Relazione di Marco Pezzi al congresso provinciale di Democrazia proletaria di Bologna (3 – 5 febbraio 1984, sala del quartiere Saffi, via dello Scalo 21, Bologna)
(trascrizione da registrazione su audio cassetta)

 

Fabio Alberti (tiene la presidenza del congresso)
Questo congresso ha importanza particolare per il nostro partito perché segue l'uscita da una fase che ci aveva visti sostanzialmente in difensiva, rivolti a garantire la sopravvivenza di una prospettiva di sinistra all'interno del nostro Paese. Il grosso risultato elettorale del giugno scorso ha premiato questa nostra caparbietà nel voler continuare a costruire l'opposizione all'interno del nostro Paese. Si apre ora, evidentemente, per una forza come Democrazia Proletaria, una fase nuova, una fase in cui non ci potremo più contentare di lavorare di piccolo cabotaggio, ma dovremo navigare in mare aperto, assumendoci dei compiti che sono per noi nuovi, di rifondazione di una cultura di antagonismo e di opposizione all'interno del nostro Paese. Abbiamo invitato al nostro congresso le forze di sinistra bolognesi, è presente il Partito di Unità Proletaria. Il Partito Comunista ha assicurato la sua presenza a partire da domani. E' presente un compagno della Federazione Giovanile Comunista. Non abbiamo ancora invece comunicazioni di presenze o meno da parte di altre organizzazioni politiche, sindacali e sociali della nostra città. Riassumo brevemente il calendario dei lavori del nostro congresso bolognese. Questa sera iniziamo con la relazione introduttiva che sarà svolta dal compagno Marco Pezzi, in apertura dei lavori domani alle 15, per permettere a chi lavora la mattina di andare a lavorare, inizierà il dibattito dopo aver definito le commissioni elettorale e politica per i successivi adempimenti. Al termine del congresso dovremo eleggere il direttivo bolognese ed eleggere i delegati per il Congresso nazionale che come dicevo prima si svolgerà da martedì a domenica della prossima settimana. Quindi direi che non c'è altro come introduzione. Dò la parola direttamente a Marco Pezzi.

Marco Pezzi
Prima di cominciare la relazione vera e propria dico due questioni che riguardano il taglio che la relazione ha. La prima questione è che era già stato da parecchio tempo deciso di fare una conferenza sulla città con caratteristiche congressuali cioè per definire la linea politica di DP su Bologna poi è stata rinviata molte volte. A questo punto è stata fissata per la fine di marzo dopo il congresso in modo da farne anche un momento politico importante nella città. Per questo la relazione non contiene molte cose a livello analitico su Bologna e sulla poltica istituzionale a Bologna, poi nel dibattito congressuale i compagni è evidente che potranno fare riferimento alla realtà di Bologna, anch'io la farò spesso, ed è evidente che poi possono discutere quello che vogliono e quindi anche la realtà di Bologna. La seconda considerazione è che sulle tesi congressuali di Democrazia Proletaria la valutazione che noi abbiamo dato è che appunto in qualche modo costituiscono una ratifica di quello che è il patrimonio culturale e politico espresso in questi anni da DP. Di conseguenza le cose che dirò nella relazione in parte terranno conto delle tesi ma in parte andranno anche oltre le tesi, dando per scontato in larga parte quello che in esse c’è scritto che come segreteria condividiamo in larga misura. Di conseguenza non stiamo a ripeterlo perché riteniamo in massima parte patrimonio abbastanza comune. La relazione verterà più sul tipo di situazione a carattere generale che stiamo vivendo e penso che il dibattito arricchirà la relazione con interventi anche magari su spezzoni di intervento e di realtà più specifiche. Questo congresso di Democrazia Proletaria si colloca, per quello che ci riguarda, in una fase in cui gli anni dell'emergenza di DP si sono conclusi. Noi siamo in una fase in cui abbiamo ottenuto un consistente successo elettorale. Abbiamo visto, in occasione di questa campagna congressuale, un aumento di iscrizioni abbastanza impetuoso, diciamo così. Questo è un po'dappertutto anche nel caso di Bologna, nel senso che molti compagni nuovi si sono iscritti a DP, arriveremo a un incremento massiccio per questo congresso del numero totale di compagni iscritti a DP. Si parla già sulla base delle prime stime che vengono fatte di un passaggio a livello nazionale dai 4700-4800 tesserati che eravamo nel 1984 ai 7500-7800 che dovremmo essere a questo congresso. Quindi rimaniamo sempre su cifre relative però c'è un incremento estremamente consistente e significativo. L'altro dato significativo è che in questo periodo sono state aperte o stanno per aprirsi molte nuove sezioni di DP e questo è un fenomeno generale in tutta Italia e che c'è anche nella nostra regione dove sono state aperte sezioni in nuove città dove non eravamo presenti. E’ un fenomeno che riguarda anche Bologna dove gruppi di compagni nuovi si sono avvicinati e iscritti a DP e stanno lavorando per aprire sezioni territoriali nell'estrema periferia della città o nei comuni della cintura. Penso a Casalecchio, penso a San Ruffillo e altri posti, quindi c'è un momento in cui DP sta facendo dei grossi passi in avanti sul piano organizzativo e sta sviluppandosi molto. Si dice addirittura, sui giornali in questi giorni c'erano delle grandi analisi sull'andamento delle iscrizioni ai partiti, che DP è forse l'unico partito, assieme ad alcuni partiti laici, che cresce in un momento in cui i grandi partiti di massa hanno dei tracolli a livello delle iscrizioni. Certamente siamo su una dimensione di cifre molto relativa però la cosa è estremamente incoraggiante e dimostra appunto che siamo usciti da una fase in cui per noi il problema era quello di sopravvivere e in qualche modo di mantenere ferma una presenza del partito e una posizione di sinistra rivoluzionaria in un momento invece in cui tutte le tendenze andavano nella direzione opposta. Ecco però questi primi approcci hanno due problemi cioè innanzitutto, come tutte le crescite, DP ha dei problemi cioè noi non possiamo più essere quello che eravamo prima. È necessario un salto di qualità quindi sia dal punto di vista della capacità di analisi ma anche delle responsabilità che obiettivamente abbiamo che sono maggiori di prima. Abbiamo bisogno di un grosso salto di qualità e questo sia sul terreno dell'analisi della politica sia sul piano dell'organizzazione. Il secondo aspetto appunto è che questa crescita, questo sviluppo avviene invece nel momento in cui il movimento operaio è ancora all'interno pienamente della sconfitta storica che ha subito in questi anni. Di qui appunto anche il titolo che noi abbiamo dato a questo congresso di Bologna in una situazione invece in cui tutte le tendenze vanno nella direzione di un ulteriore arretramento della classe operaia, delle condizioni di vita dei lavoratori e delle istituzioni diciamo del movimento operaio. C'è un ulteriore e continuo arretramento del Partito Comunista e dell'organizzazione sindacale sia sul piano organizzativo che su un piano della cultura politica quindi c'è un arretramento anche proprio nella propria capacità di in qualche modo essere egemoni nella società e di difendere gli interessi dei lavoratori. Partiamo quindi da questo dato, oggi che cos'è la politica cioè in che situazione viviamo. E’ evidente che sempre più la politica è un fatto spettacolare, sempre più esistono pesanti tendenze autoritarie all'interno del nostro Sistema, sempre più la politica è un insieme di figure appunto autoritarie, per le quali vale la democrazia, qualche sociologo tedesco ha definito questa la democrazia dei capi. C'è una situazione in cui per chi comanda all'interno delle formazioni politiche e sociali esiste una democrazia, esiste un dibattito politico però appunto solo per loro e questo moderno autoritarismo, che sempre più si incarna in figure carismatiche nelle quali la gente deve trovare un'identificazione, sempre di più spinge le larghe masse popolari a una non partecipazione, ad un atteggiamento assolutamente passivo nei confronti della politica. Si dice che è assolutamente inutile che la gente partecipi alla vita politica, è assolutamente inutile che la gente si muova, è assolutamente inutile che la gente si organizzi perché comunque il problema è risolto, è sviluppato. La politica è qualcosa che riguarda i politici. Anche l'introduzione nel linguaggio corrente di questo termine dei politici è abbastanza emblematico della fase che stiamo vivendo cioè la politica riguarda i professionisti della politica che sempre meno cercano una legittimazione dal basso che sempre meno cercano un consenso di massa che sempre più trovano una legittimazione per il fatto stesso di essere all'interno del sistema dei partiti e che sempre più appunto invitano complessivamente la gente a disertare la vita politica a non occuparsene cercando di rendere evidente agli occhi di tutti che comunque organizzarsi, lottare, partecipare alla vita politica sono esercizi inutili. Sono cose che non servono a nulla sono cose che non cambiano la realtà perché la politica riguarda altro e la gente la politica la deve guardare alla televisione. Tutto questo si accompagna a un vero e proprio sconvolgimento semantico e cioè è sempre più difficile capire, anche nell'uso delle terminologie di cosa si sta parlando. Basti pensare a quando Benvenuto (segr. Naz. della UIL) definisce, faccio un esempio che è chiaro a tutti, reazionario chi difende la scala mobile. Ci sono dei reazionari che difendono la scala mobile, noi progressisti invece andiamo al suo smantellamento. Ecco qui abbiamo un esempio di come la parola reazionario non si capisce più cosa significhi, le parole conservatore/progressista non si capisce più cosa significhino. Faccio degli altri esempi. Quando tutto il settore urbanistico del Partito Socialista dice che quei reazionari che in qualche modo difendono i piani regolatori o che in qualche modo difendono i centri storici, impediscono invece il modernismo, impediscono il progressismo che è quello di eliminare ogni vincolo, eliminare i cosiddetti lacci e lacciuoli e poter scatenare la speculazione edilizia e la devastazione dei centri storici ecco che di nuovo i termini reazionario e progressista non si capisce più cosa vogliono dire. Questa è un'operazione precisa sul piano politico che crea un'estrema difficoltà di comunicazione anche all'interno di un'opposizione. C'è uno stravolgimento che poi viene accompagnato dalle varie affermazioni per esempio che non esiste più una destra non esiste più una sinistra, oggi non si può definire chi è progressista e chi i conservatori e via così. Questo crea appunto grosse difficoltà di comunicazione all'interno della potenziale opposizione, trionfa anche un'ideologia che è un'ideologia di tipo neocorporativo basata sull'individualismo più sfrenato per cui appunto i bisogni individuali diventano una specie di religione. Esiste una proliferazione di culture che sono trasversali alle stesse classi sociali e cioè oggi anche all'interno di categorie sociali socialmente ed economicamente determinate c'è una frammentazione culturale estremamente vasta che crea grosse difficoltà di comunicazione, grosse difficoltà di aggregazione. Tutto questo è un fenomeno che è indotto da un lato da quello che è un processo di ristrutturazione che avviene a livello strutturale. Dall'altro lato però è una precisa offensiva dell'avversario di classe, è una precisa operazione politica di destrutturazione di ogni opposizione possibile, andando a mettere in discussione il concetto stesso di opposizione. Ecco io credo che tutto questo avvenga in larga misura attraverso il controllo che oggi appartiene tutto al sistema dei partiti dei mezzi di comunicazione. Non mi riferisco qui solamente alla RAI Tv, mi riferisco all'insieme della stampa