L'intercultura parla in lingua hip-hop.

di Ash Lombardo Arop


La strada della danza e della musica per gli adolescenti del Pilastro.
 
 
Venerdì 11 Aprile, quando sono arrivata davanti alla biblioteca Luigi Spina, in via Casini 5, ho trovato alcuni bambini, di  chiara origine Rom, giocare spensierati sotto un albero al quale erano stati legati stracci colorati e vecchi vestiti. Per il resto, un grande silenzio sotto il sole del primo pomeriggio e non un'anima a cui chiedere dove fosse il famoso “Container”.  Ebbene, dopo poco ho scoperto che il contenitore di ferro pesante che avevo davanti agli occhi era il luogo predisposto per l'evento e dunque, il “Container” era tale in senso stretto e non un locale così denominato, come un inutile pregiudizio mi aveva fatto credere. La genialità ed originalità dell'iniziativa mi ha illuminata! Il Container è, in effetti, un “Laboratorio mobile per l’arte pubblica”, delle dimensioni di un montacarichi per un comune camion da trasporti di grandi dimensioni, che una volta aperto si trasforma in una sorta di piccolo palcoscenico. Non occupa molto spazio, è funzionale e trasportabile; il minimo indispensabile e il massimo risultato per un evento artistico con tutti i crismi.
 
 Verso le 16.30 sono arrivati i ragazzi del gruppo Katun di nuova generazione e il Container è stato aperto. Il gruppo Katun è nato da un progetto dei servizi sociali per minori e famiglie e del quartiere San Donato. Avviato nell'autunno del 2003, con alcuni ragazzi quattordicenni, è diventato ora un gruppo stabile di musica e danza che si esibisce con regolarità in vari eventi. Ogni autunno riparte una nuova sessione di lavoro con nuovi elementi, compresi fra i 14 e i 18 anni di età. Gli educatori Antonio Fusaro e Silvia Branca lavorano al progetto fianco a fianco, occupandosi sia del gruppo dei più giovani che dei “veterani”.
Il progetto nasce principalmente come incentivo alla collaborazione e al lavoro di gruppo, come possibilità di esprimersi in modo creativo, in un quartiere dove la dispersione giovanile è parte di un problema di disagio sociale e microcriminalità. Una possibilità alternativa all'alienazione e all'emarginazione, di cui spesso sono vittime. I ragazzi che hanno partecipato al progetto in passato erano per la maggior parte immigrati, o figli di immigrati, dall'ex Jugoslavia o dalla Romania. L'affluenza femminile era però molto scarsa. “Nel gruppo di quest'anno”, mi racconta Antonio, con un pizzico di soddisfazione, “ci sono più ragazze, delle quali due sono italiane”. Katun si sta quindi espandendo e culture diverse iniziano ad interagire.
 
Inizialmente i ragazzi mi guardavano con sospetto e curiosità. Quando hanno appreso che ero lì per osservarli e scrivere di loro si sono un po' intimiditi e non volevano esibirsi. Probabilmente non si aspettavano un occhio esterno ed estraneo, in una situazione che non avevano considerato dovesse essere una vera e propria performance, ma semplicemente un momento ludico e di aggregazione. Alla fine sono riuscita a farli danzare una breve sequenza di passi, nello stile rigorosamente hip hop. Non è mancato l'arrivo di un carabiniere a informarsi su cosa stesse accadendo e sul perchè la musica fosse così alta.
I ragazzi di Katun si incontrano tre volte a settimana per creare e provare le loro coreografie, ma non solo: oltre a danzare e fare musica, hanno sviluppato una piccola attività di produzione di sapone naturale e deodoranti agli oli essenziali, che vendono per auto finanziarsi.
 
L'atmosfera fra i ragazzi del gruppo Katun “nuova generazione” è di grande confidenza e complicità reciproca, nonostante si incontrino da pochi mesi. Mi sono sembrati motivati, entusiasti del loro lavoro e con una grande carica e voglia di costruire qualcosa insieme.
Un progetto davvero valido per il Pilastro e per Bologna.

 
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