in quel momento Madrid era circondata dai fascisti, ma stava iniziando la grande campagna del partito comunista. Nelle conferenze dicevano: «Vedete, gli anarchici vi stanno promettendo l’utopia, la collettivizzazione delle fabbriche, della terra, ma le armi siamo noi, è grazie alle armi della Russia che noi tutti possiamo difenderci!» «L’importante è vincere la guerra e lasciare la rivoluzione da parte!», e quindi come conseguenza di questo, la gente iniziava a riflettere in una determinata maniera pensava che questo poteva essere vero, ed inoltre il bisogno delle armi era davvero molto forte. In quel momento non venne mai detto che il governo repubblicano aveva pagato le armi con l’oro, questo venne presentato come un atto di generosità della grande Russia che ci aveva regalato le armi per difenderci.

 Il partito dell’ordine

In quel momento tutte le persone che non avevano ancora assunto una posizione ben precisa, siccome in Spagna il Partito Comunista si presentava come il partito dell’ordine, iniziarono a pensare che le collettività erano state un errore economico, che la proprietà doveva continuare a restare nelle mani degli antichi proprietari. Pensavano che non volevano la rivoluzione, che quello che volevano era in realtà l’ordine repubblicano, in quanto stavano difendendo la Repubblica, e la Russia era con loro.
I proprietari a cui era stata tolta la terra diventarono subito, evidentemente, comunisti, e anche quelli a cui erano state tolte le fabbriche, perché per il partito dell’ordine i rivoluzionari sembravano degli squilibrati senza controllo. Sembrava volessero dimenticare in quel momento che gli anarchici erano stati quelli che avevano messo in piedi una Spagna unita e che i miliziani che erano partiti nel luglio per l’Aragona, per far fronte ai franchisti, ora venivano chiamati banditi, si diceva che avevano tolto la terra ai contadini, che non avevano fatto la guerra, che non avevano fatto assolutamente nulla.
Si creò pertanto una situazione kafkiana, i comunisti si stavano mettendo nell’esercito da ogni parte, noi anarchici volevamo mantenere le nostre milizie, ma le milizie non ricevevano nessuna arma, tutte le armi erano destinate agli elementi del partito comunista.
II dilemma che nasce fra gli anarchici è scegliere tra un colpo di forza che avrebbe fatto finire la guerra (chissà, forse sarebbe stato meglio) e Franco, vittorioso sarebbe andato subito al potere o cercare politicamente di neutralizzare tutto questo. Questa fu la linea che venne approvata nel novembre dei 1936.
Per questo la CNT ebbe 4 ministri, solo per questo motivo, non perché noi rinunciammo all’anarchismo, ma perché fu la situazione politica ad imporlo.
Io in quell’epoca avevo quindici anni, ero contrario a questa scelta e mi chiedevo come poteva essere possibile avere dei ministri anarchici, lo consideravo un tradimento! Ma allora avevo quindici anni, ora ne ho 78, è diverso. Ora ho letto moltissime cose, e so molto di più di quello che sapevo allora, ho visto tutti gli errori che abbiamo commesso, e per essere sinceri siamo stati obbligati a commetterli perché sono state le circostanze a portarci in questa condizione.
Nonostante tutto, i comunisti non ci massacrarono come in Russia, non ci massacrarono come in Germania, o in Bulgaria o in qualsiasi paese in cui il partito comunista è andato al potere, perché dovunque questo si è verificato il primo pensiero che ha avuto è stato quello di massacrare gli anarchici e non i borghesi.
Ma noi in Spagna siamo riusciti ad essere forti di fronte agli uni e agli altri, e a mantenerci anarchici.
È evidente che Franco ha vinto la guerra. E alla fine dei conti fu normale che succedesse perché in quel momento la borghesia spagnola quelli che metteva in carcere e che fucilava erano gli anarchici. Franco invece fu più «imparziale». Disse che aveva intenzione di fare il fronte popolare della morte: socialisti, comunisti, anarchici, repubblicani, fucilati tutti insieme senza distinzione.
E in un certo modo penso che sia stato giusto così perché sarebbe stato tragico se avesse ammazzato solo gli anarchici, anche se ne ammazzò molti, perché bisogna ricordarlo, ma naturalmente caddero anche i comunisti, i socialisti, caddero tutti.
In linea generale è un processo molto difficile e importante in cui sessant’anni dopo bisogna riflettere molto e bisogna sapere quello che si chiede perché la riflessione ci può portare per lo meno e prepararci in modo che la prossima volta non si rischi di commettere gli stessi errori.
Bisogna sempre tenere presente quanto è accaduto nel 1936: il proletariato era drogato dalla socialdemocrazia e cloroformizzato dallo stalinismo, dall’altra parte era invece oppresso da Mussolini, e dall’altro ancora da Hitler. Quale proletariato poteva accorrere in nostro aiuto? Ma il capitalismo internazionale sì poteva venire a fotterci, e in effetti non perse l’occasione di farlo.
Se si tiene in considerazione che sulla rivoluzione spagnola sono stati scritti un sacco di libri più che sulla seconda guerra mondiale questo già dice molte cose. E per quale motivo? Ce n’è uno solo: perché almeno per una volta nella storia gli anarchici intervennero in un conflitto di carattere nazionale e internazionale, e misero in pratica le loro idee, e contro il vento e la tempesta dimostrarono che il collettivismo e la società senza classe possono esistere, e che non è più l’idea di quattro matti che non sanno dove andare, ma di militanti che hanno una capacità politica e creativa che si dimostra attraverso il loro intervento nella rivoluzione spagnola. E che non sono quattro comunità di tre matti, che stiamo parlando di tutta l’Aragona, con un milione di abitanti, con 450 comunità che si reggono con l’autonomismo ed il federalismo che viene poi portato a Valenza e in Catalogna e per più di un anno la gente non muore di fame, e tutto funziona bene, e ogni cosa migliora, e inoltre migliora l’insegnamento, la sanità, le relazioni umane.
Non è la società perfetta, perché la società perfetta non si realizzerà mai, perché dietro all’idea ci sono sempre altre idee e l’utopia è inaccessibile perché è eterna, è la rivoluzione permanente. Ma noi abbiamo contribuito a dimostrare che il capitalismo nonostante sembra si mantenga ben saldo con tutte le forze, che ha e che ha avuto, stava e sta in realtà sprofondando.
 

Note:
1. Il video era in lingua spagnola senza sottotitoli, per questo Abel Paz non era sicuro che il pubblico lo stesse capendo.
2. Abel Paz si sta riferendo alla biblioteca libertaria Francisco Ferrer, sita in piazza Embriaci a Genova.
3. Durante la guerra civile spagnola furono ben quattro gli anarchici che accettarono un ministero al governo. Nella Generalitat Catalana García Birlán venne nominato responsabile della Sanità e dell’Assistenza Sociale, Juan Fábregas passò ad occuparsi del Ministero dell’Economia. Federica Montseny fu ministro della Sanità nella Repubblica Spagnola fino al 1937, e García Oliver era il ministro della Giustizia.