nel nostro Paese che appunto distrugge e crea i fatti, che appunto determina quello che è reale a prescindere da quello che è reale ma esterno alla sua descrizione. A fianco di questa crisi della politica di questo tipo di politica che viene proposta dall'avversario di classe, noi siamo immersi in una crisi economica che è devastante che appunto ha portato a un rilancio, chiamato magari in modo nuovo, del liberalismo selvaggio delle origini del capitalismo e questo liberalismo selvaggio è stato teorizzato. Qui abbiamo un attacco pesantissimo alle condizioni di vita dei lavoratori, delle masse, pensiamo appunto solamente a cosa significa la continua riduzione della pensione per i pensionati già al di sotto dei livelli minimi di sopravvivenza. Pensiamo a cosa vuol dire la tendenza alla privatizzazione della sanità, e cioè quindi a smantellare un apparato che in un qualche modo garantisse a ciascuno che nel caso stia male c'è comunque un apparato statale che in qualche modo lo cura, che in qualche modo gli garantisce la sopravvivenza. E oggi appunto queste cose vanno ad essere smantellate vanno ad essere privatizzate così come la stessa scuola. Oggi c'è una tendenza che teorizza che la scuola appunto deve ritornare in larga misura nelle mani dei privati che deve essere tolta al controllo statale che deve essere appunto ridata alle diverse corporazioni appunto che gestiscono questo. C'è uno smantellamento del patrimonio pubblico delle case che tende appunto a regalare tutto il patrimonio che è stato costruito in questi anni e a frammentarlo in modo da eliminare ogni controllo pubblico rispetto al mercato della casa. Ecco cioè tutti questi aspetti che appunto sono stati definiti politica reaganiana, sono stati definiti appunto in tanti modi, in realtà ricordano il liberalismo delle origini in cui cioè c'era la piena libertà per i capitalisti, per i capitali, di fare qualsiasi operazione volevano con nessun controllo di tipo statale e soprattutto nessuna gestione da parte dello Stato di quelli che erano i bisogni delle masse. Tutto questo, rispetto al discorso che facevo prima sui linguaggi, viene presentato come cosa moderna, modernizzante come cosa progressiva come cosa, appunto, verso la quale bisogna andare perché è inevitabile andare ed è anche giusto andare e questo magari viene fatto in nome dell'efficienza. Si smantella così tutto il patrimonio di riforme che sono state costruite dal movimento operaio nell'arco di 100 anni. Si distrugge così appunto tutto quello che in termini di sicurezza sociale il movimento operaio ha costruito. Ma questa frammentazione di figure sociali e di culture determina non solo nel nostro Paese ma anche in tutto l'Occidente capitalistico una crisi di governabilità. E’ sempre più difficile governare una società di questo tipo e quindi il capitale, quindi il potere, tende a un'operazione precisa che è la semplificazione sociale, che è la semplificazione istituzionale, che è il rilancio dell'autoritarismo. In una situazione così complessa esistono problemi di governabilità, esiste una difficoltà estrema a creare dei minimi comuni fra appunto diverse figure sociali, diversi bisogni. Da parte del potere c'è un obiettivo molto chiaro, riduciamo il tutto e semplifichiamo a livello sociale e soprattutto semplifichiamo a livello istituzionale. Se cioè oggi governare nel modo tradizionale non è più possibile allora andiamo a cambiare le regole del gioco. Di qui salta fuori la cosiddetta riforma istituzionale e qui salta fuori la volontà di togliere alle minoranze ogni tipo di rappresentanza, salta fuori appunto la volontà condivisa dall'intero sistema dei partiti, anche se poi litigano fra loro sulle forme, in cui semplificare il meccanismo istituzionale riducendo in maniera pesante la democrazia. Di qui salta fuori il discorso che facevamo prima sull’autoritarismo e cioè si cerca di creare sempre più figure autoritarie che in qualche modo siano il punto di identificazione delle larghe masse che quindi in qualche modo trovino la loro identità nell’identificazione con queste figure. Ecco qui esiste una specificità del caso italiano rispetto ad altri. Noi abbiamo una specificità, in questo caso è una situazione più grave rispetto a quella degli altri Paesi europei. Noi spesso abbiamo parlato di specificità del caso italiano anzi più che noi altre forze politiche, penso ad esempio ai compagni del PDUP, ai compagni del PCI che negli anni passati spesso hanno ribadito e messo in luce come l'Italia fosse un Paese diverso e diverso in positivo dagli altri Paesi europei. Questo appunto perché si diceva che c'è una forte presenza di un Partito Comunista, c'è una forte presenza sindacale, che sono cose appunto indubbie, certamente queste sono differenze positive rispetto agli altri Paesi europei. Quanto però questa diversità nel caso italiano è invece una diversità di arretratezza strutturale dell'Italia rispetto agli altri Paesi europei? Quanto cioè l'Italia è diversa perché è più indietro all'interno di processi di razionalizzazione capitalistica io credo che questa sia la domanda da porci. Dobbiamo porci anche sul piano della politica perché anche oggi il caso italiano rimane diverso e non rimane diverso nelle cose dette prima, rimane diverso negli aspetti peggiori, rimane diverso perché, faccio solo un esempio che è contenuto in maniera ampia anche nelle tesi, la politica reaganiana di taglio della spesa sociale e di taglio al potere d'acquisto del salario, negli altri Paesi dove è stata praticata e cioè in Inghilterra o negli Stati Uniti pur essendo una politica ostile agli interessi dei lavoratori ha determinato però, dal punto di vista degli interessi anche dei capitalisti, la riduzione dell'inflazione. Nel caso italiano non ha determinato nemmeno questo. Nel caso italiano noi abbiamo una riduzione del potere d'acquisto dei salari, abbiamo il dilagare della disoccupazione, abbiamo cioè una situazione che è analoga a quella di altri Paesi europei da questo punto di vista, senza che però questo tipo di politica sia riuscito a ridurre appunto l'inflazione nel nostro Paese. Questo perché, per gli incredibili sprechi che in Italia esistono, per le corporazioni appunto assolutamente parassitarie, per la mafia, per la presenza di categorie sociali assolutamente inutili e dannose anche a un processo lineare di sviluppo capitalistico. E qui c'è una specificità del caso italiano che di nuovo è uno sviluppo capitalistico distorto del nostro Paese rispetto agli altri. Pensiamo solamente al meccanismo infernale dei Bot. Lo Stato cerca di risolvere il problema del disavanzo che è manicomiale, che si giustifica solo nell'interesse di mantenere in piedi infinite corporazioni che appunto in qualche modo danno un consenso elettorale e tengono in piedi l'attuale sistema di potere. Non certamente si giustificherebbe anche in una logica capitalistica coerente. Infatti non ha paragoni con gli altri paesi dell'Europa occidentale nonostante che appunto negli altri Paesi dell'Europa occidentale come in Italia si vada all'attacco delle condizioni di vita dei lavoratori. E questo è di nuovo un fatto storico se dobbiamo riflettere, un fatto storico che oggi giunge a conclusione. Poi arriviamo ad un'altra considerazione sul ruolo che il Partito Comunista ha in questa vicenda. La considerazione storica è questa, che in Italia a differenza di altri Paesi europei non c'è stato, e mi riferisco all'Italia del dopoguerra, un partito politico che avesse due caratteristiche contemporaneamente: da un lato quello di rappresentare la visione del mondo e gli interessi della borghesia industriale e contemporaneamente essere un partito di massa in grado cioè di gestire il potere. Questo è un fenomeno che negli altri Paesi europei c'è stato, c'è stato negli Stati Uniti, non c'è stato in Italia. L'alleanza fra grande capitale monopolistico e Democrazia Cristiana è stata per l'appunto un'alleanza non un'identificazione e cioè la Democrazia Cristiana non era un partito che avesse come sua cultura, come sua visione del mondo la cultura del grande capitale industriale. È un partito reazionario, arcaico che ha una forte composizione contadina, che comprendeva al suo interno il notabilato delle città del Sud, che aveva al suo interno gli ex fascisti del passato regime che erano passati immediatamente alla Democrazia Cristiana stessa, la mafia, categorie del pubblico impiego privilegiate dal fascismo e così via. Cioè un partito che difendeva gli interessi di una piccola borghesia putrescente assolutamente parassitaria, redditiera che in un qualche modo però è un partito di massa perché ha un cemento ideologico che era quello del cattolicesimo appunto che la faceva essere un partito di massa proprio perché articolata sul territorio. La Democrazia Cristiana appunto ha avuto questa alleanza con la grande borghesia industriale senza che per questo ci fosse identificazione. Altri erano i partiti che rappresentavano gli interessi le visioni del mondo del grande capitale industriale del nostro Paese, il Partito Liberale, il Partito Repubblicano che però non hanno mai avuto la caratteristica di essere partiti di massa e quindi capaci da soli di gestire la politica del nostro Paese. Oggi questo tipo di alleanza, questo tipo di situazione di stabilità politica che ha visto questa immensa costruzione che è il sistema di potere democristiano comincia a essere in crisi. Comincia a essere in crisi l'egemonia democristiana nella società. Ci sono stati alcuni momenti in cui si è visto benissimo, ci sono stati referendum, penso ad esempio a quello sull'aborto ma prima a quello sul divorzio dove si è visto appunto come l'ideologia democristiana non era più l'ideologia maggioritaria nel Paese e di come veniva messa in discussione a livello di massa. C'è stato un processo di laicizzazione, di modernizzazione del nostro Paese. Le culture di altri Paesi capitalisti sono entrate nel nostro Paese e c'è un rifiuto del tipo di ideologia di cui la DC è portatrice. E oggi infatti emergono sulla scena politica sempre di più i cosiddetti partiti laici. Non è un caso che oggi infatti, partiti come il Partito Repubblicano o il Partito Socialista, che poi vedremo dopo è sempre schierato in quest'area per cui ha sempre meno a che fare con un'ipotesi qualsiasi sia di socialismo che di sinistra, cominciano a diventare punti di riferimento non solo dell'ideologia, della visione del mondo del grande capitale industriale ma anche qualcosa che sul terreno del consenso che sul terreno elettorale conta. Non sono già più partiti assolutamente minoritari, penso ad esempio al partito repubblicano, cominciano a diventare partiti capaci di contendere alla Democrazia Cristiana ad esempio la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, capaci di avere il 10-12% nelle grandi città industriali, capaci cioè di avere un consenso, un seguito di massa. Tutto questo non certamente per una vittoria della sinistra, che non c'è stata che anzi è stata sconfitta alle ultime elezioni, spiega il calo pesante della Democrazia Cristiana. Una sconfitta della Democrazia Cristiana che non è dovuta a una vittoria della sinistra ma è un riequilibrio politico culturale ideologico all'interno dello schieramento borghese. E di questo dobbiamo prenderne atto non possiamo dire come ha fatto ad esempio il PCI sull'Unità che è stata una grande vittoria la sconfitta della Democrazia Cristiana. E’ certamente un fatto positivo, non lo neghiamo mica, però non è stata una vittoria delle sinistre non è stata sconfitta la Democrazia Cristiana perché contemporaneamente c’è stata l'avanzata del movimento operaio, in realtà abbiamo avuto un riequilibrio all'interno dello schieramento borghese. E infatti oggi è all'interno di questo schieramento che esiste un conflitto politico pesante per l'egemonia. Mai come oggi, fra la Democrazia