Torre Lapi
Inglobata nel complesso del Palazzo Comunale, anche all'occhio non si
presenta propriamente come una torre gentilizia. Non a caso anche gli
studiosi stanno avendo altre teorie, ipotizzando che in sé racchiuda
piuttosto le vestigia della Porta Nova, uno dei varchi della muraglia di
selenite che cinse la città per tutto l'alto medioevo. Per capire
meglio conviene fare il punto sulla storia delle mura bolognesi: la
città è stata circondata da mura da tempi memorabili, allargatesi nel
corso dei secoli, con lo sviluppo dell'inurbazione. La prima "cerchia",
quella cosidetta "di Selenite" è datata orientativamente al IV secolo
dopo Cristo e conteneva proprio il cuore dell'attuale centro storico.
Venne poi il tempo di allargare i confini della città, con quella che si
pensava più tarda e oggi viene invece definita Cerchia del Mille. Era
lunga 3,5 chilometri e presentava 18 porte, anche dette serragli o
torresotti, di cui ancora 4 sono visibili. L'ultima cerchia, quella che
oggi coincide con i viali di circonvallazione attorno al centro storico,
è invece degli inizi del XIII secolo, quando la città cominciò ad
organizzarsi in quartieri, inglobando borghi esterni. Questa cerchia di
mura e le torri hanno almeno una cosa in comune: la tecnica costruttiva,
cioè la muratura a sacco. I costruttori realizzavano in entrambi i casi
due muri di mattoni paralleli e distanti tra loro circa un metro, al
cui interno veniva riversato un misto di ciottoli, laterizio e sabbia.
Tornando alla Lapi, la si riconduce alla prima cerchia, proprio a
causa di quei blocchi di selenite alla base che sono tipici o delle
torri gentilizie o delle porte urbiche. In fondo, la torre Lapi è stata
entrambe, ovvero nata come varco, sarebbe poi stata riadattata a
personali necessità dalla famiglia dei Lapi, che a loro volta l'avevano
rilevata dai Laigoni. Comunque sia, pubblica è nata e pubblica tornò
nel XIV secolo, quando i Lapi rivenderono per 400 lire l'immobile (torre
e annesso edificio) al Comune di Bologna, che doveva ampliare il
palazzo civico. Di lì a pochi anni venne inglobata nella poderosa
muraglia del Comune, più o meno come la si vede oggi. Ma ciò non
coincise con la quiete della torre, infatti iniziò un lungo periodo di
affittanze e assegnazioni. Dentro ci passarono dai frati domenicani, a
un pittore, ad una famiglia di beccai. Beccai, ovvero i nostri macellai,
il cui nome deriva dal Becco, il maschio della capra, l'unica carne al
tempo usata comunemente. La loro presenza in questa zona non era
casuale: consideriamo infatti che fin dalla metà del XIV secolo tutta
via Porta Nova, oggi via IV novembre, era piena di banchi di vendita di
carne, evacuati da Piazza Maggiore. Questi nuovi proprietari decisero di
aprire la base della torre per ricavarvi all'interno la loro bottega,
modificandone così la fisionomia. Nel 1505 però il Senato Bolognese,
infastidito dal volgare e sozzo mercato che si era venuto a creare
addosso al Palazzo Comunale, decise di liberare tutta la via da banchi,
botteghe e baracche - e ne contarono ben 33! - e contestualmente di
richiudere lo squarcio ricavato nello zoccolo della Torre. E' probabile
che fu proprio questa chiusura a scagionare il rischio di esplosione
durante l'incendio del 1641, che interessò la zona della torre Agresti
minacciando di allargarsi.
Senza un vero perché in epoca napoleonica la Lapi è stata poi
abbassata quasi della metà, cioè da quelli che potevano essere 30 metri
agli attuali 18, per essere assimilata alla restante muraglia.
L'ennesima ritrasformazione è avvenuta invece nel 1948, quando la porta
della vecchia beccheria è stata riaperta per agevolare il passaggio alla
sede municipale, pur rinunciando nuovamente all'aspetto originario
dell'antica torre, dalla vita movimentata.
Ultimo aggiornamento: venerdì 21 settembre 2012