Torre Guidozagni

Torre Guidozagni
Pochi passi dalla Torre Prendiparte, in piazzetta Sant'Alò, e appare la Guidozagni, o per lo meno, la Guidozagni ancora in piedi (cui è toccata miglior sorte dell'altra abbattuta nel 1917 insieme all'Artenisi e alla Riccadonna). Superandola appena, pur rimanendo su via Sant'Alò, e rivolgendo lo sguardo indietro, il curioso taglio prospettico richiama - in piccolo - la coppia Asinelli/Garisenda. In effetti, infatti, formano una replica "in sedicesimo" delle due più celebri consorelle. E mentre la Coronata svetta nella sua bellezza, la Guidozagni resta piantata al suolo, subalterna come la Garisenda nei confronti dell'Asinella, come a schivar gli sguardi nello spazio del crocicchio riservatole tra le anguste viuzze. A differenza dell'altra torre della famiglia Guidozagni, questa è sopravvissuta, ai crolli e... alle mani dell'allora Società dei Telefoni di Bologna.

Ma andiamo con ordine. Il vetusto e sobrio troncone di venti metri, forse degli inizi del XIII secolo, rivela chiaramente l'esistenza di una casatorre. Questa ebbe un crollo improvviso nel 1487, che non lasciò scampo alla casa sottostante. Tanto era illustre lo sfortunato proprietario, Petronio Guidozagni, ultimo membro di una grande famiglia decaduta, ma già emerito professore di diritto civile, che il Senato Bolognese gli conferì un'erogazione di 400 lire per la ricostruzione. Numerosi altri proprietari gli seguirono, fino a passare nelle mani della TIMO: Telefoni Italia Medio Orientale. La società telefonica si era già servita di una torre come prima centrale di commutazione manuale della città, nella fattispecie la Tantidenari, più nota appunto come Torre dei telefoni, posta nell'odierna via Rizzoli, dove era ospitata prima degli sventramenti del Mercato di Mezzo. Venendo meno questa prima sede, si insediarono nella Guidozagni, non prima di aver abbattuto la casa quattrocentesca, addossata alla vecchia torre dal lato di via degli Albari. Se la Torre stessa non ha fatto una fine simile è solo grazie al tempestivo intervento della Soprintendenza, che ha vincolato la società a un "semplice" rimaneggiamento. Il restauro, datato 1926, ha completato la porta architravata col tipico arco a sesto acuto, con blocchi di marmo anziché di selenite, ancora presenti, invece, negli stipiti. Moderne anche le restanti aperture, compresa la grande porta a levante. Ma meglio che niente.

Ultimo aggiornamento: venerdì 21 settembre 2012