Cristiana e gli altri partiti di governo esiste uno scontro politico così acuto per il controllo dell'informazione, per il controllo dei ministeri, per l'impostazione della politica nel nostro paese. Non c'è mai stato un livello di rissa così acuto fra i partiti che formano lo schieramento borghese. Dico questo perché non solo perché oggi esiste un problema di assetto che va ridefinito ma anche perché oggi possono permettersi questo scontro perché non c'è più nessuno nel nostro Paese a sinistra da parte del movimento operaio che appunto in questo scontro inter borghese mette i piedi nel piatto che ci entri dentro e utilizzi le contraddizioni fra questi partiti per affermare se stesso, il movimento operaio, come alternativa di governo. Oggi possono permettersi di scontrarsi perché nessuno è in grado di fargli pagare il prezzo di questo scontro politico, perché nessuno è capace di fargli pagare le loro contraddizioni. E infatti questo è il dato principale in questa fase che appunto oggi manca nel Paese una sinistra, un movimento operaio capace di porsi come alternativa politica, capace di porsi come alternativa di governo, capace di entrare nelle contraddizioni dell'avversario di classe. Questo non esiste, per cui la contraddizione rimane al loro interno, è acutissima, ma comunque rimane in un sistema politico chiuso che non vede nessun tipo di alternativa. E quindi qui arriviamo al problema della crisi della sinistra, che io credo sia l'elemento determinante che dobbiamo affrontare. Questa crisi della sinistra non è un fenomeno solo italiano, è un fenomeno che riguarda tutta l'Europa e parte da considerazioni molto ampie e generali. Quello che oggi è in crisi sono gli stessi modelli di riferimento, gli stessi modelli concettuali che le varie componenti della sinistra, cioè quella socialdemocratica o quella di tradizione comunista, avevano e hanno sempre avuto. Quello che oggi in crisi è lo Stato sociale, che era il punto di riferimento della socialdemocrazia. Quello che oggi è in crisi, non è più credibile, è la società dell'Est, che era il punto di riferimento dei partiti comunisti. Il modello socialdemocratico cioè lo stato sociale è stato smantellato all'interno di questa crisi. Oggi è una cosa difficilmente proponibile per lo meno senza rompere alcune delle compatibilità del sistema capitalistico, perché poi di questo si tratta, e cioè sarebbe possibile anche mantenere uno Stato sociale ma sarebbe necessario rompere le compatibilità del sistema capitalistico cosa che è estranea alla tradizione socialdemocratica. Oggi all'interno del capitalismo non è ipotizzabile il mantenimento di uno stato sociale che tuteli la gente dalla culla fino alla morte e quindi è in crisi questo modello. E allora fra le socialdemocrazie oggi noi vediamo che c'è un riflusso su posizioni minoritarie, a volte anche interessanti dal punto di vista di una rifondazione della sinistra. Voglio dire i laburisti inglesi oggi hanno posizioni estremamente interessanti su diverse questioni, pensiamo ad esempio alle posizioni sulla pace e sul disarmo nucleare o certe posizioni che hanno su questioni operaie. Sono posizioni di grande interesse per noi. Però sono una forza minoritaria che nell'immediato non ha prospettive di potere, di tornare al Governo. O pensiamo anche ad altre esperienze minori che ci sono in Olanda, ipotesi interessanti che nascono anche all'interno dei socialdemocratici o nella stessa Germania. Le ultime posizioni della socialdemocrazia tedesca sulla questione della pace e del disarmo sono ipotesi interessanti però appunto anche lì non esiste la prospettiva di governo. Oppure l'altra strada è la gestione da parte dei socialdemocratici della politica reaganiana. E’ il caso della Francia di Mitterrand, dove Mitterrand che pure era andato su e poi abbiamo un Governo, al cui interno ci sono addirittura anche ministri comunisti, e il Governo Mitterrand porta avanti la politica reaganiana in Francia nello stesso modo della signora Thatcher in Inghilterra. Nello schematismo ci sono alcune differenze però è una politica basata sul taglio della spesa sociale, sul taglio dell'occupazione sulla chiusura delle aziende e via così. La stessa politica si porta avanti in Italia e negli altri Paesi dove la politica reaganiana viene praticata dalle forze moderate, nel caso francese viene praticata dalle forze socialdemocratiche. E il caso del Portogallo ancora più clamoroso, dove il signor Soares porta avanti una politica in questo caso addirittura reazionaria non socialista, porta avanti una politica tranquillamente reaganiana anche in quel Paese. E’ il caso anche però dei partiti appunto che fanno riferimento storicamente al comunismo, pensiamo appunto al ruolo assolutamente insignificante che ha il Partito Comunista Francese che è così duro così filosovietico nelle chiacchiere, nelle dichiarazioni quando poi si arriva al dunque della gestione del potere è di fatto completamente, totalmente asservito al Governo più filo atlantico che esiste in Europa assieme a quello italiano di Craxi. Il Partito Comunista Francese avvalla le scelte in campo di politica sociale, magari fa la voce grossa, ma la sostanza è quella. Sul piano del riarmo e della politica nazionale addirittura avvalla le avventure africane, le avventure imperialistiche africane. Questo governo francese che va appunto a intromettersi in una serie di guerre come appunto quella del Libano, dove c’è anche l'Italia, quella del Ciad dove ci sono solo loro. Ecco anche questa crisi nel caso dell'Italia è aggravata e di nuovo la specificità del caso italiano si tramuta anche in questo. Sul Partito Socialista al congresso ci risparmiamo tutte le facili battute tipo socialista ladro e farabutto, queste sono affermazioni che rimangono vere, però sono condivise credo dalla totalità dei compagni per cui ce li risparmiamo. Il Partito Socialista oggi sta facendo due operazioni una che è l'omologazione alla peggiore tradizione italica cioè oggi appunto è ladro quanto e come quegli altri e forse di più cioè si è omologato alla tradizione del mondo politico italiano entrando fino in fondo all'interno del sistema di potere tradizionale. Dall'altro lato è in concorrenza con le altre forze borghesi, repubblicani, socialdemocratici per andare a definire chi è in Italia il miglior riferimento degli Stati Uniti sia nella politica reaganiana in politica interna sia nel consenso alla politica internazionale. Per di più il Partito Socialista oggi è il portatore nel nostro Paese del peggior autoritarismo che prima descrivevo. Basti pensare non solo a tutte le battute che sono girate in questi mesi ma ad esempio all'atteggiamento che ha avuto Craxi nei confronti della stampa e nei confronti della RAI tv, che ha in generale nei confronti appunto della democrazia politica. Sono i più accesi fautori della riforma istituzionale, sono i più accesi fautori del controllo della magistratura da parte del Governo, sono i più accesi fautori del controllo dell'informazione in maniera rigida da parte del Governo, addirittura sono arrivati a proporre la creazione di un ministero dell'informazione con lo scopo appunto di controllare tutta la stampa. Oggi il Partito Socialista non è un soggetto di trasformazione, non è un partito di sinistra, invece è un partito perfettamente omologato all'interno del sistema di potere esistente nel nostro Paese. Ci interessa quindi poco anche approfondire un'analisi particolare sui socialisti o perlomeno non ci interessa di più di quello che appunto andiamo a fare rispetto ad altri partiti dello schieramento borghese come il partito repubblicano o altri. Ci interessa invece il Partito Comunista che appunto è e rimane il grosso partito della sinistra, il partito che in Italia vede l'identificazione della stragrande maggioranza dei lavoratori. Il giudizio che diamo sul PCI è un giudizio che non può che essere estremamente pesante. Più che un giudizio si tratta di andare a fare un'analisi del ruolo che questo partito svolge, dei problemi che questo partito ha oggi. Credo che sia sotto gli occhi di tutti come questo partito ha una crisi profonda di identità che è dovuta da un lato a un estremo ritardo nel capire i fenomeni sociali strutturali che stanno avvenendo e spesso appunto anche i suoi irrigidimenti non sono tanto un fenomeno di sinistra cioè di comprensione degli avvenimenti e di risposte dure quanto ritardi di comprensione. In questo momento al suo interno è esploso un dibattito politico che solo il centralismo democratico, che bene o male rimane nel partito, impedisce che questo partito si frantumi in quattro, cinque, sei posizioni diverse. Uno dei motivi di questa crisi è certamente un dato. Oggi la linea interclassista e solidaristica, chiamiamola così, che questo partito ha sempre praticato e teorizzato, oggi senza margini di profitto all'interno con la crisi economica che stiamo vivendo e soprattutto stando al di fuori dell'area di potere è largamente impraticabile e quindi il suo ruolo tende a diminuire. Cos'è che caratterizza questo partito oggi? La più totale incertezza sulle posizioni di collocazione internazionale. Il Partito Comunista è l'unico partito in Italia in assoluto che non si capisce bene in quale schieramento sia. Non è più un partito filosovietico, anche se al suo interno esistono forti componenti filo sovietiche. Non è un partito filo americano, anche se sul tema esistono piccole componenti filo americane e comunque, per bocca del suo segretario, accetta l'ombrello atlantico. Certamente non è un partito che voglia la neutralità del Paese, perché questo non l'ha mai detto. Anzi quando di fronte a chi come DP dice che noi vogliamo un futuro di neutralità, di non allineamento per l'Italia, si risponde che noi vogliamo chiamarci fuori dal gioco internazionale e questo non è bene, questo è sbagliato. Un partito, quindi, che non si capisce bene come sia collocato a livello internazionale. Manca nel Partito Comunista una cultura riformista. Se noi andiamo a vedere cos'è la cultura riformista, cos'è la definizione di riformismo, vediamo appunto come questo nella tradizione socialdemocratica, ma anche nell'ipotesi togliattiana, portasse a costruire un partito attorno a un programma politico, non più attorno a un progetto di trasformazione generale della società. Questa è la tradizione di Bernstein e di altri. Ma anche nelle dichiarazioni di Togliatti, cioè diamoci un programma di riforme, manteniamo il tetto dell'attuale sistema politico economico, dell'attuale Stato e costruiamo un partito, una linea politica attorno a questo progetto di riforme. Questo oggi non si può dire del Partito Comunista che oggi non ha un Progetto organico di riforme all'interno di questo Stato, non è un partito riformista, non fa neanche parte della sua cultura, il riformismo. Ha una posizione di incertezza nel rapporto col governo e cioè non si capisce se rispetto a questo governo è una forza di opposizione, è una forza di opposizione critica, se è nella maggioranza di governo, che cos'è. Dicono i radicali, e qui hanno ragione, che oltre l’80% delle leggi sono approvate col consenso del PCI. Sono moltissime anche le leggi che vengono approvate col voto contrario del PCI, ma che passano perché al momento cruciale venti deputati del PCI escono dall'aula in modo che il governo abbia comunque la maggioranza. Sono moltissime le leggi che vengono respinte, votate contro dal PCI e che però, appunto propone nel corso della discussione una serie di emendamenti cosiddetti migliorativi, che fanno sì appunto che queste leggi in qualche modo vengano avvallate e quindi manchi l'opposizione. Basti pensare, ad esempio alle dichiarazioni fatte ultimamente da Napolitano, in cui si dice questa deve essere la prassi. Basti pensare appunto come Napolitano, che era assente quel giorno, abbia avuto posizioni durissime nei confronti di chi ha gestito nel Partito Comunista e nel gruppo parlamentare comunista quella battaglia che portò alla clamorosa bocciatura del decreto sul condono edilizio che Napolitano ha condannato anche nel suo articolo sull'Unità dicendo che è un modo di fare sbagliato. Esistono sbandamenti continui, cito alcune questioni, pensiamo ad esempio all'atteggiamento del Partito Comunista, poi vediamo anche il perché, rispetto alla grande battaglia della FIAT a suo tempo che si oppose ai licenziamenti, dove si andò da Berlinguer che dichiarò occuperemo la fabbrica e qualche giorno dopo si arriva ad un accordo che praticamente ratificava le posizioni di Agnelli e Berlinguer disse che era un ottimo accordo. Pensiamo al 22 gennaio dove sindacalisti comunisti fecero una battaglia in un primo momento contro quest'accordo e appena firmato con l'avvallo dei dirigenti comunisti Berlinguer lo definì uno degli accordi migliori fatto nel mondo occidentale. O pensiamo alla questione dei missili, il PCI dopo essere stato presente nella battaglia politica contro l'istallazione di missili a Comiso, all'ultimo minuto in Parlamento Berlinguer ha fatto questo discorso sul rinvio tecnico dell'installazione dei missili. Pensiamo all'atteggiamento sulla legislazione speciale dove appunto il Partito Comunista non ha ancora chiarito se è contrario o favorevole alla legislazione speciale se è per il suo superamento oppure no. Pensiamo anche alle ipotesi strategiche come sono mutate e come si dimostra una mancanza di cultura dietro questi mutamenti. Si è passati nel giro di due anni dalla strategia del compromesso storico a una strategia di alternativa non meglio definita. Noi durante le elezioni lo dicevamo in tutti i momenti di discussione politica che non si capiva con chi si doveva fare quest'alternativa, con quali forze e su quali programmi a una fase di opposizione definita dura, all'articolo di Napolitano, all'ultimo Comitato Centrale dove Occhetto ha ridetto che sono disponibili a un accordo di nuovo con la Democrazia Cristiana per una riforma istituzionale. Ecco siamo di fronte quindi a continui sbandamenti di linea politica, un'incertezza totale di linea politica che però ha una radice. E allora se il Partito Comunista non è un partito con cultura riformista che cos'è? Noi l'abbiamo definito un partito che ha una tradizione statalista, una cultura statalista. Cosa vuol dire, dicevo prima cos'era il Governo per i riformisti cos'è il Governo per i riformisti, è uno strumento di attuazione del programma quindi un partito riformista punta a conquistare il Governo per realizzare quel tipo di programma quindi uno strumento con questo fine. Storicamente per i comunisti cos'era il Governo: uno strumento tattico per la presa del potere. Tutta la teoria della terza internazionale era cercare di arrivare ai governi di Paesi borghesi per poi utilizzare questo strumento per rovesciare l'ordinamento esistente. Cos'è per il PCI? Per il PCI il governo è il fine e cioè il governo per il Partito Comunista Italiano da anni a questa parte è il fine ultimo della sua politica e questo prescinde dal programma di governo. Tutta la polemica che il PCI fa da alcuni anni a questa parte rispetto al problema del Governo è una polemica sulla sua ammissione nell’area governativa ma questo prescinde dal programma. Si dice che non si può governare il Paese senza il PCI, si vuole tener il PCI fuori dall'area di governo, si dice che il PCI deve entrare nell'area di governo ma non si dice al Governo con chi e non si dice al Governo per fare che cosa. Diventa cioè il Governo il fine stesso della politica per i comunisti. Questo lo abbiamo visto benissimo nel periodo di unità nazionale in cui appunto il Partito Comunista per un breve periodo all'interno della maggioranza di governo, per quanto poi tagliato fuori dal potere vero, assunse su di sé tutti i provvedimenti sia sul terreno economico che sul terreno legislativo più infami, più pesantemente anti operai più pesantemente liberticidi portandoli avanti in prima persona in nome e per conto del governo di unità nazionale. Queste cose le ha pagate molto duramente in termini di perdita di consenso, in termini di peso, di perdita credibilità e in termini poi di stabilizzazione del sistema politico e quindi di sua cacciata dall'area del governo successivo. E’ di questo periodo ad esempio la filosofia dell'EUR. Ma cos'è se non statalismo il più becero questa assurda invenzione. Andiamo a vedere cos'era la filosofia dell’EUR da cui deriva per un filo diretto per un filo rosso continuo l'attuale politica, l'accordo del 22 gennaio e l'attuale trattativa sul costo del lavoro. Cos'è? È appunto lì che si inventa la politica dello scambio, lì che si inventano i due tempi e lì che si dice che il movimento operaio deve cedere qualcosa di suo in cambio appunto di un secondo tempo che verrà dopo, cioè in cambio di promesse. Qual era la garanzia dello scambio? La presenza del partito operaio cioè del PCI nell'area governativa, perché di questo si trattava. Fra l'altro questa cosa gli è stata rovesciata in questi ultimi anni contro da parte di CISL e UIL che hanno detto: e perché oggi non si può praticare la politica dello scambio e perché oggi non si può praticare la politica dei due tempi? Un partito operaio al Governo c'è ed è il PSI che garantisce lui e comunque se è il Governo che garantisce le promesse anche oggi esiste un Governo, non c'è il PCI ma esiste comunque un Governo, ed essendo il sindacato autonomo, dicono Cisl e Uil, dai partiti anche oggi è praticabile la politica dello scambio, anche oggi è praticabile la politica dei due tempi. Questo meccanismo infernale l'ha messo in moto lo statalismo del PCI e chi se no. Noi rivendichiamo fino in fondo di aver fatto quelle battaglie contro in un momento così difficile che chi combatteva contro l'idea dell’EUR era un provocatore che andava appunto a colpire il movimento operaio perché appunto il partito del movimento operaio, nella logica di questi, era nell'area di governo e chi si opponeva alle sue idee politiche era quindi un provocatore rispetto al movimento operaio. Questo è il ragionamento che loro facevano salvo oggi pentirsi, molti di loro si sono pentiti di aver sottovalutato i rapporti di forza nel portare avanti questo tipo di linea politica. Ma esiste un elemento di fondo di tutto questo e qui arriviamo poi al punto di cosa deve fare DP di cos’è DP. Esiste nella politica, nella cultura del Partito Comunista l'accettazione di fondo del punto di vista dell'avversario di classe. Marx, non farò citazioni, Marx diceva che ogni processo rivoluzionario partiva da alcuni concetti, partiva da alcuni dati e cioè l'antagonismo sociale, la coscienza che i lavoratori avevano della loro radicale diversità di interessi rispetto al padronato, la consapevolezza che non esiste nessun tipo di interessi, di analisi comune fra lavoratori e capitalisti, che esistono visioni del mondo radicalmente contrapposte, diverse, è la condizione necessaria, diceva Marx, la comprensione di queste cose per l'avvio di un qualsiasi processo rivoluzionario. Cioè diceva che fino a quando il proletariato non ha capito che fra lui il padrone non esiste niente di comune, ciò che avvantaggia il padrone danneggia lui e viceversa, che sono visioni del mondo diverse, che sono interessi radicalmente contrapposti, che non esiste alcuna compatibilità di interessi, fino a quando il proletariato non ha capito queste cose non fa la rivoluzione, diceva Marx. Io credo che questo suo ragionamento è estremamente valido anche oggi ed è la perdita totale di questo ragionamento nel PCI, tradotto poi vediamo anche in che termini concreti, che è all'origine del disastro che all'origine della sconfitta della sinistra nel nostro Paese. Cosa fa il Partito Comunista quando si trova ad analizzare una serie di problemi che sono sul tappeto? Accetta il punto di vista del padronato e fa la politica del meno uno. Una volta noi venivamo accusati di fare la politica del più uno. Si diceva, no, voi dite le stesse cose che dicono i sindacati e poi chiedete un po di più. Il ragionamento del PCI invece è questo qui, fa le stesse analisi che fanno i padroni, vede cosa dicono i padroni e poi dice, no, un po’ meno. Costo del lavoro, quando il padronato dice che la causa dell'inflazione nel nostro Paese è il costo del lavoro, cosa dice DP, cosa dicono i lavoratori più coscienti, cosa dicono le avanguardie operaie presenti nelle fabbriche, dicono che non è vero, non è il costo del lavoro sono ben altri I problemi: sono il costo del denaro, sono la politica industriale, sono le speculazioni, sono altre cose. Il costo del lavoro non è rilevante ai fini dell'inflazione nel nostro Paese. Cosa dice il PCI? È vero, il costo del lavoro non è certamente l'elemento principale, però è certamente un elemento. Però invece di ridurre la scala mobile del 50% la riduciamo solo del 10%. Questa è la proposta della CGIL in occasione dell'accordo del 22 gennaio. Poi come va a finire si vede, siamo sul terreno degli altri e gli altri non si accontentano del 10% nè del 50%, oggi vogliono il 100% e dicono beh se voi ammettete che avevamo ragione noi perché solo il dieci e non il 40%, perchè non il 50%. Ma pensiamo alla questione dell'occupazione, cosa dicono, c'è una manodopera esuberante, cosa dice il PCI condiviso dalla direzione sindacale, è vero che c’è la manodopera esuberante però invece di licenziare 40.000 licenziatene solo 10.000. C'è la legislazione speciale, così dicono gli altri, ci vogliono delle leggi assolutamente pesanti per stroncare il terrorismo. Cosa dice il PCI, è vero ci vogliono delle leggi certamente pesanti vediamo di fare in modo che non siano così pesanti. Poi è evidente che su questa strada chi vince sono gli altri, chi impone il quanto andare indietro, chi impone il quanto tagliare la scala mobile, di quanto tagliare i lavoratori, di quanto fare dure le leggi speciali sono gli altri a decidere. Il discorso delle compatibilità è un assurdo logico. Senza andare a fare un discorso di rovesciamento dell'attuale sistema politico economico ma anche nel nostro sistema economico c'è un numero infinito di compatibilità economiche a seconda degli interessi che si vogliono difendere. I soldi possono essere presi dal salario dei lavoratori, ma possono essere presi anche dalla rendita finanziaria. I soldi possono essere presi aumentando le tasse sul lavoro dipendente, ma anche tassando i buoni del Tesoro e chiudendo l'evasione fiscale. l'INPS può essere sanata tagliando i servizi ma anche facendo pagare le aziende che evadono. Adesso sono volutamente schematico, però questo per dire che su ogni problema non esiste una strada unica, ne esistono tante a secondo gli interessi che si vogliono difendere. E allora quando il Partito Comunista accetta il discorso delle compatibilità e dice, questo non si può fare perché è incompatibile, questo non si può fare perché si passa oltre le compatibilità in realtà porta alla sconfitta il movimento operaio perché appunto oggi mancando ogni tipo di analisi contrapposta, mancando ogni tipo di prospettiva di trasformazione vera, assistiamo a questo fenomeno dell'abbandono della militanza politica attiva da parte della gente. Le difficoltà crescenti di trovare i delegati nelle fabbriche, nessuno vuole più fare il delegato. I funzionari sindacali che vanno nel pallone che magari hanno eusarimenti nervosi come sta succedendo sempre di più perché non sanno più di preciso cosa andare a dire ai lavoratori perché non condividono la linea del sindacato. Però poi c'è una situazione difficile cioè assistiamo a una situazione in cui la gente torna a casa, in cui la gente appunto smette di fare politica. Ma di chi sono le responsabilità di queste sconfitte? Questa sconfitta del movimento operaio da cosa è stata determinata, dall'attacco dell'avversario di classe o dal fatto che nel nostro schieramento si sono abbandonate le armi. Si è detto che avete vinto voi, oppure anzi non c'è neanche la guerra in corso, siamo tutti amici. Che problema è? Quindi, più che la vittoria del nemico di classe è la sconfitta nostra tutta all'interno di una cultura appunto, che non ha saputo reggere lo scontro, che non ha volute, non ha saputo difendere gli interessi dei lavoratori, di una cultura che non ha saputo porre al primo posto il problema della trasformazione di questa società e il problema della difesa intransigente degli interessi dei lavoratori. Questo è quello che ha portato alla sconfitta. Certamente l'offensiva dell'avversario di classe è stata acuta. Certamente gli altri hanno fatto il possibile per sconfiggerci, ma è il loro mestiere. Da sempre I padroni cercano di tornare al capitalismo delle origini, in cui i lavoratori lavorano 20 ore al giorno e prendono 50.000 lire al mese. Perché è chiaro, perché vogliono fare il loro mestiere. Fanno bene a fare il loro mestiere. Loro sì che fanno la lotta di classe. Dall'altra parte di fronte all'offensiva si abbandonano le armi, si dice avete vinto, va bene accettiamo questo tipo di compatibilità. Oggi è questa la situazione in cui ci troviamo ad operare con il movimento operaio sconfitto. Anche questa cosa è una cosa che diciamo solo noi perchè il sindacato passa di vittoria in vittoria, il sindacato vince sempre, ogni batosta il sindacato ha vinto, grande vittoria operaia. L'accordo del 22 gennaio è il miglior accordo dell’Europa occidentale, e via così. Poi dopo 3 o 4 anni comincia a dire che in effetti è una sconfitta, però per 3 o 4 anni rimane sempre una vittoria. Il PCI anzi va benissimo, mai come oggi contano nel nostro Paese quando in realtà oggi contano sempre meno. Addirittura Spadolini si permette di scrivere sul Corriere della Sera che in Italia si è chiusa la questione comunista. Spadolini scrive una cosa vera perché appunto il Governo non ha più il problema di rapportarsi più di tanto con un Partito Comunista che oggi conta poco, che oggi non incide nelle scelte politiche che oggi non ha più la capacità di mobilitare le masse. A fianco a questo a questa crisi che è, io credo, inarrestabile perché è una crisi che parte proprio da una débacle culturale noi abbiamo anche il crollo degli unici punti in cui il Partito Comunista contava ed era riuscito a realizzare delle cose che sono appunto le cosiddette giunte rosse. Oggi io credo che l'esperienza del giunte rosse sia un'esperienza finita, in crisi, ma non finita perché ce ne sono sempre meno, perché i socialisti sono i delinquenti che le rompono e passano con i democristiani. E’ un’esperienza finita in termini di capacità di esercitare un'egemonia politica, di capacità di portare avanti una politica di difesa degli interessi dei lavoratori che in qualche modo sposti i rapporti di forza con la politica governativa. Quando il Partito Comunista dice e pratica che la sua politica delle giunte rosse è la politica delle mani pulite, ma compagni non basta questo discorso. A parte che bisognerebbe vedere se è vero o no che poi queste mani sono così pulite, spesso succede che qualcuno anche lì non è poi così pulito. Gli scandali che sono qui tra l'Emilia Romagna e il Comune di Bologna ne abbiamo denunciati ripetuti, lottizzazioni, spartizioni, i soldi regalati in giro eccetera. E’ vero che le giunte amministrate dal PCI in genere sono certamente più pulite di quelle amministrate dalla Democrazia Cristiana. Ma questo poi non basta e questa è la rovina della Giunta Valenzi a Napoli e cioè in fondo al lavoratore, all'utente dei servizi sociali che cosa gliene frega in ultima analisi se la Giunta ruba o non ruba quando poi i servizi sociali vengono ridotti, l'autobus arriva a 500 O 1000 lire. Quando cioè la politica che viene praticata da questa giunta è esattamente la stessa che viene praticata dalle altre, quando c'è un appiattimento sulle posizioni politiche governative. Ma che differenza fa per la gente? Certo alla gente interessa che i suoi amministratori siano onesti, che non rubino, però interessa anche e soprattutto il tipo di politiche che fanno, se appunto in una città la casa si trova, se si tagliano le unghie alla speculazione edilizia, se i servizi rimangono popolari e non vengono ridotti, se cioè l'ente locale è uno strumento di battaglia politica rispetto alla politica di governo. Se non è questo la politica delle Mani Pulite non basta certamente. Difatti queste giunte versano in crisi per una grave crisi della loro linea politica, per una grave incapacità di una loro linea di politica autonoma. Allora per concludere sul Partito Comunista e arrivare invece a Democrazia Proletaria noi non dobbiamo sottovalutare la crisi del PCI nel senso che la crisi che è in atto nel PCI è una crisi che certamente libera delle forze che nel Partito Comunista stanno ancora oggi. Dobbiamo stare molto attenti a distinguere fra un gruppo dirigente che noi pensiamo che non bisogna neanche sopravvalutare, un gruppo dirigente che certamente è disomogeneo ma che nella sua sostanza non è recuperabile ad una politica di classe, ad una politica di alternativa e invece il fatto che il Partito Comunista è a tutt'oggi il punto di riferimento della stragrande maggioranza dei lavoratori nel nostro Paese. E allora oggi nel Partito Comunista esiste un dibattito politico interno e però la linea del Partito Comunista è quella. Faccio un esempio, c'è nel Partito Comunista Laura Conti che sull'ambiente ha delle posizioni analoghe o identiche a quelle di Democrazia Proletaria, però la politica del PC sull'energia è quella dell'approvazione del piano energetico nazionale e quindi è la politica del nucleare. Oggi nel Partito Comunista Berlinguer può anche dire ‘facciamo una dura opposizione sociale’, ma quello che passa il convento è la politica di Napolitano in Parlamento. Il Partito Comunista può dire battiamoci contro il taglio della scala mobile, ma poi la linea che passa è quella di Lama e quella della direzione della CGIL. Questa è la politica del PCI, quindi non sopravvalutiamo neanche la sinistra interna al gruppo dirigente. Chi è stato, se non Ingrao a proporre tra i primi la riforma istituzionale nel nostro Paese? Certamente non con la stessa ispirazione di quegli altri però la riforma istituzionale che vede in qualche modo una semplificazione, anche lì una maggiore governabilità ma a vantaggio di chi ha interessi e chi è stato se non Occhetto, un altro valoroso esponente della sinistra del PCI, a proporre al Comitato Centrale un accordo con la Democrazia Cristiana per andare appunto insieme alla riforma istituzionale. Quello che ci interessa è l'altro dato che lo scontro che c'è oggi nel Partito Comunista fa sì che migliaia di lavoratori cominciano ad avere un rapporto fortunatamente meno religioso col loro partito, a ragionare di più con la loro testa a partire dai loro interessi dei loro bisogni e quindi cominciano a prendere posizioni che sono diverse da quelle del loro partito. Potranno determinare cambiamenti della linea del PCI? Io non credo ma è un dato comunque importante un dato comunque positivo che a livello sociale, a livello di classe operaia soprattutto, ma non solo di classe operaia, anche nel movimento per la pace decine, centinaia di giovani della FGCI sono su posizioni ben diverse da quelle del mantenimento dell'ombrello atlantico e sono invece sulla posizione dell'uscita immediata dalla NATO, del disarmo unilaterale e così via. Ecco noi dobbiamo saper parlare, dobbiamo saperci rapportare perché appunto questo ci interessa la crisi del PCI, la politica appunto imbelle, indefinita, assolutamente incapace di avere un'identità che descrivevo prima, che determina un aumento di questa crisi interna e di questa liberazione di forze. Quindi il problema della rifondazione della sinistra, il problema di una ripresa del movimento di massa non può che passare attraverso questo. E qui sta il primo compito di DP, la ricostruzione di una teoria, di una cultura antagonista che è stata appunto smantellata in questi anni. Non può che passare attraverso la definizione di un'ipotesi di società che appunto sia radicalmente diversa rispetto a quella esistente e che venga praticata già da oggi nel modo in cui facciamo politica nel modo in cui conduciamo le battaglie. Siamo pessimisti? Io non credo perché esiste in Italia, e qui c'è la positiva diversità del caso italiano, una memoria storica fra i lavoratori fra le masse che negli altri Paesi europei non c'è, che non c'è ad esempio nei Paesi del nord Europa. Esiste un'opposizione sociale diffusa, lo dicevamo prima. Quando si riuniscono a Milano 200 consigli di fabbrica che dicono no al taglio della scala mobile nonostante tutto quello che al movimento operaio è stato fatto in questi anni da parte della direzione sindacale, che hanno appunto fatto ai lavoratori le cose più infernali, esistono ancora a Milano 200 consigli di fabbrica e sono molti di più i lavoratori che si muovono su queste posizioni, che dicono che sono disposti, oggi nell'84, a scendere in lotta anche contro la direzione sindacale perché la scala mobile non si deve toccare. Io credo che questi siano segni importanti di un'opposizione sociale diffusa di un'opposizione cioè rispetto a questo sistema politico che noi dobbiamo saper raccogliere, sapere organizzare e saper promuovere e questi sono i riferimenti che noi dobbiamo saper aggregare. DP, è questo il punto dobbiamo porci oggi, ha le carte in regola per fare questa operazione? Ho detto prima che la sinistra storica nella versione Socialdemocratica e statalista di fatto non ha queste carte. Quindi DP ha le carte in regola? Noi crediamo di sì, anche se siamo ben lontani dall'avere una visione politica organica dei vari problemi, un programma economico organico, cioè siamo ancora ben lontani perché siamo pochi, siamo una forza che sta crescendo adesso però ha le carte in regola sul piano generale. Noi siamo i portatori di una cultura e credo che questo qui noi tutti dobbiamo averlo molto chiaro in testa. E’ importante perché poi magari noi molte cose le diamo per scontate e non ci rendiamo conto invece dell'importanza che hanno le cose che noi portiamo avanti. Noi siamo portatori di una cultura che abbiamo definito varie volte che è la cultura dell'egualitarismo, che è la cultura del protagonismo di massa, che è la cultura della partecipazione diretta della gente, delle decisioni collettive. Noi siamo anti statuali, noi pensiamo che lo Stato sia, questo nella migliore tradizione del movimento comunista, anche nel pensiero di Lenin, che lo Stato sia sempre e comunque una struttura che in qualche modo opprime la gente. E quindi, anche quando si costruisce uno Stato socialista, questo non possa essere che una necessità transitoria, il più possibile transitoria, che debba durare il meno possibile. Noi, fra l'altro, a differenza del movimento operaio storico, pensiamo anche che lo Stato in una visione del mondo di sinistra classista non debba essere totalizzante. E infatti diciamo un'altra cosa, diciamo che l'egualitarismo deve essere un egualitarismo rigido dei mezzi che la gente ha, e cioè il nostro modello, chiamiamolo così, anche se è sbagliato in termini di società, in una società in cui, a prescindere dalle cose che uno fa la gente ha tutta la stessa possibilità. Siamo per un egualitarismo rigido delle condizioni che non vuol dire però appunto che tutti gli uomini sono uguali, noi anzi pensiamo che il nostro compito, che un compito storico di una società socialista sia creare una società in cui tutti abbiano la possibilità di sviluppare fino in fondo la propria personalità, i propri interessi, le proprie possibilità e che cioè ciascuno riesca a realizzare se stesso e un se stesso che è diverso da tutti gli altri. Noi vogliamo una società in cui questo sia possibile per tutti e cioè dobbiamo saper mettere insieme l'egualitarismo e la giustizia sociale più intransigente, più rigida con appunto questa diversità che tutta la gente ha che è appunto la negazione della massificazione culturale. Questo secondo me è importante e noi già oggi dobbiamo comportarci così perché DP non è e non vuole essere un partito totalitario perché non crede in una società totalitaria perché crede in una società appunto in cui la gente è libera, in cui la gente decide, in cui però non esiste alcun tipo di privilegio materiale per nessuno. Questo è il tipo di società che noi vogliamo. Alora queste cose qui dette qui possono sembrare delle sciocchezze però a questo congresso che andiamo a fare andiamo ad approvare uno Statuto in cui il primo articolo di questo Statuto quando dice che cos'è DP dice questo dice che DP è una forza che si richiama al marxismo rivoluzionario e che vuole costruire una società basata appunto sull’egualitarismo, basata appunto sulle libertà individuali è un articolo cioè che mette insieme queste cose. E’una novità, compagni, in nessuno Statuto di un partito che si richiama al marxismo rivoluzionario c'è scritto questo. Io credo che sia un fatto importante perché appunto dimostra un tipo di cultura che è nuova e di rottura rispetto al movimento operaio tradizionale. Però se c'è un elemento di novità è anche vero che noi veniamo da molto lontano su questi discorsi. Qui parafrasiamo Togliatti, anche noi veniamo da lontano non veniamo mica da vicino, oggi il termine stesso comunista, io vedo non solo fuori da noi ma anche all'interno dei nostri compagni, molto spesso il termine comunista oggi non suona certamente in maniera automatica come sinonimo di liberazione come una volta per I comunisti. Una volta il termine comunista era automaticamente per tutti un processo di liberazione per tutti gli oppressi. Oggi non è più così, perché in un momento preciso della storia del movimento operaio, in Unione Sovietica, una controrivoluzione ha compromesso in maniera drammatica e in maniera anche molto lunga, una controrivoluzione che non è avvenuta in una notte. È stato un processo di restaurazione di un potere borghese che ha appunto distrutto, ha compromesso in maniera duratura questo concetto di comunismo come processo di autodeterminazione, di potere proletario, di liberazione. Però nel movimento operaio non esiste solo la tradizione socialdemocratica, non esiste solo la tradizione staliniana. Esiste un'altra tradizione che è la tradizione del marxismo rivoluzionario, che una congiura, chiamiamola così, storica di riformisti, stalinisti, fascisti e borghesi cosiddetti democratici da sempre hanno cercato di distruggere e di cancellare, dopo averne massacrato o stravolto nella rievocazione storica i protagonisti. Allora noi ci rifacciamo molto chiaramente a Lenin di Stato e Rivoluzione e andiamo a vedere se il Lenin di Stato rivoluzione c'è un concetto autoritario di società. Ci rifacciamo al triennio tra i 17 il venti nell'Unione Sovietica, un momento in cui si è arrivati alle punte più alte di sperimentazione su tutti i terreni che mai si siano raggiunti dopo la rivoluzione francese. Noi ci rifacciamo alla Rosa Luxemburg e a Karl Liebknecht, ci rifacciamo a quella che è stata la sinistra comunista dell'Unione Sovietica, ci rifacciamo a Pannekoek, ricordiamo il POUM che in Catalogna è stato massacrato dagli stalinisti. Il POUM era un partito marxista che portava avanti un progetto di liberazione e di una società appunto che era come dicevamo noi . Ci rifacciamo a tutti quei compagni che sono morti a migliaia in difesa delle varie Repubbliche dei Consigli che badate bene erano Repubbliche di consigli si chiamavano così. Nel ‘20 in Ungheria migliaia sono morti, Béla Kun che era il capo del Repubblica dei Consigli, è scomparso in Russia esule e lì è scomparso in uno dei tanti campi di sterminio. Pensiamo anche alla rivoluzione sovietica. Pensiamo ad Alessandra Kollontaj, pensiamo agli intellettuali, i migliori cervelli di questo secolo facevano riferimento a un marxismo e a un comunismo che era un processo di liberazione. E’ fin troppo facile ricordare Majakovskij, Esenin, ricordare quelli della Bauhaus in Germania, che erano il massimo livello raggiunto nel campo dell'architettura, del disegno, cioè della costruzione di modelli di società e di modelli di città che rispondessero a bisogni diversi rispetto a quelli capitalistici. Pensiamo a Eisentein, a tutta questa gente morta suicida in Unione Sovietica perché non riusciva più a vivere nelle condizioni che gli venivano imposte o addirittura sono state assassinate. Ma anche pensando alla Cina pensiamo ai compagni che hanno fatto la rivoluzione culturale che oggi tutti quanti tendono a dire che erano dei delinquenti quelli che appunto andavano in giro a combattere chi in Cina andava a restaurare un potere gerarchico, a combattere chi andava a restaurare i privilegi che oggi invece sono stati o massacrati o incarcerati o uccisi o comunque emarginati. Pensiamo a Che Guevara, pensiamo a Michele Riis (?), pensiamo a Fanon, pensiamo a Lumumba. Cioè pensiamo che c'è tutto un filone del marxismo e del comunismo che appunto ha questi presupposti che noi prima abbiamo definito. E’ un filone che è sempre esistito, che è stato massacrato da tutto il potere in qualsiasi forma si è manifestato questo potere, che magari al suo interno aveva delle differenze, ma che comunque in comune aveva questi principi di partecipazione popolare, di decisioni popolari, di autodeterminazione che per noi sono punti di riferimento estremamente importanti. Adesso il nostro compito è di andare ad approfondire e ristudiare queste nostre radici andando a vedere appunto cosa volevano dire, cosa rappresentava questo non per motivi puramente storiografici ma prorio perché lì noi abbiamo le nostre radici. L'elenco potrebbe essere molto lungo però appunto mi limito a questo. C'è da dire una cosa però che questo tipo di marxismo questa concezione del comunismo è non a caso quella che spunta appunto nei momenti alti dello scontro politico e sociale e non a caso è quella che spunta fuori nei momenti in cui le masse, la classe operaia in prima persona decidono in prima persona di mettere in discussione il potere. E’ quella che spunta nel biennio rosso nel ’19, quella che è spuntata anche nel ‘68, che certamente non è un momento di rottura rivoluzionaria ma certamente è un momento di rimessa in discussione di certi equilibri politici. È quella che spunta in tutti i Paesi dove appunto gli oppressi mettono in discussione il potere. Solo nella normalizzazione successiva rispuntano i riformisti, rispuntano gli statalisti. Dov'era il PCI nel ‘68 nel nostro Paese? Dov'era il PCF nel ‘68 in Francia? Non c'erano, sono spuntati dopo o dov'era il Partito Comunista nel 77 a Bologna era dall'altra parte. Quattro anni dopo ha fatto la commemorazione della morte di Francesco Lorusso. Un movimento certamente spurio, un movimento certamente con fortissimi limiti, comunque un movimento che in qualche modo era antagonista dove il Partito Comunista era dall'altra parte. Dopo si cerca di recuperare anche questo, tre anni dopo, quattro anni dopo. Noi abbiamo le carte in regola infatti noi non ci pentiamo di nulla di quello che noi abbiamo fatto. Abbiamo fatto anche molti errori, questi errori certamente non sono mai stati dovuti alla miope ricerca dell'interesse di un piccolo potere che noi potevamo o non potevamo avere. Se abbiamo fatto degli errori, cito quello più clamoroso, quello di Nuova Sinistra Unita, è stato un errore, io non ero d'accordo, però devo riconoscere che è stato un errore che partiva da nobili considerazioni non certamente considerazioni ignobili, partiva da un'ipotesi che si è rivelata sbagliata ma che voleva in qualche modo aggregare l'nsieme dell'opposizione di sinistra, l’insieme della sinistra rivoluzionaria in un momento particolarmente difficile nello scontro contro il Governo. Era sbagliato sul terreno elettorale, però appunto anche questo errore, il più clamoroso che abbiamo fatto, non era motivato da motivazioni che andavano contro gli interessi dei lavoratori da motivazioni di interessi di bottega, erano motivate da motivazioni che erano estremamente nobili chiamiamole così che però erano chiaramente sbagliate. Noi rivendichiamo però anche i nostri grandi meriti e qui noi spesso siamo troppo modesti. Io credo che tutti quanti i compagni debbano essere molto contenti. Insomma adesso pensiamo ad un periodo terribile quello tra il 77 e l'81 un periodo in cui c'era il terrorismo nel Paese. Democrazia Proletaria in quel periodo ha tenuto aperti spazi di dibattito, spazi di razionalità, spazi di garantismo. DP ha fatto battaglie assolutamente controcorrente, ha garantito spazi di opposizione operaia, la battaglia contro quello che dicevamo prima, le battaglie che venivano fatte sui contratti. In quel momento noi abbiamo condotto questo tipo di battaglie e io credo costituisce un grosso merito in un momento tutti quanti, dicevano che non c'è più nulla da fare. Oggi per DP ci sono due strade davanti, dicevo prima la necessità di fare un salto. Noi possiamo essere, per citare Togliatti, la piccola pulce sul cavallo di razza. Io credo che ad esempio nella sconfitta di Napoli ci sia un po’ questa logica della piccola pulce sul cavallo di razza. Cosa voglio dire? Voglio dire che noi possiamo essere semplicemente un qualcosa un po più a sinistra del PCI, un po’ critico verso il PCI ma sostanzialmente non dissimile dal PCI. Questo agli occhi della gente, ma anche nella sostanza perché con le stesse analisi magari dicendo che loro sono un po' troppo moderati e in questo caso qui io credo che noi saremmo socialmente poco utili e che nella crisi del Partito Comunista noi saremmo i primi a scomparire. Poi semmai su altre cose possiamo invece, questa è la nostra ambizione, essere la forza comunista degli anni ‘80 e cioè la forza appunto che in questo periodo storico di fronte a una crisi dovuta sostanzialmente ad un'incapacità di saper cogliere i fenomeni che stanno avvenendo, di sapersi porre appunto in maniera antagonistica, rispetto ai fenomeni che stanno avvenendo da parte della sinistra storica, quella forza che invece questi problemi se li sa porre, e sa indicare delle soluzioni. Questa scommessa è una scommessa che si deve fare. Certamente oggi non siamo a questo livello però secondo me è questo il livello che dobbiamo raggiungere e su questo dobbiamo lavorare perché è su questo punto che noi diventiamo socialmente utili e su questo abbiamo una prospettiva. Noi non abbiamo nulla da gestire, gli altri partiti possono tentare di gestire l'esistente, un po’ di deputati un po' di presenze in enti locali un po’ di sindacato, gestiscono l'esistente. DP non ha nulla da gestire e se anche comincia a gestire quel poco che ha DP è spacciata. Qui torniamo al discorso della pulce sul cavallo di razza. DP deve sempre comunque giocare il tutto per tutto, guardare lontano, avere capacità cioè di cominciare a interpretare i fenomeni quando questi sono ancora in atto. E se dobbiamo correre un rischio, è preferibile correre il rischio di sbagliare nel fare un'analisi piuttosto di quello dell'immobilismo, piuttosto di quello di arrivare dopo, piuttosto di quello di non capire i fenomeni che stanno succedendo. Noi dobbiamo cioè lavorare per ricostruire la cultura dell'antagonismo, dobbiamo cioè lavorare appunto per questa cultura che oggi ha degli interlocutori. Ecco noi con chi dobbiamo fare questa operazione. Noi siamo e vogliamo essere il partito della centralità proletaria. Ripetutamente nel corso dei nostri dibattiti, ma non solo dei nostri dibattiti, è uscito fuori qualcuno che ha detto che la classe operaia è scomparsa. Io questo discorso l’ho sentito già otto dieci volte in un breve periodo, o è scomparsa o sta per scomparire, viene fuori qualcuno che dice che i processi di ristrutturazione fanno sì che la classe operaia sia scomparsa. Poi veniva fuori magari subito dopo che invece la classe operaia esisteva ancora eccetera eccetera. Questo valeva negli anni ‘60 e vale anche dopo. Oggi ad esempio tutti parlano di computer, io sono andato a fare 3 o 4 congressi di Federazione di DP, tutti parlano di questo, credo sia importante fare un dibattito sul computer. Questa parte è molto carente all'interno delle tesi. Allora è pur vero che cambiano le caratteristiche culturali, le caratteristiche politiche dei produttori di merce. C'è l'operaio di oggi, l'operaio del futuro, l'operaio dopo dieci anni sarà diverso certamente. Questo però è vero sempre cioè l'operaio della FIAT del ‘70 è certamente diverso dall’operaio della FIAT del ‘35 e ancora più diverso dall'operaio della Fiat dei primi anni del Novecento, cioè cambiano le culture. Cambiano anche le caratteristiche della classe operaia. Bisogna andare a vedere se scompare o non scompare chi produce le merci, se appunto non esisteranno più figure legate alla produzione e alla circolazione delle merci, oppure esisteranno ancora. Io credo che la risposta non possa che essere la seconda, e cioè cambieranno certamente, hanno caratteristiche già oggi diverse rispetto a prima e però rimangono proletari, rimangono i produttori delle merci. Il problema è appunto sapersi rapportare, saper capire i cambiamenti sapersi rapportare a questo. Faccio tre esempi, oggi è strutturale al tipo di produzione che c'è che esista un settore di disoccupazione o di semi occupazione, questo è un fatto stabile e strutturale e questo mercato del lavoro disoccupato esiste ed è strutturale appunto nei nuovi modi di produzione. I cassintegrati fanno parte di queste categorie, sono un fatto strutturale. Oggi, all'interno della situazione capitalistica. Il precariato, i lavoratori precari, oggi sono quasi metà dei lavoratori della pubblica amministrazione. Nei servizi sono estremamente presenti, cominciano a essere presenti anche all'interno dell'industria e diventano di nuovo un fatto strutturale. Allora queste figure, i precari, i cassintegrati, questa manodopera disoccupata, non sono forse proletari? Non fanno parte del proletariato? Io credo che siano proletari con caratteristiche diverse dall'operaio di fabbrica del ‘70, con cultura diversa. Il problema nostro è quello di organizzare il proletariato com’è e quindi di organizzare il proletariato tradizionale chiamiamolo così ma anche di organizzare anche queste figure proletarie. Allora su questo dobbiamo lavorare ad esempio per creare l'organizzazione nazionale dei cassintegrati. Dobbiamo lavorare per creare l'organizzazione dei precari che sono appunto figure proletarie. Dobbiamo lavorare appunto per costruire, in una situazione in cui il sindacato non muove un dito, in una situazione in cui il sindacato non prende nemmeno in considerazione queste figure. Dobbiamo lavorare appunto per organizzarle per creare una situazione di stabilità anche per questi, per rivendicare per loro i diritti sindacali, per rivendicare per loro ogni diritto politico per rivendicare per loro certe garanzie. Non è mica così dissimile dalla battaglia che abbiamo fatto con il referendum sullo Statuto dei lavoratori per gli operai delle piccole fabbriche. Il problema delle piccole fabbriche io credo che sarà un problema che tenderà ad aumentare in una classe operaia sempre più frammentata sempre decentrata, privata dei suoi diritti. Dobbiamo lavorare in questa direzione credo e sono cose che dobbiamo organizzare. Il sindacato non si muove rispetto a queste cose anzi oggi il sindacato e tutto teso a sostenere il Governo, conta sempre meno, non è all'altezza di affrontare quest’ordine di problemi, tende a distruggere tutto quello che rimane di democrazia operaia, tende a smantellare i consigli di fabbrica, a smantellare le assemblee operaie, tende a fare queste cose. Quali sono i nostri compiti oggi rispetto appunto al proletariato, sono tre sostanzialmente. Sono la promozione e la difesa intransigente della democrazia operaia. Noi dobbiamo difendere ciò che resta della democrazia operaia contro gli assalti che vengono dal padronato e anche dalla direzione sindacale. Dobbiamo condurre una grande battaglia per la riduzione dell'orario di lavoro che acquista sempre di più una valenza strategica. Quando si dice che l’introduzione di calcolatori crea un'eccedenza di manodopera cosa vuol dire questo? Vuol dire che questo è pensare di nuovo che questa sia l'unica soluzione possible, peggio ancora dire che non vogliamo l'ntroduzione della tecnologia perché crea disoccupazione. Ma a noi va bene la nuova tecnologia perché riduce il tempo di lavoro della gente, perché permette di produrre le stesse merci lavorando meno. E appunto allora se da un punto di vista padronale è necessario per mantenere e allargare i livelli di profitto, introdurre queste nuove tecnologie, tagliare la manodopera e magari introdurre surrettiziamente anche, come succede dappertutto, il lavoro straordinario. La battaglia perché queste nuove tecnologie siano introdotte e appunto siano introdotte contestualmente alla riduzione dell'orario di lavoro andando a scapito dei profitti. Certo questo è incompatibile con gli attuali meccanismi economici, ma chi ha detto che gli attuali meccanismi economici sono eterni e comunque dobbiamo rispettarli, ci si basa su dei rapporti di forza ed è questi rapporti di forza che vanno spostati. Non siamo come il PCI che chiede di entrare al Governo perché gli altri sono buoni o perché lui oggi è sufficientemente tranquillo non è più rivoluzionario ma dice ‘visto che sono omologato prendetemi dentro’. Noi pensiamo che i rapporti di forza si possono e si devono spostare e allora la battaglia per riduzione dell'orario di lavoro non è solo una battaglia per l'occupazione, non è solo una battaglia per ridurre per tutti il tempo di lavoro, ma ha anche un'altra valenza. E’ l’unico modo, noi crediamo, che i proletari abbiano per esercitare il controllo sulla ristrutturazione. La CGIL viene a dire oggi che il limite più grosso del sindacato è quello di non esercitare nessun tipo di controllo rispetto ai processi di ristrutturazione. Ma non è proprio la CGIL quella che rifiuta più degli altri sindacati la riduzione dell'orario di lavoro dicendo che è incompatibile non si capisce con che cosa? Cioè io credo che questa cosa vada studiata perché ha una valenza strategica, perché è uno dei pochi punti che entra coi piedi nel piatto degli attuali processi di ristrutturazione. Credo che metta I piedi nel piatto sul problema di oggi dell'occupazione. Per fare queste cose bisogna essere presenti nel sindacato, questo è un problema che i compagni hanno molto dibattuto. Noi dobbiamo lavorare per costruire una componente dentro al sindacato, un po’ lo abbiamo fatto questo, non siamo ancora andati avanti. Cosa deve fare questa componente di DP nel sindacato. Non deve essere certamente la terza componente che le cose che ha fatto in questi anni è stato trattare posti di potere nelle segreterie sindacali salvo arrivati al momento del dunque, accettare in maniera pedissequa le posizioni politiche del gruppo dirigente del sindacato. Noi dobbiamo costruire una componente del sindacato perché è lo strumento che ci serve per organizzare il nostro obiettivo di fase, il massimo di insubordinazione possibile all'interno dell'organizzazione sindacale. Cos'è questa assemblea autoconvocata di Milano, cos'è la minaccia di andare a costruire un momento di sciopero, al momento della firma dell'accordo, contro la direzione sindacale se non lavorare per l'insubordinazione operaia. Io credo che questo qui sia il nostro obiettivo di fase, costruire una componente nel sindacato che pratichi l’indisciplina e crei momenti di insubordinazione, io credo che sia un compito molto importante. A Bologna, fra l'altro, che questa insubordinazione operaia ha dei ritardi. Io credo che la valutazione pone il dibattito ai compagni anche su questo, io credo che il ruolo della cosiddetta sinistra sindacale che a Bologna è stata presente molto forte sia un ruolo che ha molti aspetti negativi però perché costituisce uno schermo per arrivare ad una situazione come quella di Milano, cioè si arriva a momenti di conflittualità con la direzione sindacale ma non si va mai oltre un certo livello. L'altra cosa che dobbiamo fare a livello sindacale è prestare estrema attenzione, sostenere tutto ciò che si muove e si organizza fra i lavoratori in maniera autonoma anche quando queste aggregazioni, questi collettivi, questi momenti di organizzazione sono parziali o possono avere elementi di ambiguità. Forme organizzative come il Comitato di ferrovieri per i trasferimenti, forme come certi giornalini aziendali, certi comitati operai che nascono nelle fabbriche su un fatto specifico, che so la nocività, sono cose per noi estremamente importanti che noi dobbiamo sostenere, difendere, promuovere, non entrano in conflitto magari con I sindacati, che magari sono tangenziali rispetto al sindacato che magari il sindacato copre e non copre. E però sono importanti momenti di aggregazione dei lavoratori, di esercizio di democrazia diretta, di discussione politica fra i lavoratori. E per noi oggi è estremamente importante che queste cose qui ce ne siano il più possibile, sostenerle dove ci sono, promuoverle, organizzarle. Dobbiamo, dicevo prima, organizzare i settori nuovi anche dal punto di vista para sindacale come i cassintegrati, i precari questo è uno dei compiti secondo me che DP deve esercitare in quest'area. Questo per arrivare a dire un'ultima cosa che è la questione del rilancio del lavoro di massa. Noi abbiamo visto che c'è stato un notevole rallentamento del lavoro di massa da parte di DP, questo non solo in Italia ma anche a Bologna dove c'è stato un rallentamento del lavoro di massa e questa cosa è rischiosa una volta che siamo arrivati a livello parlamentare. Prima di arrivare a livello parlamentare avevamo il problema dell'immagine cioè c'era il potere che cercava di eliminarci, cancellarci dalla scena e noi in qualche modo cercavamo di esserci quindi curavamo moltissimo la presenza sui mezzi di comunicazione perché era importante per la nostra sopravvivenza. Questo a volte ha creato una mentalità distorta che è quella appunto di scambiare l'immagine con il contenuto, siamo spesso sui giornali quindi la cosa va bene. Ecco io credo che oggi arrivati a livello parlamentare il rischio pesante che noi corriamo sia quello di un partito che fa da supporto alle iniziative legislative del gruppo parlamentare. E’un rischio, badate bene, che non c'è solo in alto. C'è un gruppo parlamentare che inevitabilmente tenderà a dire che il partito deve fare da supporto al gruppo parlamentare perché loro vivono dentro al Parlamento quindi a dire che le cose che facciamo noi sono importantissime sostenetele. Ma è un rischio c'è anche in basso. Moltissimi compagni di DP andando in giro anche in questi congressi che si svolgono adesso le prime cose che chiedono sono cosa fa il gruppo parlamentare che iniziative prende il gruppo parlamentare, peccato che qui nella nostra città non venga mai a parlare un parlamentare e così via. Quindi questo rischio di diventare un'appendice dei parlamentari, di vedere quello come il mondo della politica oltre che sbagliato, perché oggi il Parlamento non è il centro della politica, è micidiale appunto dal punto di vista del lavoro di massa. Ecco allora che il problema vero è il rilancio delle lotte di massa che vuol dire appunto la difesa degli interessi dei lavoratori e di tutti i settori popolari. Vuol dire appunto questa battaglia che stiamo conducendo oggi in difesa della scala mobile, vuol dire ad esempio la battaglia per il diritto alla casa. Fra l'altro, diceva oggi Michele, poi magari interverrà, sugli episodi molto gloriosi di battaglia contro gli sfratti con anche momenti di tensione pesante con la polizia, tutte cose in difesa degli sfrattati con la partecipazione degli sfrattati, cose importantissime. Tutte cose però appunto su cui vedo uno scarso interesse dell'insieme dei compagni di DP e una scarsa partecipazione. Questo è grave perché questo è il lavoro di massa, queste sono le cose che noi appunto facciamo in termini di costruzione di organizzazione popolare e proletaria. Questo rischio istituzionale c'è, dobbiamo evitare di trovarci dentro, dobbiamo contrastarlo sempre. Così come la necessità di centralizzazione che noi oggi abbiamo con un partito più presente in maniera omogenea più rapido nell’affrontare le cose, comporta dei rischi di autoritarismo interno che dobbiamo saper contrastare che dobbiamo combattere ogni volta che si manifesta. E io credo che per Bologna noi dobbiamo esplicitare alcuni compiti per quest'anno. Parlo di compiti generali, rimango fermo al discorso di prima, non discutiamo non voglio entrare nel merito di questioni istituzionali. Compiti che sono appunto questi, quest'anno dobbiamo costruire e rafforzare gli organismi di massa che vuol dire ad esempio rafforzare l'Unione Inquilini, che vuol dire ad esempio portare avanti con forza questa interessante iniziativa del centro di difesa dei consumatori che è un tentativo di DP di intervenire su un terreno del tutto nuovo. Invito i compagni a leggere un interessante documento che è uscito anche sul bollettino interno nazionale, nel penultimo numero, prodotto appunto da questi compagni che hanno costruito a Bologna il centro difesa dei consumatori. In questo documento si tenta un'analisi, proprio a partire dall'analisi marxista, dall'analisi dei rapporti di produzione appunto per arrivare a capire perché oggi è importante muoversi su questo terreno. Dobbiamo lavorare alla costruzione di un istituto culturale che appunto sia un punto di riferimento dell'intellighenzia, un luogo di produzione, un luogo di ricerca perché appunto si tratta di ricostruire una cultura antagonistica, di ricostruire una cultura di sinistra sul terreno dell'urbanistica, della legislazione è oggi estremamente importante. Dobbiamo costruire sezioni sul territorio. Uno dei grossi limiti di questi anni è nella presenza rigorosamente nel centro storico della città. Questo è in via di superamento, dobbiamo però proiettarci molto in questa direzione e ci sono delle resistenze culturali fra i compagni a muoversi appunto costruendo dei nuclei di DP nel territorio in modo da promuovere delle iniziative più decentrate che arrivino quindi ad altri settori di massa. Oggi noi non arriviamo a settori di massa ci arriviamo solamente in termini di opinione. Il lavoro di costruzione di sezioni territoriali nell'estrema periferia di Bologna e nei Paesi dell'hinterland è uno dei compiti centrali per quest'anno. L'ultimo compito centrale per quest’anno su cui dobbiamo lavorare è la battaglia per la pace. Lavorare per la pace noi pensiamo che sia estremamente importante. Ci sono dei grossi limiti del movimento per la pace, ne discuteremo penso anche al Congresso. Questi limiti sono non solo il fatto che la presenza dei partiti rigida dentro il movimento per la pace spesso l'ha trasformata in un intergruppi in un luogo di mediazione politica che quindi poi aveva grosse difficoltà a elaborare un discorso politico preciso. Ad esempio gli ha impedito di articolare un discorso, di arrivare a dire una cosa che per noi è ovvia, che l'Italia deve uscire dalla NATO. Questa frase non è mai stata scritta in questi termini in nessuno dei documenti di questo movimento per la pace perché c'è un veto preciso del Partito Comunista, ad esempio. E allora però il Movimento per la pace o riesce a essere un punto di riferimento, un'aggregazione di singole individualità che appunto si vogliono muovere su questo terreno e non il coacervo di forze politiche che si pongono veti incrociati o se no ha poco senso di esistere o se no ha una scarsa capacità di incidere e determinare le cose. Ma c'è un altro limite di fondo che è l'eurocentrismo, la mancanza cioè di una coscienza antimperialista. Questo Comitato per la Pace non ha mai avuto la capacità di battersi sulle questioni internazionali. Hanno invaso Grenada, nessuno ha detto nulla. Sul Libano si è detto pochissimo. Di fronte alle tensioni internazionali non ha avuto la capacità di muoversi. E questo limite, che è fortemente presente ad esempio nel movimento per la pace del Nord Europa, è presente anche in questo e cioè che finché la guerra è fuori dall'Europa tutto sommato non c'è la guerra. Io credo che ci sia un limite da battere cioè o questo movimento ha la capacità di essere fino in fondo antimperialista, cioè di capire come appunto gli imperialismi oggi le guerre le conducono per procura in tutto il mondo e quindi sapersi battere coerentemente al fianco dei movimenti di liberazione oppure se no questo movimento per la pace ha poco senso di esistere. Ma ha portato all'interno di DP questo movimento per la pace un dibattito che ci sarà anche al congresso sulla questione della non violenza. Io voglio spendere poche parole, io credo che noi dobbiamo essere antimperialisti, siamo antiimperialisti e siamo anche antimilitaristi e questo oggi ma anche domani. Anche nello Stato socialista, io credo, il militarismo, l'esistenza di corpi separati dell'esercito siano un fatto comunque negativo. Lenin stesso in Stato e Rivoluzione appunto diceva che la presenza di un esercito di mestiere è comunque un elemento di potere che toglie un elemento importante di potere dalle mani della gente. In uno stato socialista è il popolo in armi quello che garantisce la difesa del proprio Paese e quindi siamo contro gli eserciti oggi lo siamo anche all'interno del socialismo. Siamo pacifisti perchè noi pensiamo che, questo c’è nella tradizione di tutto il movimento operaio, che appunto la guerra sia un esercizio delle potenze imperialistiche che hanno interessi economici e politici, a scatenarle non sono mai interessi dei popoli, salvo quando i popoli appunto vengono aggrediti, e quindi noi siamo contro la guerra sempre e comunque con un motivo di più rispetto al passato. Quando nel ‘15 si diceva che o si ferma la guerra o la guerra determinerà la rivoluzione, oggi questo non si può più dire, oggi la guerra non determinerebbe nessuna rivoluzione, determinerebbe l'olocausto nucleare. Non siamo nonviolenti, io credo che su questa cosa qui bisogna essere molto chiari, non siamo non violenti anche se rispettiamo moltissimo l'ideologia e la cultura della nonviolenza e non rispettiamo affatto invece quella militarista che era presente all'interno della sinistra fino a poco tempo fa. Noi abbiamo contrastato l'ideologia militarista presente all’interno della sinistra, a volte anche rischiando qualcosa. C'è stato un periodo in cui tra quelli che sparacchiavano in maniera disorganizzata e quelli che sparavano in maniera organizzata, anche all’interno della sinistra hanno introdotto una perfida cultura militarista di servizi d'ordine, di prevaricazione, di violenza all'interno della sinistra rivoluzionaria. Noi abbiamo contrastato queste cose, le abbiamo contrastate queste cose anche in momenti che erano particolarmente rischiosi in tutta questa guerra e non abbiamo nessun rispetto per loro e infatti si è visto la fine che hanno fatto. Pentiti, dissociati, gente che bacia la mano al Papa, gente che rivendica il riformismo socialista, gente che vede la Madonna, questo è il partito armato nel nostro Paese. Cialtroni erano allora, cialtroni rimangono oggi. Abbiamo invece il massimo rispetto nei confronti dei compagni non violenti, massimo rispetto che però non è identificazione. C'è un motivo, noi pensiamo che se il proletariato, se i lavoratori, se i Paesi in cui si costruisce una democrazia socialista devono rigettare sempre e comunque la guerra e la violenza come strumento politico di battaglia. Pensiamo però che sia giusto che abbia il diritto di difendersi quando viene aggredito. Per questo noi siamo perché se un corteo operaio viene aggredito se vuole, se decide democraticamente al suo interno, possa difendersi anche violentemente. Siamo perché appunto i compagni del Nicaragua se vengono aggrediti dagli Stati Uniti, noi sappiamo che sapranno difendersi, e anzi ci auguriamo che se vengono colpiti dagli Stati Uniti sapranno trasformare il Nicaragua in un altro Vietnam dove appunto gli Stati Uniti si vadano a impantanare se tenteranno se oseranno invadere questo Paese contro appunto la volontà popolare. C'è bisogno del partito, molti sono i discorsi che dicono che non c'è più nessun bisogno del partito. C'è un rischio nelle società frammentate, come dicevo prima, lo vediamo nelle società anche del Nord Europa, nella società americana. C'è un antagonismo, certo, esiste anche là l'antagonismo, un antagonismo endemico, ci sono le bande giovanili, ci sono forme appunto di antagonismo che si manifestano anche in momenti di acutissimo scontro che però appunto sono delle fiammate perché sono assolutamente prive di ogni tipo di visione generale della realtà. Non capiscono al limite neanche qual è il potere che devono contrastare, sbagliano gli obiettivi contro cui devono combattere. Noi pensiamo che appunto la presenza di un partito politico con la sua capacità di analisi complessiva con la sua capacità di generalizzare le situazioni con la sua capacità di interpretare l’insieme della realtà sia estremamente importante specie oggi. E allora noi vogliamo essere presenti nei movimenti anche suscitare questi movimenti, vogliamo essere un partito che condivide tutte le volontà che esistono di trasformazione sociale. Nel partito, secondo noi, deve stare chi condivide la trasformazione sociale generale chi appunto condivide cioè le nostre posizioni politiche generali. Però dobbiamo sapere che è certamente di minoranza, un partito che certamente, non solo perché oggi è piccolo, ma perché appunto vuole essere un partito di quelli che condividono quel tipo di cultura, però un partito che sa rivolgersi a tutti. Dobbiamo combattere anche al nostro interno, specie in questa fase, tutte le culture minoritarie che ancora esistono, noi dobbiamo saperci rivolgere alle larghe masse, cioè alla gente nel suo insieme, dando delle risposte che nel caso della nostra analisi derivano da un'analisi generale che rispondono però anche a bisogni assolutamente parziali che la gente ha. Noi dobbiamo appunto saper dare risposte anche parziali a chiunque si rivolge a noi su ipotesi anche parziali di trasformazione e di opposizione. Noi dobbiamo uscire da una cultura minoritaria, dobbiamo puntare con forza alla ricerca dell'egemonia culturale politica sapendo che in questa fase storica non saremo mai la maggioranza, è banale, però non dipende solo dalla nostra cattiveria, dipende anche dalla fase storica che stiamo vivendo. Però certamente abbiamo la possibilità di incidere, determinare molto di più di quello che che facciamo oggi l'insieme del movimento popolare. Noi che pensiamo anche che sia possibile oggi una crescita molto consistente di DP. Pensiamo che Democrazia Proletaria possa aggregare tutti quelli che vogliono costruire oggi nel nostro Paese una cultura radicalmente antagonistica. Permettetemi di concludere con due citazioni rapidissime, una che è di Shakespeare ed è ripresa da Marx, una che è di Gramsci che secondo me deve farci riflettere un attimo su come dobbiamo porci culturalmente rispetto ai problemi. Dice Shakespeare dell'Amleto che ‘niente di ciò che è umano e fuori dal nostro interesse’ poi il Marx l’ha ripreso. Dice Gramsci ‘non saremo mai conservatori nemmeno………….. (a questo punto la cassetta è finita)